“Quando la nave è in avaria”


 timone

Adesso, memore di una giovinezza passata sulla nave “Romania” dove le coste Occidentali erano viste irraggiungibili, essendo nata sul Danubio, mi comporto come un marinaio su un’imbarcazione in avaria. Su quella nave c’era l’orario per l’acqua (quasi sempre fredda), l’orario per l’elettricità alternata col lume delle candele (non profumate, né colorate, né zen…), cibo scarso (neanche kilometro zero) e contemplato con parsimonia. Gli orari della tivù sfornavano continue patriottiche gesta del comandante ormai odiato in sordina da tutti. Rimaneva un po’ di spazio per i film sul nazionalismo cinese e la moda a… Dallas.

 In tanti sentivamo il bisogno di diversificare le esigenze nutritive e la mancanza di vivande era sublimata con letture (soprattutto i classici), coll’andare a teatro e non per fare sfilate o gossip. Le cose peggiorarono dopo la morte di mio padre quando diventai capo famiglia. Per anni rinunciai ad altro ancora, perché la sopravvivenza non dava spazio a sogni e svaghi.               

Arrivata nel mondo occidentale di altro “tanto” e “troppo” capii col tempo che per ogni cosa serviva una misura, che ogni purificazione, per avere effetto, deve diventare consapevole.  In momenti di difficoltà nessuno si abbandona di buon grado all’austerità ed è costretto ad essere onesto affinché possa soltanto attingere alle sue risorse interiori. Nell’isolamento si può scoprire o completare lo studio del proprio sé, perché l’essere si possa veramente riconoscere come particella nei molti.  Una golosità? Il possesso della temperanza che non deve essere violento né passivo.  

Ora, la fragilità dell’economia mette in gioco la sua moneta con due facce: Virtus e virus.

E se nei tempi virali l’unica soluzione è la strettoia, qui dobbiamo virare la nave prima possibile!

 

Elisabeta Petrescu

Sanremo, 24/03/2020 

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