L’INTERVENTO STRATEGICO CENTRATO SUL PROBLEMA. Modelli e princìpi per una prospettiva terapeutica

Inviato da Nuccio Salis

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Nell’ambito della costruzione di un valido supporto al percorso di crescita della persona, l’attenzione è sempre più orientata verso un approccio di tipo multidisciplinare ed aperto a ventaglio a più contributi da parte di diversi ruoli interessati a tale complessa dinamica. Tali funzioni sono chiamate ad operare in un contesto dove ciò che conta è sempre più il confronto, lo scambio aperto, il raggiungimento di soluzioni co-progettate ed una continua condivisione circolare delle informazioni fra le diverse componenti coinvolte.

Questo modo di operare, che definisce l’iter e la modalità di un intervento di network strategico e centrato sulla soluzione di un problema, costituisce una preziosa e privilegiata condizione di alleanza volta alla ri-costruzione di un’identità storica futura che apre prospettive migliori per ciascun individuo e per la stessa mappa ecologica dentro la quale egli è incluso.

 

Tale percorso rappresenta una prospettiva di ricerca-azione che convalida anche un modo di approcciarsi al lavoro educativo attraverso cui il conduttore-guida dell’esperienza educativa fornisce un modello di cui tracciarne ogni elemento destinato ad ispirare l’intera azione.

Si rilancia fondamentalmente l’idea essenziale che la delicata opera di formazione costituisca un’impresa fondamentalmente centrata sulla qualità del rapporto fra (nello specifico) counselor e cliente, e che questa risorsa si immedesimi con la principale tecnica che ciascun social worker attivi per qualificare la sua azione e soddisfare i bisogni e gli scopi che ne vengono identificati. 

Insomma, si deve evincere ancora una volta che per far passare insegnamenti positivi è necessario possedere in situazione di congruenza almeno le predisposizioni e gli strumenti base di cui ciascun operatore dell’aiuto con una certa maturità professionale dovrebbe possedere e all’occorrenza utilizzare.

IL celebre psicoterapeuta Milton Erickson rivolgeva queste teorie e considerazioni dentro il setting clinico-terapeutico di sua pertinenza, consegnandone inevitabilmente i princìpi al trasferimento in altre zone di intervento dell’aiuto diretto alla persona.

Egli, fondamentalmente, sottolineava 5 punti rilevanti per un approccio vincente e funzionale a un set di natura problemica. Questi sono i seguenti:

 

.)Le persone costruiscono la loro conoscenza individuale delle situazioni e la usano per significare l’esperienza

Un problema può essere configurato e riconosciuto come tale in funzione delle rappresentazioni che gli vengono attribuite, e che si confanno alla struttura di significazione che ciascuno si modella nel corso della sua esperienza e dunque dei suoi vissuti, sviluppando schemi e costrutti attraverso cui percepire un problema come più o meno rilevante e dunque come risolvibile o insolubile.

La memoria rievoca il detto del sofista Protagora, il quale affermò che ‘l’uomo è misura di tutte le cose’, mettendo in marcato risalto il valore soggettivo decisionale che ciascun umano ascrive a ciò che gli accade. Pertanto, non è affatto assodato che rilevare ed osservare un problema nella cornice vitale dell’altro da me, possa essere restituito come vicenda avente lo stesso valore percepito dalla controparte.

L’atteggiamento nei confronti dell’esistenza di un problema ne relativizza la discussione e l’approccio. La lettura e il rilevamento del livello di gravità del problema è da cogliere e comprendere in seno a un processo che combina nella persona un insieme di variabili quali: la capacità di cogliere l’esistenza del problema, l’importanza che gli viene attribuita (ovvero se data la presenza viene accettato oppure valutato come trascurabile e di poco conto), la possibilità di affrontarlo facendo ricorso a fattori agevolanti inclusi nell’ambiente in cui si svolge il proprio scenario storico, ed ultimo punto il grado percepito di competenze necessarie e realistiche in possesso per poterlo fronteggiare e risolvere. Si tratta di dinamiche descritte in modo esaustivo ed esemplare soprattutto dalla psicologa transazionale Jacqui Lee Schiff.

 

.) Le persone hanno già cercato in genere di risolvere il loro problema

Questo è anche il motivo per cui molto spesso è inutile indicare un’opzione come probabile via percorribile di soluzione, dal momento che, oltre a rivelarsi potenzialmente fuorviante sulla base delle reali necessità e risorse della persona in oggetto, si potrebbe verificare soltanto l’esperienza del sentirsi replicare che determinati tipi di percorsi sono già stati in realtà affrontati, e peraltro senza successo.

Ciascuno attiva come può le sue risposte di adattamento. Il problema risiede piuttosto nella qualità con cui si provvede a strutturare piani di azione efficaci. Se non vengono colti con precisione i bisogni e il senso del percorso associato agli stessi, il rischio è di constatare l’esistenza di schemi di agire improvvisati, reattivi e inefficienti. Aiutare a sviluppare una lucida visione rispetto a ciò che accade dentro e fuori da sé, intercettandone la casualità, è forse il modo più costruttivo per procedere in un percorso di crescita ed empowerment delle proprie risorse resilienti e proattive.

 

.) I problemi possono persistere perché una persona, nella convinzione di risolverli, sta contribuendo a mantenerli

Conservare un problema, nella fallace convinzione di risolverlo, ha una notevole funzione di stabilità e di sicurezza per lo psichismo umano fondato sulla ricerca del controllo e della reiterazione dell’abitudine. Ricordiamo ciò che disse Erich Fromm sulla ricerca della libertà da parte dell’essere umano: seguendo il ragionamento del noto sociologo e psicanalista tedesco , l’umano non vuole in realtà essere libero, perché la condizione di libertà obbliga a ridisegnarsi una vita nuova ed a ricostruirsi un’altra identità, a conseguire scelte responsabili e decisioni più impegnative. Insomma, essere liberi è scomodo e destabilizzante per chi ha preferito l’agio dell’abitudine, del già noto e della tradizione.

Non bisogna dunque affatto sorprendersi se molti umani reiterano i loro copioni drammatici, pur avendo acceduto alla consapevolezza di quanto certi loro comportamenti risultino la causa dei loro disagi e dei loro pantani esistenziali. La mente (che appunto mente) sceglie percorsi semplificati ed economici per non incorrere nel terrore del cambiamento, e difende, mantiene e protegge il degrado sperimentato, pur di non affrontare una dimensione di vita ignota e non immaginabile. La rigidità di una tale posizione crea, come è noto, lo stallo per cui non è nemmeno possibile contemplare un’azione di aiuto che faciliti la volontà e la presa d’atto della persona verso cui rivolgiamo il nostro aiuto. Diversamente si tratterebbe di un intervento coatto.

Non si può che auspicare che il soggetto verso cui è programmato l’intervento si assuma l’iniziativa di agire e di recepire gli stimoli con cui ri-costruirsi una nuova direzione di senso.

 

.) Le persone hanno grandi risorse dentro se stesse

Tale postulato è naturalmente ben diffuso e consolidato nell’ambito della relazione di aiuto. È proprio la sua positiva considerazione a rendere legittimo ed auspicabile l’intervento di sostegno alla persona. Una fortuna espressione rogersiana parla di ‘tendenza attualizzante’, come forza diretta all’autorealizzazione e all’espressione di sé in modalità genuina, trasparente ed autentica.

La ricerca della manifestazione di tali risorse rappresenta l’essenza nucleare del lavoro del counselor e della sua nobile opera maieutica.

 

.) Un problema può essere ristrutturato in modo da poterlo vedere in modo più vantaggioso

IL cambiamento di prospettiva di una struttura problemica può in effetti ridimensionare la medesima dentro un nuovo orizzonte di lettura. Ciò che emerge più timidamente dallo sfondo può essere ospitato dentro lo scenario maggiore, e viceversa ciò che invece scaturisce in primo piano può essere ricollocato in angoli meno rilevanti della struttura. È possibile cioè rivisitare un problema alla luce di nuove interconnessioni sia fra i propri elementi interni che in virtù del rapporto che lo lega alle circostanze e ad altri eventi esterni.

 

Sintetizzando i 5 consigli di Milton Erickson, potremmo riepilogare i punti di un percorso efficace per avviare procedure funzionali nel riconoscimento e dunque nel fronteggia mento di un problema.

Potrebbero essere identificati come segue:

 

.) Consapevolezza dei processi attributivi e di locus of control

.) Ricognizione dei propri risultati e dei sistemi di coping

.) Ricerca e risoluzione delle trappole e dei virus mentali

.) Maggiore conoscenza di se stessi in termini di abilità e risorse

.) Ridefinizione della struttura problemica e sviluppo di approcci più efficienti e costruttivi

 

Si può concludere sostenendo come sia necessario sperimentare e trasportare princìpi e strategie applicati in altri ambiti, in aree consimili di propria competenza, rimarcandone la specificità ed aprendole ad un contributo scientifico di maggiore rilevanza, nell’auspicio che il tutto possa rappresentare un territorio di contenuti da discutere e da investire ai fini del miglioramento nel trattamento dell’aiuto alla persona.

 

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