Il SE' parassita. L'uso strumentale delle carezze condizionate

Inviato da Nuccio Salis

ciakLa mistificazione del Sé comincia da presto, molto molto presto. Forse oserei dire addirittura dalla cosiddetta prenatalità. Probabilmente, ritornando indietro con l’ipnosi alla prenatalità, potremo ricordarci di qualcuno/a che ci ha bussato nella pancia e ci ha detto “sarai un super ometto, vedrai, ed aiuterai tuo padre con la carpenteria”, e una voce più rimbombante intorno che replicava “Macchè! Mio figlio sarà un ingegnere di ponti”. I fantasmi del falso Sé assumono sembianze inquietanti nella mente dell’ambiente sociale che si prepara ad accoglierci. Aspettative, desideri, processi ideativi da parte degli adulti significativi cominciano ad ammantarci di schemi e sovrastrutture culturali che per natura non ci appartengono.

Ha inizio il condizionamento. Ciak si gira!

Catapultati sopra un palcoscenico di folleggianti e nevrotici saltimbanchi, cominciano le danze. Scendere dal palcoscenico è un’alternativa ancora non contemplata dall’Ego Bambino, men che mai se siamo ancora, per l’appunto, bambini. Abbiamo bisogno degli applausi della folla, così come abbiamo bisogno che il nostro regista e il nostro sceneggiatore ci dicano “bravo, stai andando bene!”. La brama dell’essere acclamati è un bagno ristoratore per il nostro Ego. E poi, se facciamo come il regista e lo sceneggiatore ci hanno chiesto di fare, ci terranno con loro al calduccio, ci daranno da mangiare, una stanza, un letto, un computer. Si sviluppa una forma di amore contrattato, condizionato, vincolato ad una logica proposizionale: SE esisti a modo mio ALLORA ti vorrò bene. E il bambino cosa fa? Di fronte all’angoscia orrorifica di essere abbandonato e misconosciuto dalla sua preziosa fonte d’amore, si adatta. Quei riconoscimenti, seppur vincolati, clausolati con un asterisco che rimanda a condizioni ingannevoli, il bambino finirà per accettarli. Perché gli servono quegli stimoli, e non vi rinuncerebbe per nessuna ragione al mondo; e li andrebbe a ricercare e risollecitare anche qualora fossero stimoli provocanti sensazioni spiacevoli e situazioni abusanti. Al bambino piccolo non interessa la qualità del messaggio, interessa la presenza del messaggio: “Che mi si parli e che mi si faccia il solletico, o che mi si urli contro dandomi una cuoiata di cinghia, l’ambiente mi sta dicendo che IO ESISTO!”. Questo è ciò che conta per il bambino, esistere, a tutti i costi esistere, essere visibile, a qualsiasi prezzo. Mentre scrivo, tutto questo mi sta ricordando qualcosa. Mi sta ricordando che se si conserva questo bisogno psicologico anche nella persona adulta, naturalmente inculcandola sotto forme più sofisticate di contrattazione sociale, si può programmare la vita di una persona distogliendola dal proprio autentico cammino di individuazione e dal proprio libero arbitrio. E questo lo sanno bene i manipolatori delle coscienze, che massificano la collettività buggerandola dentro un ologramma di falsi valori ed alienanti e inutili bisogni.

Quindi, ricapitolando, i primi falsi profeti che parlano al nostro Sé sono, dobbiamo fare lo sforzo di ammetterlo, i nostri genitori. Essi ci dispensarono carezze in cambio della nostra prona accondiscendenza. Non lo fecero per cattiveria, lo fecero per Nemesi. Esattamente come noi, anche loro non gradiscono chi compiace, chi cede al compromesso facilotto; peccato che siano bravi ad insegnarlo ed a costituirne un modello edificante. Tutto questo ci ha resi poco assertivi e poco attenti ai nostri bisogni autentici. E dobbiamo riconoscerlo se vogliamo ristrutturarci in progress per espletare la funzione di operatori dell’aiuto.

Con la distorsione del Sé, inoltre, se ne va anche l’autostima. Le due cose sono strettamente collegate, a mio avviso. Il Sé autentico è sempre una meraviglia, quindi è naturale che se lo si scoprisse ci si amerebbe; ergo, chi non ama se stesso è molto probabile (mi sento di approssimare con certo) che non abbia scoperto il proprio vero Sé. Naturalmente c’è anche il fenomeno speculare e contrario, che riguarda coloro che si amano in modo ipertrofico ed egocentrico, sovrastimandosi su tutti i fronti. Probabilmente, questi se si scoprissero si farebbero schifo, almeno al primo impatto. In ogni caso, entrambi questi personaggi hanno un falso Sé, che io chiamo Sé parassita, cioè l’immagine interna e sfalsata di ciò che siamo, che attiva meccanismi difensivi automatici ogni volta che qualcosa potrebbe invitarci a far cadere la maschera. Nel senso che può negare o distorcere la realtà pur di resistere ed autoconservarsi, per continuare ad esistere dentro il suo comodo involucro mistificante. Tale Sé parassita è una difesa apollinea contro la destrutturazione che costringerebbe a conoscere la verità: l’esperienza che atterrisce per consuetudine il genere umano. Il Sé parassita risucchia, devia, filtra e sequestra tutto ciò che può avere un valore rivelante, liberatorio, e che eccita al discernimento, al risveglio della propria coscienza interiore.

Ed allora che fare? Proporre ricette non è nel mio stile, anche perché non tutti gradiscono gli stessi piatti. Personalmente sono convinto che in primo luogo sia importante conquistare concettualmente, con profonda convinzione, la fiducia nella certezza del proprio cambiamento, accettando di farsi aiutare. È importante uscire dall’idea della Nemesi, della facile e semplificativa attribuzione di responsabilità all’esterno. Non c’è a mio modo di vedere una ineluttabilità di un destino a cui siamo invisi per misteriose trame oscure, credo invece nel potere catartico della volontà e del libero arbitrio, nella consapevolezza che quello che stiamo raccogliendo è il frutto del nostro passato, e quello che raccoglieremo lo stiamo seminando nel presente. Quindi si potrebbe per esempio zappare nell’attesa che le nostre opere fruttifichino.

L’operatore dell’aiuto potrà accompagnare il suo prossimo a prendere confidenza anche con i permessi, generando occasioni per sperimentare il “PUOI”… sentire, essere importante, entrare in relazione, pensare, riuscire, stare bene, entrare in intimità; PUOI… essere ciò che sei.

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