Giulio proviene da una famiglia semplice. La madre è infermiera professionale in un clinica privata. Abituata a trattare sofferenza e dolore altrui. Molto dedita al lavoro. Il padre è impiegato in un’azienda. Apparentemente mite, ma insoddisfatto della vita che conduce.
Giulio ha un fratello più piccolo. Quando ha sette anni i genitori si separano, senza non poche difficoltà economiche: la madre lavora “dalla mattina alla sera”; il padre ha altre donne e sembra prendersi cura dei ragazzi, quando sono da lui, ma non dal punto di vista economico. Conflitto e rabbia sembrano essere comportamento e emozione prevalenti.
Giulio è un bel ragazzo, alto e fisicamente ben piazzato, che fin dall’età di dodici anni gioca a calcio con passione e riesce ad essere inserito in una squadra come promessa. L’allenatore individua in questa promessa atletica la rabbia e lo invita continuamente a giocare “con rabbia”. In questo modo Giulio alimenta la modalità espressiva della rabbia perché gli riesce e vince.
Ritorna a casa spesso “arrabbiato per qualche evento” e la madre – sofferente e distaccata dal punto di vista emotivo – lo invita a :< Non pensarci…guarda che bella giornata> .
Gli anni passano. Giulio spera di diventare un atleta professionista. Consegue il diploma di scuola media superiore e si iscrive all’università. Guadagna anche abbastanza nel frattempo, affrancandosi così dalla sofferenza economica in cui versa la madre. Appena può infatti la madre recide i contatti con l’ex marito perché non ha neanche bisogno di “quel poco che le passava” per i ragazzi, che si rendono autonomi. Il fratello incomincia a lavorare, si sposa e ha anche un figlio. Giulio non riesce a seguire gli allenamenti , andare in trasferta per il campionato e seguire l’università, sostenere gli esami. E inizia così la lunga sequenza delle interruzioni. Il fratello si separa dalla moglie, la quale muore in un incidente. Nuovo dolore, nuova interruzione.
Gli anni passano e la sua rabbia alimentata in partita non riesce a consolidare il suo successo come atleta professionista. Tenta di esercitare la professione dell’allenatore. Ma il mondo del calcio “è sporco” e cozza con i valori di base di Giulio, sempre alla ricerca di conferme affettive. Si fidanza spesso, con ragazze provenienti da ambienti sportivie non. I rapporti finiscono sempre, perché alla richiesta di consolidamento – matrimonio, convivenza, figlio – Giulio nega e addossa la colpa del fallimento alla partner.
Guadagna, si, fino a comprarsi una casa. Allora la madre si risposa con un altro uomo. Giulio cambia lavoro. E’ agente di commercio. Riesce, continua a guadagnare, agendo la sua rabbia attraverso comportamenti seduttivi e piacevoli nei confronti dei clienti, ma altamente conflittuali e sprezzanti nei confronti dei colleghi. Trova una compagna molto più giovane di lui – un’ adesiva – che ha trovato in Giulio una apparente sicurezza. Il progetto emotivo di Giulio, apparentemente inconscio, è di appoggiarsi a lei per intraprendere questa nuova fase di vita, arrestando anche il ciclo evolutivo dell’individuo verso l’età adulta. Frequenta ambienti sportivi, si allena con ragazzi più giovani. Inizia a praticare anche altri sport, in cui eccelle, grazie ad una elevata intelligenza cinestesica e una salute di ferro. Vive questa doppia vita tra tempo libero desiderato e lavoro ben retribuito. Interrompe in maniera definitiva i contatti con il padre.
L’assenza della figura maschile nella sua vita lo porterà ad avere spesso amici e conoscenti dell’età del padre che gli danno dei consigli che cercherà di mettere in atto in ogni momento difficile.
Inizia a costruirsi un rigido frame di rituali, al cui interno è inserita anche la sua compagna, che nel frattempo cresce e inizia a lavorare. Le vacanze, la macchina, la moto, la spensieratezza sempre mostrata agli astanti. Ma la rabbia rimonta sempre di notte. Digrigna i denti e spesso si alza al mattino presto prima di andare a lavorare per allenarsi, scaricando tensione ed ansia, di cui non è consapevole. Rompe più volte con la compagna, con cui negli ultimi tempi innesca un meccanismo di continuo litigio. Vivono insieme, ma sempre di più conducono vite separate. La compagna gli chiede un figlio. Giulio sa che non può rifiutarsi, perché :< tutte le ragazze con cui è stato hanno fatto un figlio con un altro, dopo di lui>.
Vanno a vivere nella casa donata dalla famiglia della partner. Finché la compagna l’abbandona, apparentemente senza ragione, o perché ha trovato un altro.
L’evento traumatico fa scatenare l’orgoglio, che gli facilita le difese e l’esercizio di potere contro coloro che attentano la sua grandezza. Tuttavia prende contatto con il sentimento della solitudine, forse già sperimentato durante l’infanzia, ma mai consapevolizzato. E ciò innesca meccanismi di resistenza al contatto ancora più forti e metodi di difesa: considera se stesso come un bene da mantenere, manifesta il culto per il proprio corpo e dell’efficienza fisica tipica dell’adolescente; non accetta le critiche di nessuno e tanto meno accetta la responsabilità dell’insuccesso; con cinismo , ordine e precisione prescrive ordine e regole di azioni e comportamento.
Riempe di attenzioni le persone che sollecitano il suo intervento – la madre che lo accudisce preparandogli il cibo e lavandogli la biancheria da una casa all’ altra, espiando il proprio senso di colpa per non averlo fatto quando Giulio e il fratello erano piccoli e mantenendo in vita questo forte legame di dipendenza – gli amici o conoscenti in crisi che Giulio accoglie, nutre, vizia per avere in cambio ringraziamenti e sottomissioni. Così costruisce una personalità basata sulla paura, dove solo il controllo su di sé e gli altri possono farlo sopravvivere.
Zila Carnevale
formatrice e counselor ad approccio umanistico integrato
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