Legge del Cosmo e forme dell'Amore

Inviato da Nuccio Salis

cosmoDare, chiedere e ricevere, sappiamo farlo? Sono tre importanti movimenti che ci “portano verso”, ci “conducono a”, ci mettono in relazione con qualcuno. Quanto siamo in grado di dare? Se fossimo soli, non inteso come solitari ma come stelle, irraggeremo il nostro amore verso il prossimo, gratuitamente, senza pretendere nulla in cambio. Amare senza aspettarsi altrettanto ci fa somigliare al sole, poiché significa offrire luce senza pretendere un tornaconto. È l’amore spassionato e viscerale di cui sono capaci soltanto i bambini molto piccoli e gli animali. L’adulto giammai, è troppo corrotto e contaminato per poter somigliare a una stella radiosa. E così l’universo sociale è pieno di buchi neri, di aspirapolveri di luce che si chiudono alla Gioia Eterna, perché chiedono senza dare, e spesso senza nemmeno rendersi conto rubano di fatto luce intorno a se. Chi ha spento dentro se l’amore primigenio che porta al contatto, si comporta come un risucchiatore di energie, tendendo a parassitare sulla vitalità altrui; poiché nessuno al mondo può vivere senza tale energia, solo che le persone sofferenti, o coloro che non si elevano alla vera vita, che fluttuano nella superficie della materia, che interrompono il percorso del loro sviluppo interiore e rinunciano a prendersi cura del loro senso, o della loro ghianda, per ricordare una felice espressione usata da Hillman; ebbene tali persone generano dentro ed intorno a se non luce ma oscurità e tetraggine, con potere oltremodo  contagioso. Tutto questo perché si rinuncia all’amore, e non parlo del legame di coppia, parlo del sentire e della consapevolezza circa il fatto di essere particelle del Macro-Infinito che contengono specularmente l’Assoluto.

 

 Strana civiltà la nostra, inventa razzi e software per la trasmissione a distanza e poi implode e collassa su se stessa perché la sede dell’Amore è stata detronizzata da un arido deserto riempito di vuoto e di futile.

Ammettiamolo, dunque, non sappiamo amare; vagamente in modo teorico ne conosciamo le regole ma non potremo cavarcela con uno studio mnemonico del vademecum perfetto dell’amore se il cervello non è collegato al cuore.

Dunque, a parte i best-sellers usati come cattura polvere sugli scaffali dei modaioli, chi potrebbe insegnarci DAVVERO ad amare?

Esiste un insegnamento che declama cosi: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Il prossimo sembrerebbe a prima vista colui che mi sta vicino fisicamente. Quindi è degno di amore soltanto chi è “sottotiro” dal punto di vista della distanza interpersonale? Beh! Se non è così, allora quella distanza si riferisce a chiunque, e dunque non è una distanza fisica, ma una vicinanza animica, che travalica il senso dello spazio e del tempo. Questa sembra essere la prima caratteristica dell’amore, nonché la sua vera essenza: trascendenza e metafisicità. Quindi, amare ciò che abita nel mondo sensibile della physys è uno stato d’affezione, non vero amore, e confonderlo con esso equivale ad un mero feticismo. C’è poi quel “COME te stesso”. Più ci rifletto e più mi impegna. Dice “come te stesso”, non “più di te stesso”, eppure questo secondo livello conduce alla propensione del sacrificio, il quale, evidentemente, solo spiriti nobili e preparati possono affrontarlo nella piena consapevolezza di un amore maturo che “si prende carico di”. Eppure non è questa la forma d’amore auspicata. Amare il nostro prossimo come noi stessi può significare impegnarci ad attribuire valore in egual misura a noi ed al nostro fratello. Qualunque squilibrio nel dispensare valore all’uno piuttosto che all’altro porta ad una squalifica di uno dei soggetti coinvolti. Se amo il mio prossimo più di me stesso, sopravvaluto lui e minimizzo me; potrei impersonare il ruolo della vittima, che come un sole al contrario deruba luce ed inghiotte attenzioni senza ricambiare, agganciando tutti gli affetti della sindrome da samaritano. Se amo più me stesso, tuttavia, l’altro conta poco o nulla, e magari lo asservo o lo piego ai miei bisogni egocentrici, poiché ritenuti di ordine superiore, come la persona che li incarna.

Insomma, laicamente potremo tradurre che la formula migliore è quella di “Io sono Ok Tu sei OK”.

C’è poi la forma dell’amore legata al chiedere. A chi dobbiamo chiedere? Chiediamo a chi rappresenta per noi la fonte delle nostre carezze, a chi è legato con noi da vincoli affettivi o di parentela o secondari, costruiti e consolidati comunque nel tempo. Ma la nostra fonte è infinita? Possiamo chiedere al nostro prossimo se costui si trova in improvvise condizioni di vulnerabilità, per qualche motivo? Abbiamo il diritto di catturare tutto l’amore che possiamo dalle riserve del nostro partner, se costui si sente già esaurito e svuotato? Possiamo? Eppure abbiamo bisogno d’amore, come facciamo quando il nostro prossimo non ci può aiutare? Dove la trovo una sorgente inesauribile dalla quale posso assurgere a volontà tutta la linfa vitale che mi occorre?

Tale sorgente primaria di vita esiste, sì chiama Gesù, il quale per l’appunto disse anche: “Venite a me, voi che siete affaticati e stanchi, e Io vi consolerò” (Mt. 11, 28). Dunque non sono più costretto ad assorbire le persone, tantomeno per reciprocità a farmi prosciugare. Posso riconoscere i miei limiti, che giubilo! Non sono io il Salvatore dell’umanità, evviva! Ora mi sento più tranquillo. Ci voleva questa scoperta.

Quando sentiamo il peso schiacciante delle angosce e del vuoto, significa che abbiamo abbandonato questa fonte primaria, che bizzarramente accusiamo di abbandono, quando invece non aspetta altro che venirci incontro, invitandoci a ristorarci di Pace e di Verità. Inutile allora consumare le riserve energetiche del nostro prossimo, poiché per una sorta di legge fisica uno cede all’altro e non si stabilisce nessuna armonia, soltanto l’alternanza di due esaurimenti nervosi. Ecco da dove derivano tutti nostri malesseri, i nostri conflitti irrisolti, le nostre relazioni sbagliate e i nostri comportamenti inadeguati e improduttivi, incomprensibili persino a noi stessi; è tutto chiaro per chi guarda alla Fonte della Vita. Non possiamo vivere chiedendo al nostro prossimo, non sempre può esserci disponibilità, capacità, pienezza, autenticità e forza.

Amare è allora sapere anche chiedere, cercando di armonizzarsi all’unisono con la Legge dell’Universo, che restituisce ciò che diamo, poiché tutto guida secondo il principio di Causa-Effetto: “Chiedete e vi sarà dato. Bussate e vi sarà aperto” (Mt. 7,7).

Spalancando al vero Amore ogni nostro motto di vita, la Gioia sublime ci potrà compenetrare, e potremo contagiarci la salute, non la malattia, come dei buoni virus armonizzati, disinquinati dagli squilibri psichici prodotti dall’attuale società, che ha ridotto ciascuna creatura ad un ingranaggio di un mondo antiumano, luogo inospitale per tutti i puri di cuore. 

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