accogliere l'accorato sfogo di una mamma...


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accogliere l'accorato sfogo di una mamma...

 

 

            Per l'implicita filosofia di questo piacevole sito e  mantenere integra per ogni autore l'opportunità di esprimersi senza necessità, né pretesa che tutti condividano le sue idee, forse è la prima volta che su counselingitalia appaiono interventi di risposta a precedenti articoli. Tuttavia sento più che necessario dare un segnale di risposta ad un articolo apparso qualche giorno fa su questa pagina:

http://counselingitalia.it/articoli/3298-la-scuola-deve-cambiareLaura Culotta.

            Credo di comprendere lo sfogo di una mamma, che si definisce una semplice studentessa in Counseling, nel constatare che a scuola, e precisamente nella Primaria per sua diretta esperienza, la relazione maestro-bambino non è correttamente impostata, né efficace. Gli esempi che introduce sono ben noti a chi, con grande senso di responsabilità, ha operato e opera nella scuola e sono esempi che si moltiplicano simili in diversi ordini di scuola e regioni del nostro territorio nazionale. Sarebbe sufficiente scorrere le numerosissime proposte di Corsi di Formazione per Docenti di ogni disciplina e di ogni Ordine e Grado per avere una percezione abbastanza concreta dell'urgenza del problema.

 

            È proprio per questo che mi sento tuttora impegnata in un'attività di formazione dei formatori che non di rado ignorano o disconoscono come  docenti il loro ruolo di formatori, di modello agli occhi del bambino, dello studente e due sole brevi annotazioni suggerirei, dalle quali personalmente traggo le energie e la motivazione, ad ogni giorno rinnovata, per non sentirmi sopraffatta in questa ardua impresa.

La prima riflessione è rivolta all'insistenza con cui l'autrice dell'articolo usa il fraseologico "dovere"; ad esempio scrive: Questo stereotipo quindi non dovrebbe esistere. Condivido e come! ma il dato di fatto è che lo stereotipo c'è, è ben radicato e diffuso (un problema che avvilisce il mondo della scuola  come ogni ambito della nostra modernissima società, sempre più lontana da ciò che può dare risposta alla domanda di senso di ciascun essere umano) e se vogliamo quanto meno combatterlo, ricacciarlo indietro, sarà bene che lo studiamo e  scopriamo l'humus da cui trae questa grande vitalità, per togliergli nutrimento .

La seconda riflessione riguarda quel grande distacco tra la scuola italiana e la vita quotidiana in classe di ciascun docente (dalla Primaria alla Secondaria di II grado e persino ai Corsi Universitari). La scuola, come sistema, come istituzione, da qualche anno si sta rivolgendo con qualche cenno di concretezza proprio alla relazione docente/alunno, al contesto inclusivo, alla definizione dei Bisogni Educativi Speciali, sta proponendo strategie educative vòlte all'autostima e al bene-essere dell'alunno e del docente (realtà complementari e inscindibili, pena esiti sfavorevolissimi per entrambi), da anni (almeno dal 2007) esperti formatori ed educatori propongono itinerari sperimentati e sono disponibili a soccorrere i docenti nella loro confusa situazione, da anni Dario Ianes insiste sulla "speciale normalità", sulla " dialogica bilogica " , e tuttavia il solco resta. Più spesso il docente è sopraffatto da insicurezze, demotivazione, senso di inutilità nei confronti di un lavoro che non ama abbastanza, per il quale non conta il devo, conta molto di più il voglio e posso, un lavoro insomma per il quale non ha avuto modo di entusiasmarsi e che, meraviglioso e terribilmente gravoso, vive di una formazione continua, mai completamente definita esaustiva, sorretta  proprio da quella curiositas  che è il bisogno essenziale da far sentire alle giovani generazioni.

            Ri-motivarsi si può! e se lo faremo insieme (tutti gli educatori: docenti, genitori, allenatori, maestri di musica, ...) sarà certamente impresa meno difficile.

 

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

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