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CON GLI OCCHI BENDATI IMPARI A GUARDARE OLTRE

Inviato da Yvan Rettore

Il senso della vista spesso usato in modo riduttivo in quanto non ci consente di percepire la realtà per ciò che è ma in unicamente in funzione del nostro modo quotidiano di focalizzarle.

È necessario quindi recuperare questo senso preziosissimo della nostra esistenza emancipandoci da pregiudizi e limiti che sono all’interno di noi.

Il più delle volte siamo portati a vedere unicamente le cose in funzione delle nostre aspettative visive e trascuriamo ciò che non ne fa parte.

Interpretiamo la realtà delle cose in modo così esponenziale da sottometterla ad una del tutto soggettiva che ci costruiamo attraverso la potenza della nostra mente.

Qualsiasi individuo ha vissuto nella propria esistenza esperienze sensoriali che portano a pensare di essere in una situazione priva di uscita o in assenza di una concreta libertà di scelta.

E la conseguenza di quei momenti si traduce in una situazione dominata da una longanimità apparentemente senza fine.

È fondamentale quindi superare la sfera di ciò che percepiamo con gli occhi.

Questo perché rimaniamo inconsapevolmente succubi di una visione alterata della realtà in quanto inondata da limiti e aspettative che non ci consentono di liberarci dalle catene costruite all’interno del nostro essere.

Non riusciamo a cogliere il fatto che i nostri occhi sono lì per permetterci di superare lo spazio percepito, di entrare maggiormente nella profondità delle cose e quindi di superarne la superficialità e di scoprire ciò che le azioni ripetitive del nostro vissuto quotidiano celano.

I nostri occhi ci possono dare la possibilità straordinaria di andare oltre ciò che percepiamo, di fare spazio ad elementi extrasensoriali ma assolutamente unici nel loro genere.

Perciò è basilare che vengano esercitati nel penetrare all’interno delle cose, di andare oltre la semplice percezione visiva.

In tal modo potremo scoprire ciò che emerge perché originale e non banale e saremo in uno stato tale da consentirci di vivere un nuovo orientamento e reperire un percorso nuovo da intraprendere che darà una sterzata notevole rispetto a quanto applicato ripetutamente nel passato.

Quando si vive nel buio totale, in realtà finiamo col vedere di più.

Per capire meglio questa evidenza, è consigliabile aprire la vista interiore e chiudere quella esteriore.

Per riuscirvi sul piano pratico è sufficiente bendarsi con una fascia di seta o di raso nera.

Nel proprio ambito domestico, da soli o con i membri della propria famiglia anch’essi bendati, si può tentare di svolgere alcune azioni che rientrano nelle nostre attività quotidiane.

Ci si sposta da un ambiente ad un altro, si va alla ricerca di una cosa qualsiasi e poi si tenta di posizionarla in un altro luogo.

In seguito ci si avvia a realizzare operazioni via via più difficili come recarsi in bagno e lavarsi le mani, andare in cucina e lavare i piatti, reperire un determinato libro nello studio, fare il letto, ecc…

Non ci sono limiti di tempo e nemmeno di prove da fare.

Si possono fare benissimo tutte quelle che si desiderano fare.

Compreso mettersi le dita nel naso!

Scherzo, ovviamente.

Se si è in compagnia, si possono inventare sul momento giochi o attività da fare insieme.

Basta che tutto venga svolta spontaneamente e senza imposizione alcuna.

Realizzando una simile esperienza si accede a nuovi canali di conoscenza della realtà che ci circonda.

Il fatto di non vedere ci consente infatti di scoprire nuove dimensioni percettive, attitudinali e rientranti nel profondo del nostro essere.

In assenza totale di capacità visiva, altri elementi appaiono, in particolare quelle relative alla sfera delle nostre intuizioni, specie quelle che richiedono maggiore concentrazione.

La dimensione dei ricordi legati alla capacità di orientarsi all’interno di un ambiente noto risalta all’interno del nostro essere.

Altri sensi si esaltano maggiormente, soprattutto l’udito e l’olfatto, sensi di cui cogliamo troppo spesso la presenza soltanto quando ci consentono di percepire gli elementi negativi che possono esserci intorno a noi.

In questo caso, al contrario diventano alleati preziosi nell’orientarci efficacemente nello spazio.

Grazie a questo stato momentaneo di cecità assoluta si coglie il carattere spesso effimero e abitudinario delle nostre azioni rette da un’infinità di automatismi tali da diventare incontrollabili e dominanti fino al punto da non permetterci invece di ricorrere all’uso di altri percorsi, altri “sentieri”, altre vie ben più complete e arricchenti nel vivere la nostra realtà quotidiana.

Si può anche andare oltre e scoprire la sfera extrasensoriale e le potenzialità del tatto, senso spesso trascurato, aggiungendo alla cecità momentanea anche l’isolamento dell’olfatto e dell’udito.

E ci si accorgerà sorprendentemente che si può interagire con lo spazio, gli altri e noi stessi in modo ancora più profondo entrando in una dimensione affascinante e misteriosa del nostro essere.

Ma questo è un altro tipo di esperienza meritevole di un approfondimento ulteriore da farsi in un altro momento.

 

Yvan Rettore

   

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Il counseling, un processo enattivo per la formazione di sé


Cosa  potrebbe  consentire  un nuovo mondo  possibile?  Einstein  affermava  che: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”. Un nuovo mondo possibile necessita  di  un  cambio  di  azione  e  per  questo  un  cambio  della  percezione  che  è  essa  stessa un'azione. Chiediamoci, dunque, come percepiamo noi stessi ed il mondo? Come ci relazioniamo? Qual è l'ambito cruciale in cui portare il cambiamento? La mia idea è che tale spazio sia la form-azione, che vedo interconnessa con lo sviluppo personale inteso come l'azione di prendere la propria forma.

Quando  osservo  il  mondo,  interno  o  esterno,  mi  trovo  di  fronte  ad  una  molteplicità,  una moltitudine indifferenziata, un infinito potenziale per sua natura imprevedibile. Di fronte a questo scenario, spesso, la prima reazione è l'angoscia e la prima risposta, anziché essere il dialogo, è il tentativo  di  controllo.  In  passato,  le culture tribali hanno utilizzato i miti e i  riti  per  dare  ordine  ed  organizzare quel  caos.  Un  approccio  relazionale che  conserva  gran  parte  di  quella moltitudine sebbene in una contrazione simbolica. Oggi utilizziamo il meccanicismo, il determinismo  ed  il  riduzionismo.  Il meccanicismo  trasforma  il  complesso in  complicato  immaginandolo  come una  sommatoria  di  parti  separate  e catalogabili. Il determinismo immagina  un  nesso  causale  unico  e lineare aprendo la strada ad una supposta prevedibilità. Il riduzionismo semplifica la moltitudine di elementi  ed  interconnessioni  dichiarando  che  ciò  con  cui  ci  confrontiamo:  “non  è  altro  che...”. Provocatoriamente potremmo dire che si tratta di un trucco. Siccome ciò che ho di fronte è troppo grande  ed  incerto,  anziché  lavorare  sulla  mia  angoscia  e  creare  mappe  ordinate  ma  complesse, deformo ciò che sta di fronte immaginandolo come piccolo e prevedibile. Proviamo ad immaginare di  fronte  a  noi  una  persona  impegnata  in  una  formazione.  Come  formatore,  ho  due  strade  per lavorare con lui o lei, sia che ci troviamo a scuola, in una formazione post-diploma o post-laurea così come all'interno di un percorso di crescita personale. Nella prima, fisso un obiettivo standard da raggiungere. Sulla base di quello stilo un programma a tappe fisse. Durante il percorso continuo a  guardare  chi  ho  di  fronte  come  un  insieme  di  caratteristiche  che  valuterò  come  rinforzare  o correggere in base alla pianificazione o al modello ideale. In quest'attitudine la modalità educativa sarà  quella  dell'imboccare  (in-ducere  e  in-segnare)  in  modo  frontale  ed  uguale  per  tutti  e  del correggere.  Nella  seconda,  incontro  il  TU di  fronte  a  me  nella  sua  soggettività e  nell'autentico desiderio  di  conoscere  lui  o  lei  ed  il  suo  mondo,  nella  consapevolezza  della  sua  unicità.  Il  vero incontro sorprende  e  prevede  una  relazione  circolare  dove  ogni  stimolo  immesso  nella  relazione educativa riceve un feed-back che orienterà lo stimolo successivo. Qui il focus non è sul programma ma sulla  relazione. La relazione educativa si impronterà così nella direzione dell'ex-ducere  (portar fuori)  e  ad-prendere  (togliere  dal  caos dando senso e forma  all'evento).  La  prima  strada è quella largamente  diffusa  la  seconda  è  quella  che  crea  la  possibilità  di  una  ri-forma  della  formazione, dell'educazione  e  dello  sviluppo  personale.  Tale  riforma  deve  partire  dall'emancipazione  dai  tre elementi  sopraccitati:  la  separazione  o  disgiunzione,  la  riduzione  ed  il  determinismo.  Le  loro conseguenze,  sono  la  separazione  mente-corpo,  sé-mondo,  oggetto-soggetto  e  nelle  relazioni educative,  la  negazione  del  corpo  e  delle  emozioni  a  favore  della  cognizione,  delle  intelligenze multiple  a  favore  di  quelle  linguistiche  e  logico-matematiche.  Un  circolo  vizioso  che  potremmo definire come caratterizzato da un “atteggiamento pedagogico disincarnato" (Zambianchi-Scarpa).  Tali  separazioni  sono  frutto  del  barattare  la  complessità  con  la  complicazione. Il complicato (cum-plicare) è assemblato, piegato insieme e pertanto va s-piegato, togliendo le pieghe. Spiegare significa considerare una persona o un gruppo come un oggetto, applicandogli tutti i mezzi oggettivi  di  conoscenza.  Al  contrario,  comprendere  empaticamente comporta  identificazione  e proiezione da soggetto a soggetto. Se vedo un bambino che piange, lo comprenderò non misurando il grado di salinità delle sue lacrime, ma ritrovando i miei sconforti infantili, identificandolo con me e identificandomi con lui. Potrò così sentirmi simile a lui per umanità e differente rispetto alla sua singolarità.  L'educazione  alla  comprensione  empatica,  l'opera  educativa  principale,  è  assente  dai nostri  insegnamenti.  Gli  ostacoli  alla  comprensione  umana  sono  l'indifferenza,  l'egocentrismo, l'autogiustificazione  e  l'automenzogna.  Questi  portano  a  vedere  soprattutto  i  difetti  altrui  e  a disconoscerne  l'umanità.  Comprendere  significa  considerare  più  elementi,  avere  una  visione complessa, spostandosi dal  problem solving  al  problem setting/exploring. Una pedagogia in grado di  comprendere  e stimolare  può generare  un'attenzione  autentica  e partecipe.  Per formare,  diceva Platone,  c'è  bisogno  dell'Eros,  cioè  dell'amore.  Per  lui  non  si  apre  la  mente  senza  il  cuore.  La punizione  considera  solo  il  sintomo  e  non  le  cause.  L'errore  è  un'informazione  che  ci  racconta qualcosa, se vogliamo impegnarci nella comprensione, delle possibili cause: etichette che colludono con  immagini  di  sé  condizionanti,  intelligenze  alternative,  assenza  di  riconoscimenti,  contesto socio-culturale ed altro ancora. Bisogna passare a una metastruttura di pensiero complesso, quella che  Bateson  chiamava  la  struttura-che-connette,  in  grado  di  capacitarsi  delle  cause dell'incomprensione  degli  uni  nei  confronti  degli  altri.  Occorrerebbe  trasmettere  la  comprensione empatica  a  partire  dalla  scuola  primaria  e  continuare  attraverso  la  scuola  secondaria  fino all'università, senza scindere l'insegnamento dall'educazione, perché non c'è cure senza care. Cure è un'approccio  focalizzato,  come  insegnare  un  lavoro,  guarire,  risanare.  Care  significa  avere  cura della relazione, tenerci, prendersela a cuore. Incarnare la relazione educativa significa restituirle la sua enattività,  ovvero della  sua capacità  di generare,  produrre forme  significanti,  apprendendo un modo  di conoscenza  che  colleghi,  integrando  una  visione  complessa.  Complessità  (cum-plectere) significa  intrecciare  insieme tante  cose in un'unità  così che  la moltitudine  caotica  possa apparirci come un'unitas multiplex. “Il tema del cambio di paradigma riguarda il modo di conoscere noi stessi ed il mondo  che ci circonda. Questa nuova visione non è fondata sulle cose in se stesse ma sulle relazioni  che  intercorrono  tra  loro.” (Rossi).  In  quest'ottica,  formare  è  un  agire  che  mentre  fa inventa il proprio modo di fare, attraverso un processo relazionale circolare. La relazione  di counseling è quel rapporto intersoggettivo  teso a dare forma,  non nel senso di “plasmare” ma di facilitare l'altro nell'atto di prendere la propria forma. In tal senso, la relazione è formativa, ovvero enattiva, generativa di conoscenza. E' capace di “dare forma al sé” in modo da consentire  l'autorealizzazione,  ovvero  la  realizzazione  autopoietica.  L'autopoiesi  è  quel  processo relazionale  attraverso  il  quale  ogni  variazione  viene  integrata  in  modo  che  ogni  volta  il sistema/persona/gruppo  possa  ritrovare  la  propria  unicità.  Il  counseling  affonda  le  sue  radici epistemologiche  nella  fenomenologia.  In  questo,  supera  il  modello  meccanicista-determinista- riduzionista,  a  favore  di  una  visione  olistica,  complessa,  funzionale  alla  comprensione  della relazione che si sviluppa nel qui ed ora. Il sapere non è valido sempre e comunque, ma è coinvolto ed  interamente  immerso  nell'attualità  della  particolare  situazione.  Il  processo  fenomenologico  è costruito intorno al “movimento dialettico”. L'approccio è centrato sulla persona ed è caratterizzato da: autenticità e congruenza, accettazione positiva incondizionata ed empatia. Nella mia scuola di counseling  LASU  di  Parma  (www.lasu.it),  ad  esempio,  lo  proponiamo  con  due  indirizzi.  Quello umanistico lo unisce alla gestalt, mentre quello  transpersonale alle tecniche olistiche. La modalità didattica è integrata ed innovativa. L'approccio interdisciplinare, approfondisce, crea connessioni ed esperienze,  supportando  con  e-learning  e  supervisione  online,  rendendo  circolare  la  formazione attraverso l'uso della flipped classroom con lab simulate e tell simulate.

Autore: Fabrizio Rossi Dottore in Filosofia, Counselor, Formatore e Supervisore CNCP. Direttore LASU Parma. Autore di "Tutto è Relazione, la visione olistica del counseling" (ed. Crisalide). Info: www.lasu.it

Bibliografia

Bateson, G., Verso un'ecologia della mente, Adelphi, 1988

Gembillo, G., Anselmo, A., Filosofia della complessità, Le Lettere, 2019

Morin, E., Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l'educazione, Cortina, 2015

Rossi, F., Tutto è Relazione, una visione olistica del counseling, Crisalide, 2019

Zambianchi, E., Scarpa, S., En-attività della relazione educativa e costruzione del sé, Tab, 2020