“Apro gli occhi e guardo la sveglia sul comodino: è ora che mi alzi ma ne non ho voglia. Il posto accanto al mio nel letto è vuoto. Mio marito è mattiniero, con la scusa che il cane deve uscire si sveglia presto. Io non lo sento nemmeno vestirsi: non sento i miei figli che escono per la scuola e il lavoro. Non sento. Ma non perché sono non udente, dormo profondamente, immersa in quei sogni che a volte sono incubi, in cui perdo la strada, sono senza soldi alla cassa di un supermercato, non sono mai ben vestita, sono sola….Mi devo alzare, ed incomincia quella sensazione di nodo perenne alla gola, eppure mi piace avere il collo coperto.
Mi vesto e comincio la giornata: il mio obiettivo adesso è trovare lavoro. Oggi è martedì , devo fare presto perché devo andare a mettermi in fila presso di locali di un’associazione che si occupa di trovare lavoro a chi non ce l’ha. Ho fatto tardi. L’ufficio è ancora chiuso, ma qualcuno già in attesa, mi passa un foglio di carta di quaderno sul quale ognuno scrive il suo nome per evitare contestazioni, ed io sono già diciannovesima.
Aprono l’ufficio ma, colui che si deve occupare di noi, non è ancora arrivato. Io sono l’unica italiana, ma nessuno se ne accorge: ci sono peruviane, ucraine, georgiane, siamo quasi tutte donne e, una georgiana comincia a criticare gli italiani: io non riesco a stare zitta, e le faccio presente che anch’io sono in fila con loro, nonostante sia italiana. Le aspettative per tutte, sono quelle di fare la badante a ore, le pulizie non certo la commessa o la segretaria, e le faccio capire che è un periodo difficile anche per noi nativi. Io sono cinquantenne, diplomata ed ho esperienze che risalgono a prima del matrimonio e qualche breve esperienza recente come assistente agli anziani, che non bastano per reinserirmi nel mondo lavorativo: ma ho bisogno di lavorare. Ed allora si accetta ciò che ci dà la provvidenza. Il nodo alla gola non va via.
Non che ritenga meno nobili lavori come assistere gli anziani o il mantenimento dell’igiene sia in luoghi pubblici che privati, ma io mi sento come se non avessi più la libertà di scegliere.
La nostra Costituzione, all’articolo 4 cita testualmente: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
Già nel 1776 Jefferson, con la Dichiarazione d’Indipendenza, scrisse che fra i diritti inalienabili dell’uomo era da porsi, accanto alla vita e la libertà, la”ricerca del benessere”, non solo inteso come benessere economico, ma come benessere spirituale, poiché lo scopo della società è quello della “felicità comune”. Sono passati duecentoquaranta anni, anche in Europa si sono succeduti grandi avvenimenti storici, ed in particolare in Italia il Risorgimento, le due guerre mondiali cui sono seguite l’industrializzazione e la globalizzazione che ci hanno reso tesi alla felicità individuale intesa come realizzazione economica: tutto è più veloce. Si cresce più in fretta, perché la tecnologia ti permettere di apprendere più velocemente: anche i rapporti umani hanno ritmi più “rapidi”: ti fai gli auguri con un sms, o ti colleghi con “skype”, o telefoni col cellulare mentre sei in luogo affollato: ma non ti vedi di persona! Magari fino a qualche anno fa, ti riunivi e festeggiavi o, prendevi il treno per vedere i parenti lontani che, ti aspettavano tutti a casa della zia perché aveva la tavernetta. Ora vanno di moda i “Flash mob”, cioè le persone che non hanno apparentemente nulla che li unisca, s’incontrano in luogo per uno scopo comune: per esempio una manifestazione, o un balletto sulla spiaggia, per un tempo limitato a quello scopo. “Mordi e fuggi”.
Ho sempre il nodo alla gola: eppure, mi dico, in fondo mio marito mi ama, i miei figli sono bravi ragazzi. Dovrebbe bastarmi questo. Mio figlio grande, dall’alto dei suoi ventiquattro anni, mi dice che vivo fuori dal mondo, che non so qual è la realtà: ci sono alcuni suoi amici che non hanno uno dei genitori o, che pur avendoli entrambi, vivono da soli perché non vogliono parlare con loro e, quelli che invece vivono in famiglia, molte volte non hanno dialogo: perché, io e lui ce l’abbiamo? Lui pensa agli altri ma non guarda intorno a sé. Ho cercato di abituarlo ad arrangiarsi da solo, ma fa di tutto perché alla fine ci pensi qualcun altro: tanto sa che c’è sempre qualcuno! Tutto ciò mi fa imbestialire, non lo sopporto: sono arrivata a non sopportare mio figlio! Vorrei buttarlo giù dal nido e far sì che impari a volare da sé, invece di sentirlo parlare di come si dovrebbe volare. Sì, perché dà lezioni di vita il fringuello, ma dal nido. Io lo amo, come amano le madri che vogliono che i figli diventino indipendenti e come amo suo fratello, che pian piano sta diventando come lui: l’indipendenza però, si limita al far tardi la sera.
Mi si potrebbe dire che sono fortunata perché non si drogano, non mi picchiano e, uno studia e l’altro lavora. Quindi devo prendere e ancora ringraziare. Ma sono figli miei!, li ho educati io con mio marito! Per la legge per cui ciò che si semina si raccoglie, è mia la colpa: di cosa mi lamento? E poi, di cosa dovrei lamentarmi? In fondo fanno solo un po’ tardi la sera.
Io continuo ad avere il nodo alla gola.
Tocca a me entrare. L’impiegato mi accoglie calorosamente: ci conosciamo già, anche se è da un po’ di tempo che non ci vediamo. Compila un modulo con i miei dati e mi dice che, per il momento, non c’è nessuna richiesta per i lavori ad ore. Lo saluto, dandogli l’arrivederci al giovedì successivo.
Saluto tutte ed esco di lì. Mi sentivo soffocare.
Mi capita spesso di sentirmi così.
Eppure, senti dai telegiornali, che molti imprenditori, presi nella morsa si suicidano. Senti racconti di chi ha perso tutto, ed è costretto a dormire in macchina. Perché di fronte a tutto ciò, continuo ad avere quel nodo alla gola?
Mio marito dice che è perché non mi sento realizzata.
Se potessi, cambierei casa, non sopporto più di stare in quella in cui vivo ora: ma non esco mai, a meno che non sia strettamente necessario.
Non ho amici.”
La mia cliente ha terminato di parlare: ora tocca a me farla riflettere.
“Se non ho capito male – le chiedo – lei sta cercando un lavoro, non solo che l’aiuti economicamente ma che la soddisfi, è vero?”
“Sì, è vero” risponde
“Ed allora – ribatto – perché va a mettersi in fila per trovare un posto come badante, o lavascale?”
“Bella domanda – replica – ma non riesco a trovare nient’altro. Ho cinquantanni e poche esperienze: o lì o in un call center, se va bene!
“Perché no, il call center potrebbe essere una bella idea!”
“Ma neanche se mi pagassero oro! L’ho già fatta quell’esperienza: va a finire che diventi una specie di kapò, che deve far la spia sul lavoro del suo gruppo, controllare, incitare ad infastidire le persone e, determinare chi fa meglio per mandar via chi riesce meno. No,no, non fa per me.”
“Cosa le piacerebbe fare allora?”
“Sono confusa: per certi versi vorrei trovare un’occupazione che mi permettesse di stare a contatto con il pubblico, d’altra parte vorrei rimanere rinchiusa in casa e non uscire più.”
“Mi spiega perché si sente quasi in colpa per il fatto di avere un tetto sulla testa, di aver due figli sani ed educati, ed un marito che le vuole bene? Chi riesce ancora a vivere una vita in un ambiente familiare come il suo, non dovrebbe vergognarsi.”
“Ma io non mi vergogno, anzi ne sono felice, ma la situazione attuale mi obbliga a cercare lavoro fuori di casa e per me è una gran fatica perché, il mio profilo, come si usa chiamare oggi il proprio curriculum di esperienze, non risponde ai canoni di richiesta del mercato. Però, ripeto, ho bisogno di una entrata mensile in più; è una situazione delicata quella della nostra famiglia, ed io mi sento impotente; ma non vorrei ritornare a dover fare la badante, anche se al momento non vedo alternative”
“Dunque, lei mi sta dicendo, che anche se riuscisse a contribuire all’introito della famiglia, non sarebbe soddisfatta se non facesse un lavoro che la gratificasse?”
“Esatto”
“Ma, il fatto di portare soldi a casa, non è già una gratificazione?”
“Certo, ma lo sa lei cosa significa fare la badante? Pensi che prima mi rifiutavo di pronunciare anche la parola: si chiama assistente agli anziani, dicevo, non sono pecore a cui si deve badare. Poi, dopo aver lavorato per circa un anno e mezzo, ho cambiato idea: le persone anziane hanno tante problematiche, che vanno da quelle fisiche a quelle mentali. Ma hanno un altro grande difetto: i parenti. E quando non hanno i parenti, sono loro ad avere un carattere impossibile: se penso che rischio di diventare così, o perlomeno come quelli che ho incontrato io, mi viene male. Le donne poi, sono un capitolo a parte: il sessanta per cento, pensa che il solo fatto di essere diventate anziane, permetta loro di pretendere e non di chiedere.”
“Beh, ci sono anche persone educate, intelligenti e ,soprattutto, molto sole.”
“Sì, è vero, tanti anziani sono molto soli, alcuni invece sono molto amati ma, i loro congiunti, non possono materialmente occuparsi di loro. Non voglio fare di tutta un’erba un fascio. Per carità!”
“Cosa vuol dire con – non ho amici-?”
“Mi sono rinchiusa talmente, da quando i miei figli sono diventati grandi, che pian piano ho perso le mie conoscenze”
“Nessuno l’ha cercata?”
“No, evidentemente non sono un tipo così interessante”
“Perché si commisera in questo modo?”
“Ma, non mi sto commiserando; sto solo prendendo atto della realtà: io, pur avendo molte potenzialità, non potrò mai spenderle oggi come oggi. Il mondo è di coloro che sanno cogliere l’attimo ed il mio è fuggito. Sono vecchia per lavorare, ma quando dici: ho cinquantanni, ti rispondono: ma sei ancora giovane! Gli altri però, coloro che incontri al mercato e che non ti devono dare un lavoro: per te va bene solo guardare i vecchi o lavare pavimenti e scale, se hai il motorino tuo, perché le scale le lava solo chi ha il motorino!”
“Finalmente ha detto la parola che aspettavo: potenzialità. Cosa sa fare e cosa le piacerebbe fare?
“Mi piacerebbe insegnare l’italiano agli stranieri: sono una maestra elementare ed ho studiato francese.”
“So che deve esse difficile, ma ci sarà qualche scuola privata, convenzionata con la Provincia che se ne occupa: perché non si informa?”
“Questa è un’idea”
“Guardi che l’ha avuta lei. La prossima volta che ci vediamo, magari mi dice qualcosa.”
“Grazie”
La mia cliente mi sorride, saluta e se ne va. Non so se s’informerà sul serio, ma stiamo cominciando a vedere nuovi spiragli.
Paola Audasso
< Prec. | Succ. > |
---|