In questo breve articolo, verrà illustrato come l’approccio basato sulla consapevolezza (mindfulness based) possa essere utilmente integrato con l’approccio Analitico Transazionale alla comprensione dei fenomeni psichici.
Iniziamo con qualche parola di introduzione alla mindufulness ed al ruolo sempre più ampio che questa sta svolgendo nell’ambito psicoterapeutico con la cosiddetta Third Generation CBT (“terza ondata” della Terapia –Cognitiva).
La mindfulness è uno stato mentale che ha a che fare con particolari qualità dell'attenzione e della consapevolezza. Ci si riferisce innanzitutto ad un'esperienza vissuta, a uno stato mentale, ad uno stato di coscienza. Per favorire una comprensione diretta attraverso l'esperienza, spesso si sceglie di non tradurre il termine inglese mindfulness. Di seguito utilizzeremo il termine “mindfulness” non tradotto, per non indurre distorsioni o precomprensioni che un termine ampio come “consapevolezza” può suscitare in un lettore italiano. Resta tuttavia stabilito che la consapevolezza, come vedremo, è una delle dimensioni fondamentali dell’atteggiamento mindfulness based. Qui di seguito si riportano alcune tra le definizioni più utilizzate, utili alla comprensione del suo significato:
... consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell'esperienza momento per momento: a) con intenzione b) nel presente c) in modo non giudicante (Jon Kabat-Zinn).
..."attentional control" (Teasdale, Segal, Williams)
Le tecniche per sviluppare sistematicamente questo atteggiamento mentale sono state in gran parte derivate dalla plurisecolare tradizione meditativa orientale, ed in particolare dal Buddismo del sud-est asiatico (Buddismo Theravada) ed alla tradizone dello Zen (Buddismo Zen giapponese, coreano e vietnamita). Ciononostante, tutti gli approccio che a vari titolo si richiamano alla mindfulness rivendicano una totale indipendenza da qualsiasi filosofia o pratica religiosa, rivendicando, come vedremo, la piena adesione ai protocolli occidentali di verifica evidece based per gli interventi psicoterapeutici[1].
Possiamo così dire che, pur derivando da tecniche meditative ampiamente validate da secoli di pratica, la mindfulness non coincide con nessuna delle filosofie e religioni da cui deriva.
Non è un caso, infatti, che si preferisca utilizzare un termine neutro come mindfulness, piuttosto che sati che indica in lingua Pali (la lingua del Canone Buddista che descrive questa ed altre tecniche meditative) al consapevolezza non giudicante.
La seconda domanda a cui è necessario rispondere prima di proseguire è: perché dovremmo essere interessati a praticare sistematicamente un tale atteggiamento? La risposta è semplice e di estrema importanza – perché una mente consapevole può risolvere e prevenire la sofferenza psichica in modo efficace.
L’osservazione non sembrerà troppo peregrina a nessuno che sia entrato in contatto con l’AT che da sempre indica nella consapevolezza una delle caratteristiche fondamentali dell’essere adulti sani. E’ tuttavia una ipotesi scientificamente assai interessante che la consapevolezza sia non solo un traguardo ed un indicatore di maturità, ma uno strumento di guarigione.
L’interesse per questa pratica è quindi nell’indicare una modalità sistematica di coltivazione di un fattore di guarigione.
“Consapevolezza significa capacità di vedere una caffettiera e di sentire cantare gli uccelli a modo nostro e non come ci è stato insegnato. […] La consapevolezza esige che si viva presenti, quanto al luogo e al momento, e non altrove, nel passato o nel futuro. […] La persona consapevole è viva perché sa che cosa prova, sa dove si trova e quale momento vive” (E. Berne, “A che gioco giochiamo?”, Bompiani 2002, pag. 205 e seg.)
E’ particolarmente interessante notare come la descrizione della realtà muti, acquisisca profondità, spessore, colore nella descrizione dell’esperienza percettiva di un “adulto sano” – in quelle stesse pagine e per tutta l’estensione del suo famoso best seller, Berne descrive diversi modi di trascurare tutto ciò che ci sta introno, spesso con esiti drammatici quando ciò accade ai rapporti interpersonali.
Anche le qualità di spontaneità ed intimità sono riconducibili all’atteggiamento della minduflness: stare con le cose, le emozioni e le sensazioni così come sono, senza interferire è sicuramente parte di ogni atteggiamento genuinamente spontaneo.
La dimensione dell’intimità può a prima vista apparire la meno correlata con l’atteggiamento della mindfulness; tuttavia, credo a questo punto possa essere utile una breve digressione su strutturazione del tempo, giochi e intimità.
Come sappiamo, per rispondere alla fondamentale necessità di strutturazione del tempo e relazione, gli esseri umani possono mettere in atto diverse strategie, alcune salutari, altre patologiche a gradi diversi. La formula classica dei giochi prevede un “inconsapevole” gancio afferrato da un altrettanto inconsapevole “anello”, intendendo per gancio e anello i due partecipanti al gioco che senza avvedersi scambiano transazioni ulteriori (ovvero nascoste a prima vista), che modificano il significato pragmatico della relazione. L’esito ultimo deriva proprio dal manifestarsi dell’effettiva relazione costruita in un improvviso e dolorso lampo di consapevolezza: abbiamo così il ribaltamento e la confusione che ne deriva - confusione che riporta entrambi allo stesso livello di consapevolezza da cui erano partiti. Classicamente, l’antidoto ad un gioco è sempre stato l’utilizzo di una certa dose di consapevolezza della “vera” relazione che si va definendo tra i due partecipanti; la dose relativa di consapevolezza è tanto maggiore quanto più avanzato è lo svolgersi del gioco transazionale. Ora, come sappiamo, l’intimità è quanto si cerca di evitare scegliendo di strutturare il proprio tempo con un gioco: la difficoltà di stare con le proprie emozioni e prendere parte ad una relazione spontanea motivano i partecipanti a costruire uno scambio tanto doloroso come quello descritto. La consapevolezza sembra così strettamente legata alla possibilità di costruire una relazione spontanea ed intima, permettendo di stare, semplicemente, con le emozioni che questa suscita senza volontà di manipolazione.
In questo breve excursus vediamo già l’utilizzo della consapevolezza non giudicante come fattore terapeutico: impiegata nelle fasi iniziali de gioco previene il suo svolgersi; durante il suo svolgersi, permette di uscirne e di ripristinare una situazione in cui la “salute” della relazione è ancora raggiungibile.
L’intuizione fondamentale della consapevolezza come fattore terapeutico è presente in ogni tecnica di ascolto attivo. Si pensi ad esempio alla parafrasi o alla verbalizzazione: nell’un caso si tratta di rirpororre un contenuto espresso dal cliente stesso al solo scopo di renderlo più consapevole di esso; nel secondo caso di esprimere chiaramente e riconoscere una emozione del cliente.
Nel modello di intervento di Carkuff (riportato in Gazda, Sviluppo delle relazioni Umane, manuale per educatori, IFREP Roma) , applicabile sia in abito psicoterapeutico che di counselling, è evidente come la Fase Facilitante, suddivisa in esplorazione e comprensione del problema del cliente, punti proprio ad un aumento di consapevolezza degli elementi che ne costituiscono il quadro di vita.Interessante notare come le qualità del counsellor (empatia, rispetto…) siano tutti aspetti rintracciabili nel costrutto mindfulness, ovvero notare come la capacità di esercitare consapevolezza non giudicante ed accogliente nei confronti del vissuto del cliente promuova proprio in quest’ultimo la capacità di esplorarsi con altrettanta consapevolezza.
Vorrei terminare con un esempio di quello che intendiamo per Transactional Mindfulness, ovvero i come la mindfulness possa inserirsi nell’analisi delle transazioni.
L’esempio è liberamente tratto da una interazione in un aula di formazione. L’episodio è quello di un counsellor che si vede contestato da un partecipante ad un incontro di gruppo. Il tema trattato è stata la gestione delle emozioni, in particolare la negoziazione degli impegni nell’educazione dei bambini tra 6 e 12 anni. Il dialogo è stato il seguente:
Partecipante:- No, scusa… Ma non sono proprio d’accordo che bisogna “contrattare” con i filgi: così finisco che per fargli fare il suo dovere gli devo comprare chissà che… tipo il motorino o che so io.Si viziano i figli così! No no! Lui deve fare i compiti e basta: io mica scelgo di andare a lavorare tutte le mattine, ci vado e basta.”
Un ‘altra possibilità è però quella di utilizzare la mindfulness nella scelta della risposta. In questo caso, si può percepire ed essere consapevoli della rabbia o dell’umiliazione che una critica di fronte ad una platea suscita in noi (stato emotivo legato al Bambino), come schematizzato in figura.
Accettando di essere così come si è senza giudizio, ovvero guardando la situazione con l’occhio di un Genitore Nutritivo, è così possibile fare un’ipotesi su come si sia sentito il partecipante che ha mosso questa critica – ovvero è possibile, guidati dai propri sentimenti, sintonizzarsi sui sentimenti del nostro interlocutore e fare alcune ipotesi: ha avuto una educazione rigida? Cova inconsapevolmente invidia nei confronti dei figli che sente stanno godendo di privilegi che lui/lei non ha avuto? Manifesta in fondo un bisogno legittimo di essere liberato dal peso di doveri che lo incastrano fin da quando era piccolo?
Queste ipotesi, rese possibili dallo spazio aperto della mindfulness, possono spingere ad utilizzare una diversa strategia di approccio, ossia di rispondere dallo stato di Genitore Nutritivo, verbalizzare con poche frasi le emozioni del nostro interlocutore (es. “Dal tono che ha usato nel suo intervento, mi sembra colpito e forse arrabbiato.”) e continuare con qualche domanda esplorativa (es. “E’ interessante farsi un’idea più chiara: ha qualche esempio circa il viziare i figli che le è capitato?”). I modi di rispondere possono essere molti, da scegliere a seconda dell’obiettivo didattico che ci si prefigge. Vale la pena riconoscere però in questa dinamica, la possibilità di riconoscere in sé gli stessi sentimenti che il nostro interlocutore sta provando e, attraverso la mindfulness, portando l’attenzione sull’esperienza dell’accettazione incondizionata del proprio vissuto nel qui e ora, aprire uno spazio di intervento su di sé, che si dimostra efficace anche sull’altro.
La mindfulness è la coltivazione sistematica della consapevolezza del corpo, delle sensazioni spiacevoli e piacevoli, di pensieri, sentimenti ed emozioni così come sono nel momento presente. Non si tratta di una “nuova” tecnica, quanto della esplicitazione di uno dei fattori terapeutici implicati nella pratica quotidiana di psicoterapeuti e counsellor. Individuarla però non solo come effetto di una terapia ben condotta, ma come fattore sempre in azione in ogni transazione è una possibilità in più per ogni operatore della salute psichica.
[1] Inoltre, lo studio delle tradizioni meditative e mistiche occidentali sta rivelando una altrettanto profonda ricchezza di tecniche nelle quali l’accento sulla consapevolezza non giudicante è altrettanto presente. I motivi per cui la tradizione meditativa e mistica occidentale sia rimasta per così lungo tempo ignorata dalla psicologia ufficiale e prima ancora dalle diverse Chiese occidentali è un argomento affascinante, che tuttavia ci condurrebbe al di là degli obiettivi del presente articolo. Per tutti un valido riferimento in ambito cristiano è Leloup J.-Y., L’Esicasmo. Che cos’è, come lo si vive, Milano 1992,
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