Il ruolo della memoria nella formazione dell’identità personale


Il ruolo della memoria nella formazione dell’identità personale

           Di serbare memoria alcuni vanno fieri, altri ne lamentano l’insufficiena e comunque è condizione fortemente complessa che spazia dai ricordi, fino alla memoria di sé, nei momenti in cui ci chiediamo io, chi sono? o ci chiedono tu, chi sei? E, in quei momenti, sentiamo che la risposta non appartiene al nostro ruolo sociale, intellettuale, economico, e neppure familiare, perché di ben altro si tratta. E i ricordi? Certo, sono la nostra memoria, ma anch’essi hanno diversa natura e diverso peso per noi: ci sono quelli che ci sovvengono repentinamente e per lo più riaprono antichi disagi, ferite non rimarginate o addirittura acuite nel tempo e poi ci sono quelli che invochiamo quando abbiamo bisogno di dolcezza, di serenità, di riprendere a sorridere. Per gli uni e per gli altri, vige una fondamentale regola: ci raggiungono contestualizzati, popolati di suggestioni personaggi suoni spazi colori dalle sfumature cangianti e mutevoli nel tempo e, ne abbiamo netta sensazione, intimamente connessi al nostro sentire presente e alla nostra attuale emotività.  Solo così li ri-viviamo ed è così che ogni ricordo finisce per rappresentare una gestalt che andrà conclusa, pena un’inquietudine che non riusciremo a gestire. Anche per questo, narrarsi, nei colloqui di counseling, ha un ruolo insostituibile per comprendere, attraverso i ricordi, quale relazione abbiamo con noi stessi, con il nostro passato e se e come siamo in grado di vederci nel futuro. E dunque, quale relazione tra memoria e identità?

 

Parlare di memoria significa considerarlauno dei molteplici fattori di riferimento per definire e caratterizzare l’identità personale. Levy (2009) ha evidenziato come la memoria, nonostante non sia unèè elemento esaurientemente esplicativo dell’identità, rappresenta tuttavia una condizione necessaria a qualificare quest’ultima; d’altra parte, perché si possa parlare di memoria è necessario che si disponga di un centro unitario del sé che raccolga, sintetizzi e auto attribuisca i ricordi. In una simile prospettiva, il ricordo diventa fondamentale non tanto per definire la nostra identità da un punto di vista ontologico, quanto piuttosto da un punto di vista fenomenologico, poiché (ancora Levy, 2009), a seconda di come e cosa ricordiamo e a seconda dell’importanza che attribuiamo ad un  ricordo, siamo in grado di descrivere noi stessi e più in generale la nostra identità [cfr. Moneo ergo sum. Il ruolo della memoria nella formazione dell’identità personale, Prometeo, settembre 2018, pag. 68].

           Cartesio, pur avendo distinto tra res cogitans e res exstensa e riconosciuto l’importanza dell’io penso, si è posto il problema della natura di un tale io che se trova un difficile collocamento nell’ordine naturale delle cose, dall’altra non può neppure godere duna spiegazione spirituale, da Cartesio stesso esclusa, negando l’esistenza dell’anima.

Le neuroscienze, dal canto loro, cercando una corrispondenza tra stati mentali e cervello, tendono a considerare un’integrazione unitaria tra ragione ed emozione, in cui ragione non è intesa come puro pensiero, emozione come puro istinto e il corpo assume quindi un ruolo importante e necessario nella definizione e costruzione concettuale e pragmatica dell’identità (Damasco, 2003).

Ma, qual è la natura del rapporto mente-corpo e come garantire che l’identità di ciascuno, intesa come epifenomeno, resti continua nel tempo? L’identità di ciascuno si dilata in modo omogeneo nel tempo, o è sistema discontinuo nel quale si avvicendano diverse fasi-persona (Sparti, 2000)? Inoltre, quanto del nostro corpo assicura la continuità della nostra persona?

Sembrerebbe di poter affermare che i nostri meccanismi mentali, coscienza, linguaggio, comprensione, pensiero artistico… siano prodotti dal nostro cervello  che, quindi, costituirebbe il solo elemento fondante la nostra identità personale. Lo afferma Edelman (1993) sostenendo che il cervello è la causa prima della nostra identità e che grazie alla sua natura biologica e al modo con cui i nostri sistemi neuronali si modificano, auto-organizzano e collegano in relazione all’ambiente, si può conciliare il dualismo cartesiano.

Tuttavia, la comprensione del funzionamento del nostro cervello non può prescindere dal legame indissolubile e di interdipendenza che esso ha con il resto del corpo e la memoria è uno strumento atto a riorganizzare i nostri schemi percettivi al fine di produrre il pensiero, per così dire, superiore. La nostra conoscenza, il nostro pensare, il nostro agire sono il risultato complesso di una relazione cervello-corpo-ambiente. Perché si possa parlare di un Io pensante, occorre aver sviluppato una coscienza empirica dell’Io stesso a cui riferirsi come entità che appartiene al mondo oggettivo-materiale (Strawson, 1966), e alla memoria è attribuita la funzione di dare senso al nostro pensiero e più in generale alla nostra identità (Evans, 1882).

Andrea Maio così conclude: Probabilmente non disponiamo ancora di strumenti teorici in grado di rispondere esaurientemente a tutte le questioni. È auspicabile che le conquiste neuroscientifiche possano venire in aiuto, ma in attesa di tale evento si può considerare e notare che per quanto ancora incapaci di capire esattamente in che modo la nostra memoria rivesta un ruolo fondamentale per l’identità personale, essa resta determinante nel dare un senso ad una soggettività che si dispiega nel tempo [ibidem, pag. 74].

Memoria e identità: due facce di una stessa medaglia

Se è vero che ricordi ed esperienze influenzano il nostro cammino, imparare a gestirli bene consente di affrontare al meglio le sfide future. Memoria e identità si formano di pari passo.

(cfr.https://www.riza.it/psicologia/tu/5863/memoria-e-identita-due-facce-di-una-stessa-medaglia.html)

Tra le tante ragioni alla base dei risultati ottenuti, una, in particolare, sembra avere un peso superiore alle altre: tra i quindici e i venticinque anni, la corteccia cerebrale arriva ad ultimare il suo processo di accrescimento e, negli stessi anni, procede di pari passo la “costruzione” dell’identità individuale, intesa come insieme di credenze, valori, atteggiamenti e inclinazioni che contribuiscono a strutturare la personalità di ciascuno.

I ricercatori definiscono “reminiscence bump” (urto di reminescenza) la tendenza a ricordare gli accadimenti vissuti nel corso della giovinezza molto meglio che in altri periodi. Gli eventi memorizzati in questo periodo, entrando a far parte della struttura di personalità in fase di definizione, verrebbero fissati con maggiore intensità.

I molteplici aspetti della vita vivere, positivi o negativi che siano, sono spesso imprevedibili e inevitabili.

 Possiamo rimanere stupiti da tanta complessità, e, tuttavia, se riusciamo a non identificarci con i nostri successi e a non deprimerci per gli errori commessi, potremo guardare al futuro con spirito più leggero e costruttivo. Non siamo né la vittoria che ricordiamo con orgoglio né la disfatta che ci ha fatto vergognare. Siamo esseri in cammino, in perenne divenire, destinati ad oscillare tra le polarità del vivere: prendiamone atto e pro-agiamo.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

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