quando l'adolescente chiede di essere aiutato...
È il genitore, quasi sempre la mamma, a prendere contatto (preferibilmente telefonico) con il counselor: specifica immediatamente da chi è venuto il suggerimento di rivolgersi a noi, indirizza a noi, pur non conoscendoci, parole di elogio per gli esiti del nostro lavoro e infine chiede di fissare un appuntamento per la propria figlia o il proprio figlio, anticipando il problema e descrivendolo dal suo punto di vista. A noi counselor si impongono subito compiti essenziali: limitare al massimo l'eloquenza del genitore, accertarsi che il ragazzo (o la ragazza) sia informato di quanto si sta chiedendo a suo nome e soprattutto se sia concorde e determinato a mettersi in gioco.
Quando nella famiglia, che è un sistema (ved. G. Bateson) esiste un progetto educativo, anche se non sempre efficace o efficiente, è così che inizia, generalmente, la relazione del counselor con l'adolescente che chiede o almeno accetta di confidarsi con una figura esterna alla famiglia.
Nei casi in cui la famiglia/sistema è in difficoltà e vive situazioni che coinvolgono tutti i componenti con reciproche retroazioni (feedback) negative che ne impediscono equilibrio e crescita, accade invece che l'adolescente, seguendo il parere di qualche amico-coetaneo, decida di presentarsi al counselor da solo tentando di dare si sé un'immagine di autonomia e indipendenza che difficilmente corrisponde alla realtà. Per la mia esperienza, tuttavia, sono casi che si verificano raramente e per questo ritengo utile concentrare l'attenzione proprio su quanto più spesso accade con genitori premurosi, presenti e figli comunque scontenti e sfuggenti.
Rischi ed errori in cui il counselor può incorrere sono numerosissimi soprattutto perché la sua relazione con l'adolescente è in qualche modo contaminata comunque da soggetti altri, presenti o meno, nei confronti dei quali l'adolescente proprio per l'età che sta vivendo prova sentimenti ed emozioni contrastanti e non del tutto consapevoli. Rischi ed errori non sono certamente solo quelli del primo incontro, ma è certo che il primo incontro è essenziale per avviare correttamente un possibile percorso.
Concentriamoci, dunque, sul primo incontro, quando l'adolescente è accompagnato dalla mamma (o addirittura da mamma e papà). La situazione che si presenta al counselor è ben definita: il genitore con naturalezza dà per certo di partecipare al colloquio insieme al figlio, per chiarire, suggerire, puntualizzare, sentendosi investito del ruolo di colui che conoscendo il figlio può, anzi deve, collaborare per aiutare il counselor ad accelerare i tempi di conoscenza e dunque di risoluzione del problema.
Sarebbe del tutto inappropriato per il counselor affidarsi alla speranza che il genitore comprenda che è meglio "farsi da parte" e lasciare che il figlio esperimenti da solo un rapporto di reciproca fiducia con un adulto -il counselor- diverso dal proprio genitore e dunque è inevitabile che con garbo e determinazione sia il counselor a decidere come si svolgerà il primo colloquio e non certo sulla base delle aspettative del genitore, quanto piuttosto su ciò che nei pochi minuti dell'accoglienza il paraverbale e il non verbale dell'adolescente hanno evidenziato. Su questi segnali il counselor comunicherà come avverrà questo primo colloquio: se avrà notato nell'adolescente un evidente imbarazzo e timidezza, disporrà che il genitore sia presente nei primi quindici minuti (il tempo bastante per abbassare la soglia di allerta e infondere nel ragazzo sensazione di tranquillità) e, alla conclusione del colloquio, sarà di nuovo invitato ad essere presente per condividere quanto è stato concordato tra il counselor e il figlio.
Nel caso in cui l'adolescente ha mostrato, nei primi momenti in cui si è svolta la presentazione, segni di insofferenza di fronte al comportamento del genitore che evidentemente sente come un'intrusione nella sua sfera privata, il counselor pregherà semplicemente il genitore di attendere fuori, rassicurandolo che a fine colloquio sarà informato di quanto è avvenuto.
Un aspetto rassicurante per la possibile riuscita almeno del primo colloquio è la convinta docilità con cui genitori e adolescenti accettano la proposta del counselor, qualunque sia. Non mi è mai accaduto di notare neppure il più piccolo segno di insofferenza (nello sguardo, nel tono di voce, nei movimenti, nella postura...) né del genitore, né dell'adolescente alla mia proposta di come sarebbe stato organizzato il colloquio, piuttosto invece ho potuto sempre apprezzare un' evidente sensazione di sollievo e di fiducioso affidarsi al mio intervento...la qual cosa ha immediatamente acuito in me il peso delle mie responsabilità.
Ora, occorre gestire questo primo colloquio. A presto
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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