Un Presente ingombrante
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Con abituale naturalezza riusciamo a definire questo nostro Presente e ogni volta, nell’etichettarlo, affidando alla forza di una breve frase o solo di un aggettivo l’espressione del nostro stato d’animo, proviamo un lieve senso di liberazione.
Che la realtà ci abbia riservato in questi ultimi anni eventi che hanno prepotentemente modificato e non in meglio la vita di ognuno, scompaginando le più timide previsioni positive, riconducendoci a noi stessi in un ambito limitato a “nuda vita” di sterile duello vita-morte, ha finito per corrodere ogni speranza e, con effetto lucidamente previsto da pochissimi, ha alimentato la deresponsabilizzazione, ha ingigantito la voglia di evasione, dello straniamento a tutto vantaggio della kermesse di proposte, bisogni indotti, futilità che il mondo sostenuto dall’ipersupertecnologico strumento di ultima generazione può vantare.
Più che vivere il Presente, ora da questo Presente cerchiamo di allontanarci.
È situazione davvero singolare: per decenni abbiamo appreso a vivere nell’oggi, ne abbiamo divorato ogni attimo con frenesia e in fretta perché tanti altri ci incalzavano. Abbiamo imparato a evitare la concentrazione, a fermarci a riflettere prima di agire, prima di scegliere, abbiamo accettato quasi con sollievo che potevamo semplicemente chiedere scusa, dopo, per l’eventuale nostro errore giustificati comunque dal cumulo vorticoso degli impegni quotidiani.
Siamo cambiati e se è certo che il cambiamento è inevitabile, come importante è aprirsi ad accoglierlo e persino a cercarlo, di questo nostro cambiamento inconsapevole difficilmente possiamo giovarci in quanto frutto di un narcisistico sentirsi “in” e …in gruppo. Si è trattato di un cambiamento silente e tuttavia progressivo che ha disperso le nostre energie per tuffarci in ogni attimo immanente, isolato dal prima e dal dopo, dal contesto. Il nostro Presente ha assunto così la fisionomia di una sequela di frammenti disconnessi tra loro e nell’inseguire il sentirci connessi con l’altro e il resto del mondo abbiamo reciso ogni legame con il nostro Passato, evitato di pensare al Futuro e persino di immaginarlo, forse anche per paura, certamente perché il futuro non può configurarsi se non è alimentato da consapevolezza di ciò che è stato (il Passato appunto) e comprensione contestualizzata del Presente (nel qui e ora).
Che cosa resta delle umane capacità, delle peculiarità che restituiscono ad ogni essere umano dignità e ragion d’essere che un’intelligenza artificiale non può sostituire (ancora e forse mai)? È una domanda scomoda per molti di noi; ci fa sentire messi all’angolo dal trionfante mondo-vetrina di bengodi, impotenti a ricondurre la realtà ad un equilibrio tutto nuovo di priorità tra soggetti attivi e strumenti, come gli strumenti informatici, utilissimi, insostituibili, segno tangibile delle doti inventive dell’uomo e tuttavia strumenti di cui potersi servire. Un giro di boa si impone e non facile per allontanare da noi l’assalto a ondate ripetute delle ultime innovazioni da cui oggi ci lasciamo condurre e condizionare. Se provassimo a rallentare, a desiderare ciò che intimamente avvertiamo importante per noi e ad impegnarci per dargli vita, ricacciando indietro quel tutto e subito che è diventata la voce del nostro Genitore Normativo (da Eric Berne, GN)?
Il Presente attende che noi lo percepiamo come nostro, con i suoi minuscoli punti di luce e i suoi tanti aspetti problematici; non è sufficiente che ce ne lamentiamo, né che gli apponiamo un cartellino per sentirci critici nei suoi confronti e sollevati da ogni obbligo di agire il nostro ruolo di vita e/o sociale. Ciascuno di noi provi a desiderare di sentirsi attore nel proprio ambito di competenza per incidere in questo complesso sistema di più reti collegate tra loro e sfuggenti che ci opprimono e padroneggiano. Facciamo sì che l’elaborazione delle esperienze appena trascorse e tuttora in atto siano il primum movens per ri-attivare le nostre energie e riappropriarci della nostra umanità.
Se il Presente ha dilatato il suo potere su di noi, ingombra e occupa il nostro tempo e il nostro spazio, sceglie al posto nostro e mai “per” noi, è certo che noi glielo abbiano permesso, talvolta con estrema leggerezza e continuerà a sovrastarci se non ci scuotiamo dal diffuso torpore. Quella del 2022 non è una Italia sull’orlo di una crisi di nervi: si cerca una profilassi per l’immunizzazione dai pericoli correnti. Ma i meccanismi proiettivi, che spingevano le persone a fare sacrifici per essere migliori, adesso risultano inceppati e la società indulge alla malinconia.[1]
Ci attende un percorso faticoso di interrogativi di senso, di domande su di noi, sull’altro, sul mondo, un percorso che abbia la forza di liberarsi da distrazioni, timori, voglia di evasione che finora abbiamo in tanti creduto fossero le strategie efficaci a restituirci un sorriso, una qualche forma di sopravvivenza, non certo di vita.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
[1] 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, 2 dicembre 2022
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