Transactional Mindfulness: mindfulness e Analisi Transazionale - Pagina 2


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Transactional Mindfulness: mindfulness e Analisi Transazionale
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La consapevolezza nell’AT
E. Berne in “A che gioco giochiamo” definisce l’autonomia in termini di consapevolezza, spontaneità ed intimità.

“Consapevolezza significa capacità di vedere una caffettiera e di sentire cantare gli uccelli a modo nostro e non come ci è stato insegnato. […] La consapevolezza esige che si viva presenti, quanto al luogo e al momento, e non altrove, nel passato o nel futuro. […] La persona consapevole è viva perché sa che cosa prova, sa dove si trova e quale momento vive” (E. Berne, “A che gioco giochiamo?”, Bompiani 2002, pag. 205 e seg.)

E’ particolarmente interessante notare come la descrizione della realtà muti, acquisisca profondità, spessore, colore nella descrizione dell’esperienza percettiva di un “adulto sano” – in quelle stesse pagine e per tutta l’estensione del suo famoso best seller, Berne descrive diversi modi di trascurare tutto ciò che ci sta introno, spesso con esiti drammatici quando ciò accade ai rapporti interpersonali.

La consapevolezza sembra quindi un fattore importante per definire la raggiunta salute mentale.

Anche le qualità di spontaneità ed intimità sono riconducibili all’atteggiamento della minduflness: stare con le cose, le emozioni e le sensazioni così come sono, senza interferire è sicuramente parte di ogni atteggiamento genuinamente spontaneo.

La dimensione dell’intimità può a prima vista apparire la meno correlata con l’atteggiamento della mindfulness; tuttavia, credo a questo punto possa essere utile una breve digressione su strutturazione del tempo, giochi e intimità.

Come sappiamo, per rispondere alla fondamentale necessità di strutturazione del tempo e relazione, gli esseri umani possono mettere in atto diverse strategie, alcune salutari, altre patologiche a gradi diversi. La formula classica dei giochi prevede un “inconsapevole” gancio afferrato da un altrettanto inconsapevole “anello”, intendendo per gancio e anello i due partecipanti al gioco che senza avvedersi scambiano transazioni ulteriori (ovvero nascoste a prima vista), che modificano il significato pragmatico della relazione. L’esito ultimo deriva proprio dal manifestarsi dell’effettiva relazione costruita in un improvviso e dolorso lampo di consapevolezza: abbiamo così il ribaltamento e la confusione che ne deriva - confusione che riporta entrambi allo stesso livello di consapevolezza da cui erano partiti. Classicamente, l’antidoto ad un gioco è sempre stato l’utilizzo di una certa dose di consapevolezza della “vera” relazione che si va definendo tra i due partecipanti; la dose relativa di consapevolezza è tanto maggiore quanto più avanzato è lo svolgersi del gioco transazionale. Ora, come sappiamo, l’intimità è quanto si cerca di evitare scegliendo di strutturare il proprio tempo con un gioco: la difficoltà di stare con le proprie emozioni e prendere parte ad una relazione spontanea motivano i partecipanti a costruire uno scambio tanto doloroso come quello descritto. La consapevolezza sembra così strettamente legata alla possibilità di costruire una relazione spontanea ed intima, permettendo di stare, semplicemente, con le emozioni che questa suscita senza volontà di manipolazione.

In questo breve excursus vediamo già l’utilizzo della consapevolezza non giudicante come fattore terapeutico: impiegata nelle fasi iniziali de gioco previene il suo svolgersi; durante il suo svolgersi, permette di uscirne e di ripristinare una situazione in cui la “salute” della relazione è ancora raggiungibile.

 

Valore della consapevolezza nella pratica clinica e di counselling

 

L’intuizione fondamentale della consapevolezza come fattore terapeutico è presente in ogni tecnica di ascolto attivo. Si pensi ad esempio alla parafrasi o alla verbalizzazione: nell’un caso si tratta di rirpororre un contenuto espresso dal cliente stesso al solo scopo di renderlo più consapevole di esso; nel secondo caso di esprimere chiaramente e riconoscere una emozione del cliente.

Nel modello di intervento di Carkuff (riportato in Gazda, Sviluppo delle relazioni Umane, manuale per educatori, IFREP Roma) , applicabile sia in abito psicoterapeutico che di counselling, è evidente come la Fase Facilitante, suddivisa in esplorazione e comprensione del problema del cliente, punti proprio ad un aumento di consapevolezza degli elementi che ne costituiscono il quadro di vita.

Interessante notare come le qualità del counsellor (empatia, rispetto…) siano tutti aspetti rintracciabili nel costrutto mindfulness, ovvero notare come la capacità di esercitare consapevolezza non giudicante ed accogliente nei confronti del vissuto del cliente promuova proprio in quest’ultimo la capacità di esplorarsi con altrettanta consapevolezza.



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