l’imperativo categorico della sottrazione


l’imperativo categorico della sottrazione

           In una realtà dalla quale ripetutamente abbiamo subito, ciascuno a suo modo, effetti di disincanto e insicurezze, una singolare prospettiva di lettura può aiutarci a meglio comprenderci e comprendere. Da Gianfranco Marrone, L’impero del SENZA [1], qui di seguito qualche passo:

           Alimenti, alcolici, cosmetici. E poi oggetti, servizi, funzioni. Nulla si sottrae all’imperativo categorico della sottrazione

“Senza – parola magica” che, investendo comportamenti e valori dell’homo consumens, fa la gioia di aziende produttrici e uomini di marketing, strateghi di comunicazione e negozianti sotto casa. Ne fa la gioia perché, manco  dirlo, spopola alle casse o, se si preferiscono termini più tecnici, è un prezioso -e assai persuasivo- argomento di vendita. Basta dare un’occhiata ad annunci pubblicitari e confezioni dei prodotti, siti web e scaffali dei supermercati per accorgersi che di senza si parla dappertutto. Cosa che non riguarda soltanto l’ingrediente per così dire principale di un determinato prodotto, come nei casi di cui s’è detto, dove l’hamburger è di seitan piuttosto che di macinato di vitello o gli spaghetti sono di riso e non di frumento. Ma coinvolge anche, se non soprattutto, componenti tanto accessori quanto abituali, e cioè sostanze che di solito sono presenti in un certo prodotto ma di cui viene vantata, sic et simpliciter, l’assenza.

           Domina il settore alimentare: senza grassi, senza glutammato, senza zuccheri, senza aromi artificiali, senza sale, senza polifosfati, senza solfati, senza conservanti …Coinvolge anche quello dei cosmetici: senza siliconi, senza petrolati, senza parabeni, persino senza lacrime. Ecco l’abbigliamento: cotoni senza trattamenti tossici, vestiti senza sostanze inquinanti per l’ambiente, oppure, scarto sindacale, realizzati senza sfruttamento dei lavoratori. Detersivi: senza tensioattivi, senza sbiancanti ottici. Arredamento: mobili senza formaldeide. Combustibili: benzina senza piombo. Vernici: senza solventi. […]E ancora: bottiglie, contenitori, stoviglie, giocattoli e oggetti vari: senza BPA (additivo usato per la produzione della plastica).[…]Si dirà: ognuna di queste cose ha le sue ragioni, tutte sacrosante, ora di tipo ambientale ora di tipo sanitario ora di tipo etico e così via. Certo, indiscutibile. Colpisce però la loro impressionante moltiplicazione che, per così dire, esonda rispetto ai singoli prodotti e alla loro supposta nocività. […]          L’impero del senza non interessa soltanto le cose materiali ma si estende ai gesti e ai comportamenti d’ogni giorno. […]Così nel mondo dei pagamenti il bancomat rende possibile non stare a contatto con banconote e monete, mentre una app come Wallet (o altre similari) presente in molti telefonini rende inutile lo stesso bancomat e varie altre carte plastificate. Analogamente, nei luoghi pubblici appaiono rubinetti che si aprono al semplice avvicinamento delle mani […]Iniziano a proliferare siti e servizi che vantano l’accesso senza password. […]

Emerge il dubbio che questa sistematica eliminazione di tutto e del suo contrario dal mondo dei consumi, e cioè dalla nostra vita quotidiana, ecceda le singole motivazioni pratiche […].

Siamo davvero di fronte ad un evento paradossale che determina “la vittoria del less is more” del “melius deficere quam abundare” del minimalismo in luogo della società nella quale per anni abbiamo avuto la percezione di vivere, dell'abbondanza, dell’eccesso, dell’accumulo, dell’addizione?

È  indubbio  che ci appaga vantarci di operare sottrazioni/rinunce, che quel senza andiamo a ricercarlo con cura, lo eleggiamo a sostegno del bio, dell’eco, della salute, della prevenzione, dell’innovazione…e l’accumulo, la voracità dell’avere, il valore del tanto e del di più prosperano comunque, a cominciare dalle certificazioni, meglio se plurime, di Istituti noti nazionali/europei e non solo (un prodotto che si rispetti non può non averne) e il nostro tempo quotidiano tiranneggiato impedisce la creatività e la progettualità autonoma, di condivisione e migliore qualità dell’organizzazione sociale, ci ri-conduce nel solco, segnato e calcato da tanti come noi, di una realtà alienante.

      E così, in un qualsiasi fast food a dominare, ancor oggi, non sono gli hamburger piastrati ma le innumerevoli salse che obbligatoriamente vi si aggiungono. [2]

                      Cordialissimamente,

                      Giancarla Mandozzi

[1]Gianfranco Marrone, Prometeo, n. 158, giugno 2022, p. 116-119

[2]ibidem

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