Comunicare e Mediazione: tra tecnica ed atteggiamento mentale - 1


mediazioneIl termine “ mediare “ rimanda generalmente a “ compromesso “ ossia ad una dinamica relazionale in cui l’equilibrio tra posizioni divergenti viene raggiunto attraverso la rinuncia, da parte degli interessati, ad una quota delle rispettive istanze. Si procede nel rapporto, cioè, a condizione che ognuno venga  “ un po’  meno “ rispetto alla posizione di partenza. Proprio in virtù di questa prevedibile privazione spesso la trattativa ha inizio chiedendo all’interlocutore/ antagonista più del necessario. Si spera così che la rinuncia a cui prima o poi si sarà costretti si riduca ad un puro espediente strategico che nulla toglierà, infine, a quanto si vuole effettivamente ottenere.

In questo caso la mediazione è una procedura, alquanto logorante e rischiosa, che  conduce ad soluzione “ puzzle ” ossia ad un incastro di  “ pezzi “ delle richieste originarie degli interessati. Un esito, insomma, in cui niente viene aggiunto ed anzi qualcosa viene tolto alle istanze da cui ha tratto origine la trattativa.

 

Non è difficile immaginare quanta insoddisfazione tale dinamica possa produrre in coloro che vi sono coinvolti pur quando si riesca ad evitare la rottura della relazione. Tant’è che, a volte, incomprensioni e contrasti ricompaiono semmai in altra forma costringendo gli interessati ad una ulteriore mediazione che, se realizzata ancora in questi termini, condurrà ad una ennesima soluzione puzzle.

Questo tipo di esito ha perciò il potere di generare una conflittualità anche lì dove la relazione prevedeva in origine una divergenza contenuta di opinioni e bisogni. In tali circostanze, insomma, la soluzione rischia di determinare più danni di quanti ne possa causare il problema stesso.

Questa dinamica può appartenere, in diverse misura e con differenti modalità, a vari tipi di trattative: un negoziato di natura economica oppure professionale o anche che si sviluppi all’interno di un nucleo familiare. La mediazione e le soluzioni “puzzle “ sono pertinenti, infatti, a quel genere di relazione in cui le persone risultano fortemente coinvolte materialmente ed affettivamente. Mediare è necessario lì dove gli individui sono vincolati da obiettivi comuni e quando restano in qualche modo in contatto anche nel caso in cui la relazione stessa abbia termine.

Messa in questi termini, insomma, la mediazione appare come il male minore rispetto alla totale mancanza di un qualsivoglia accordo.

 

Fermo restando l’inevitabilità, in circostanze di estremo conflitto relazionale, di una forma di mediazione che produca più rinunce che aggiunte, situazioni insomma in cui lo scontento degli interessati che segue la soluzione “ puzzle “ sia preferibile al disagio causato dal contrasto in corso, è pur vero che in altri momenti più diffusi nella quotidianità, anche se comunque segnati da apparenti insanabili divergenze, resta praticabile un tipo di mediazione che favorisca una originale terza via. Per tale si intende un punto di vista, rispetto al contenuto della relazione, che comprenda le istanze degli interessati più che comprimerle.

I protagonisti, cioè, hanno modo, invece che di incontrarsi malvolentieri a metà strada, di procedere  insieme lungo un nuovo percorso.

Questo genere di mediazione implica modalità comunicative fondate essenzialmente, oltre che su accorgimenti di natura linguistica, sulla sospensione del giudizio. Coloro che sono coinvolti nella relazione dovranno addestrarsi, cioè, a focalizzare le proprie energie intellettive ed emotive sui comportamenti piuttosto che sulla persona. Tale punto di vista contiene un ineludibile presupposto e cioè che qualsiasi comportamento, per quanto incongruo e conflittuale, non esaurisce le potenzialità comportamentali di un individuo.

Ci stiamo riferendo, dunque, ad un genere di mediazione che si fonda sull’empatia e sulla capacità di ascolto.

In interventi successivi ne approfondiremo i vari aspetti utilizzando allo scopo alcuni concetti dell’Analisi Transazionale.

 

 

 

 

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