Si sente spesso dire che in certe situazioni ove è necessario il controllo, l’osservazione o la vigilanza di una situazione, ci vogliono mille occhi. Durante un’attività di ascolto comprensivo, ove la nostra attenzione è focalizzata sulle intere componenti comunicative dell’altro e sulle ripercussioni emotive che le animano, si potrebbe dire sulla stessa falsariga che ci vorrebbero “mille orecchie”. Nell’ascolto attivo, le orecchie sono le antenne ricettive per eccellenza, e i restanti organi di senso impegnati nel recepire segnali più o meno intenzionali dall’interlocutore, fungono da “orecchie”, in quanto la dimensione dell’ascolto attivo promuove un’attenzione globale alle dinamiche comunicative ed a come queste sono investite sul piano della relazione interpersonale.
Gli occhi, per esempio, svolgono in questo senso una funzione di ascolto, e così la nostra interiorità emozionale che si apre per ospitare l’altro e concedergli uno spazio accogliente. Osservare e sentire dal di dentro, sono queste funzioni essenziali nell’ascolto attivo, così come attivare durante lo stesso processo validi strumenti di controllo e regolazione della comunicazione interpersonale. In breve, non ci affidiamo solo alle orecchie per ricevere suoni, ma programmiamo un kit di ascolto che include la varietà degli strumenti sensoriali, e anche della sensibilità, dell’intuizione e dell’empatia. Se non collegassimo le orecchie a tutto questo, dunque, saremmo solo ricevitori di dati e di vibrazioni sonore significanti senza alcuna validazione di significato. Quello che occorre fare è invece elaborare i messaggi che riceviamo trovando loro una cornice di senso, decodificandoli secondo parametri in grado di rimetterli in gioco e di identificarli come carichi di valenze sia affettive che di contenuto.
Possiamo fare riferimento ad un modello che ci permette di agire nell’ambito di un quadro di comunicazione efficace integrato, in grado cioè di allacciare insieme sia le componenti soggettive dell’espressione comunicativa che quelle legate al mondo visibile della realtà osservabile e constatabile. Tale modello è il C.A.R.A. L’abbreviazione dello stesso corrisponde alle quattro dimensioni indicate nell’ordine di: Contenuto – Autorivelazione – Relazione – Appello.
Esaminiamole una alla volta:
a). Contenuto: Consiste in tutto quel che fuoriesce dalla narrazione biografica dell’Io narrante del soggetto che lo comunica, di solito mediante forma verbale, ma in altri casi facendo ricorso a forme digitali, attraverso scrittura. Il contenuto è ciò che ascolto, il materiale del racconto che appartiene al vissuto dell’autore che lo consegna a qualcuno, condividendolo, creando un’esperienza di contatto col suo ascoltatore; si tratta di un invito a partecipare alla propria storia e visione del mondo. Esso può essere infatti intriso di una forte soggettività, romanzato, filtrato da idee che fugano in un pianeta idilliaco di percezioni, sentimenti, aspettative e desideri ricercati. Altre volte è maggiormente aderente alle vicissitudini dei fatti, privo di congetture, attinente dunque ai tempi ed ai contenuti fattuali dello svolgimento sequenziale dei propri eventi ed esperienze circostanziali.
Il counselor ascolta prima di tutto una storia, che può essere anche circoscritta in una breve unità di tempo, e dunque il suo primo passo è quello di chiedersi: “Cosa sento raccontare?”, “Di cosa mi sta parlando?” Questo aspetto contiene di fatto la questione, conserva in nuce la questione focale da esaminare.
b). Autorivelazione: Ciascuno di noi, oltre a presentarsi in termini narrativi o sinteticamente descrittivi, esprime di se caratteristiche non direttamente inferibili alle parole ed ai contenuti proposti ed emessi all’attenzione degli altri abitualmente sotto forma verbale. In sintesi, ciascuno di noi “parla” di se anche senza le parole. Tutti gli elementi che fanno da corollario manifesto del Sé, diventano componenti di ribalta, e possono sia rafforzare l’espressione del contenuto che negarlo. Aspetti marcatamente visibili ed evidenziati nel mio modo di presentarmi, nel comportamento, nel tono della voce, chiariscono, seppur con margini di equivocabilità da verificare, un mio stato emozionale o tratto caratteristico che mi rappresenta.
Il counselor può mettere in risalto tale dimensione a se stesso, chiedendosi “Come si presenta l’altro a me?”, “Cosa sta rivelando di se?”
c). Relazione: Un aspetto assolutamente da tenere in considerazione è che nel rapporto interpersonale esiste sempre un livello sotterraneo di percezioni, di “ritorni” affettivi e risonanze intrapsichiche che non vengono esplicitate nella superficie della comunicazione, spesso nemmeno avvertite. Eppure hanno una forza di orientamento e sviluppo della relazione molto più influente rispetto al livello osservabile e immediatamente controllabile. Le relazioni spesso si strutturano e sviluppano secondo una determinata direzione, in quanto i propri fantasmi interiori spingono ostinatamente verso un punto piuttosto che un altro. Occorre conoscere tali leggi ed avere strumenti di controllo e gestione di eventuali effetti equivoci, affinchè le turbolenze causate dalle contaminazioni percettive non facciano prendere una “brutta piega” al rapporto stabilito.
Il counselor ha il dovere di prendersi cura di questo aspetto, cercando non soltanto di intuire ma di osservare, verificare e chiedere come il suo interlocutore sta leggendo la loro relazione, quali chiavi di interpretazione sta utilizzando in merito alle proprie aspettative generate. La domanda che si fa il counselor sarà “Come il cliente sta percependo il nostro rapporto?”
d). Appello: Il referente del nostro processo di supporto consultivo ci interpella in quanto portatore di bisogno. Ciascun appellante è tale in quanto custodisce una richiesta di aiuto, che a modo suo rende esplicita. Non sempre questa è valutata dallo stesso richiedente sostegno con il massimo della chiarezza e dell’oggettività. Essa può essere sottodimensionata, sopravvalutata, ignorata; ed il consulente dispone di un armamentario di strumenti esplorativi per frugare fra il calderone dei vissuti dell’altro e ricavarne un senso che ha il sapore dell’autenticità e della trasparenza. Il cliente promuove le sue istanze ed opta per un raggiungimento di una soluzione, in quanto mosso da desideri e motivazioni che constano di una loro ragion d’essere.
La domanda che il counselor mormora fra se è “Che cosa desidera raggiungere il cliente con questa comunicazione?”
Chiudendo, quello che resta da dire è che la possibilità di disporre di un modello attento alle componenti portanti e strutturali della dinamiche dell’ascolto, può rivelarsi utile e di efficace spessore specie se usato con una visione di insieme, di buon uso armonico fra le parti, per implementare insieme all’applicazione tecnica, anche una supplementare e necessaria attenzione all’intero significato che si va costruendo insieme nella relazione, gestendola col massimo della prudenza e del calore empatico.
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