Nel volere fornire una risposta che non sia un semplice slogan, efficace all'apparenza ma improduttivo nei fatti, cominciamo con l'interrogarci su qual è, o quale può essere, la dimensione intrapersonale da cui ha origine il quesito.
Prima è opportuno chiedersi cosa si intende per " esperienze negative ".
Con tale denominazione si indicano, generalmente, eventi ( affettivi, sociali, professionali, esistenziali ) che hanno recato frustrazione, disagio, vera e propria sofferenza. Fatti del passato che la persona, insomma, vuole evitare a tutti i costi di rivivere. Circostanze della cui origine l'individuo si sente responsabile ( colpevole, per meglio dire ) attraverso il proprio comportamento oppure che ha subìto senza potere o sapere reagire ( anche l'impotenza, spesso, è vissuta come colpa ) .
La domanda in questione, insomma, porta con sé, quale contenuto emotivo, paura.
Paura di sbagliare ancora e/o paura della propria impotenza.
Se la paura è l'emozione tipica che si sperimenta di fronte ad un pericolo imminente, in tal caso la minaccia si configura non già come un evento esterno bensì come personale attitudine / tendenza all'errore e/o all'impotenza di cui l'evento esterno negativo è semmai conseguenza.
In sostanza il quesito " Come è possibile non farsi condizionare dalle esperienze negative del passato? " esprime la paura di sé stessi o quantomeno di una cospicua parte di sé stessi.
L'emozione, inoltre, non si esaurisce nella una sensazione fisica ma è un complesso di elementi somatici e cognitivi. La paura della propria tendenza all'errore ed all'impotenza, nella fattispecie, è strettamente connessa ad una specifica convinzione su sé stessi che suona più o meno così :
sono destinato/ a all'errore ed all'incapacità ossia
sono intrappolato/ a in una sola risposta inefficace, logorante e controproducente.
In sintesi : non posso e non so fare altro che sbagliare sia quando reagisco che quando non lo faccio.
Concludendo : sono un monoblocco ( emotivo, cognitivo e comportamentale ).
A tale convinzione ne sono connesse altre del tipo :
il passato ci condizione sempre ed inevitabilmente;
cambiare in meglio, essere dunque efficaci, produttivi ecc. è possibile solo sganciandosi del passato ( diventare una persona diversa) e dal passato ( trasformarsi in un individuo libero);
Se la paura è l'emozione che si prova quando si è in pericolo ( o lo si suppone ) la valenza positiva di questo stato d'animo è nel tradursi in una sorta di sirena di allarme che, indicando la minaccia, spinge ad agire di conseguenza.
Si sa che, in tali circostanze, l'agire si può concretizzare in fuga o nel far fronte al pericolo aggredendolo e diventando così, a volte, più pericolosi della minaccia stessa.
Fuga, nel nostro caso, consiste nell'impegno ad evitare, per il resto della propria esistenza, di sperimentare ancora la medesima situazione in cui, in passato, si è commesso l'errore o ci si è sentiti impotenti. Chi ritiene di avere fallito nel matrimonio, ad esempio, si impegna a non instaurare più relazioni affettive significative. Chi ha fallito in un progetto di lavoro decide di cambiare mestiere. E così via. Tali impegni con sé stessi sono consapevoli o, in alcuni casi, sono presi a livelli più profondi della coscienza.
Ad ogni modo il comportamento che ne segue nella pratica quotidiana risulta conflittuale, insoddisfacente, ripetitivo pur se attraverso forme diverse.
Fuggire dalla minaccia per sfuggire alla paura perciò non ha molto senso: l'emozione negativa, i pensieri ad essa associati ed i comportamenti improduttivi consequenziali prima o poi si ripropongono. La promessa fatta a sé stessi " mai più come allora! " può essere un sollievo momentaneo alla frustrazione ma non un utile progetto di vita.
D'altro canto aggredire la minaccia, dunque affrontare a muso duro la paura, significa invece amplificare quella parte di sé che, nella pratica, ha dato vita all'errore. Vuol dire amplificare il comportamento improduttivo, reiterarlo più o meno consapevolmente. Diventa, in sostanza, fare di più e meglio quello che si è fatto prima.
Aggredire la minaccia, perciò, si traduce in ripetere l'errore tutt'al più perfezionandolo. La paura, perciò, finisce con l'alimentare sé stessa. Ed all'impotenza di aggiunge impotenza.
Questa è la domanda che, prima o poi, chi è impegnato in relazioni di aiuto ( counselor, psicologi, psicoterapeuti, formatori, operatori sociali, ecc. ) si sente rivolgere da coloro a cui, attraverso il suo ruolo specifico e le sue particolati metodologie, porta sostegno.
Nel volere fornire una risposta che non sia un semplice slogan, efficace all’apparenza ma improduttivo nei fatti, cominciamo con l’interrogarci su qual è, o quale può essere, la dimensione intrapersonale da cui ha origine il quesito.
Prima è opportuno chiedersi cosa si intende per “ esperienze negative “.
Con tale denominazione si indicano, generalmente, eventi ( affettivi, sociali, professionali, esistenziali ) che hanno recato frustrazione, disagio, vera e propria sofferenza. Fatti del passato che la persona, insomma, vuole evitare a tutti i costi di rivivere. Circostanze della cui origine l’individuo si sente responsabile ( colpevole, per meglio dire ) attraverso il proprio comportamento oppure che ha subìto senza potere o sapere reagire ( anche l’impotenza, spesso, è vissuta come colpa ) .
La domanda in questione, insomma, porta con sé, quale contenuto emotivo, paura.
Paura di sbagliare ancora e/o paura della propria impotenza.
Se la paura è l’emozione tipica che si sperimenta di fronte ad un pericolo imminente, in tal caso la minaccia si configura non già come un evento esterno bensì come personale attitudine / tendenza all’errore e/o all’impotenza di cui l’evento esterno negativo è semmai conseguenza.
In sostanza il quesito “ Come è possibile non farsi condizionare dalle esperienze negative del passato? “ esprime la paura di sé stessi o quantomeno di una cospicua parte di sé stessi.
L’emozione, inoltre, non si esaurisce nella una sensazione fisica ma è un complesso di elementi somatici e cognitivi. La paura della propria tendenza all’errore ed all’impotenza, nella fattispecie, è strettamente connessa ad una specifica convinzione su sé stessi che suona più o meno così :
sono destinato/ a all’errore ed all’incapacità ossia
sono intrappolato/ a in una sola risposta inefficace, logorante e controproducente.
In sintesi : non posso e non so fare altro che sbagliare sia quando reagisco che quando non lo faccio.
Concludendo : sono un monoblocco ( emotivo, cognitivo e comportamentale ).
A tale convinzione ne sono connesse altre del tipo :
il passato ci condizione sempre ed inevitabilmente;
cambiare in meglio, essere dunque efficaci, produttivi ecc. è possibile solo sganciandosi del passato ( diventare una persona diversa) e dal passato ( trasformarsi in un individuo libero);
Se la paura è l’emozione che si prova quando si è in pericolo ( o lo si suppone ) la valenza positiva di questo stato d’animo è nel tradursi in una sorta di sirena di allarme che, indicando la minaccia, spinge ad agire di conseguenza.
Si sa che, in tali circostanze, l’agire si può concretizzare in fuga o nel far fronte al pericolo aggredendolo e diventando così, a volte, più pericolosi della minaccia stessa.
Fuga, nel nostro caso, consiste nell’impegno ad evitare, per il resto della propria esistenza, di sperimentare ancora la medesima situazione in cui, in passato, si è commesso l’errore o ci si è sentiti impotenti. Chi ritiene di avere fallito nel matrimonio, ad esempio, si impegna a non instaurare più relazioni affettive significative. Chi ha fallito in un progetto di lavoro decide di cambiare mestiere. E così via. Tali impegni con sé stessi sono consapevoli o, in alcuni casi, sono presi a livelli più profondi della coscienza.
Ad ogni modo il comportamento che ne segue nella pratica quotidiana risulta conflittuale, insoddisfacente, ripetitivo pur se attraverso forme diverse.
Fuggire dalla minaccia per sfuggire alla paura perciò non ha molto senso: l’emozione negativa, i pensieri ad essa associati ed i comportamenti improduttivi consequenziali prima o poi si ripropongono. La promessa fatta a sé stessi “ mai più come allora! “ può essere un sollievo momentaneo alla frustrazione ma non un utile progetto di vita.
D’altro canto aggredire la minaccia, dunque affrontare a muso duro la paura, significa invece amplificare quella parte di sé che, nella pratica, ha dato vita all’errore. Vuol dire amplificare il comportamento improduttivo, reiterarlo più o meno consapevolmente. Diventa, in sostanza, fare di più e meglio quello che si è fatto prima.
Aggredire la minaccia, perciò, si traduce in ripetere l’errore tutt’al più perfezionandolo. La paura, perciò, finisce con l’alimentare sé stessa. Ed all’impotenza di aggiunge impotenza.
Entrambi questi atteggiamenti, fuga e “ muso duro “, hanno origine da quella medesima convinzione di cui sopra: sono un monoblocco ( emotivo, cognitivo e comportamentale ).
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