Storia di un counselor: come tutto ebbe inizio (almeno per me!) Prima Parte


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Counseling… Questa parola mi torna alla mente all’improvviso. Sono fermo ad un semaforo con la mia moto e penso che voglio informarmi per fare un corso di Counseling. Andare in moto è uno dei momenti migliori per pensare o prendere decisioni. Inserisco il “pilota automatico” e comincio a sciogliere le briglie della mia mente su alcune questioni personali che mi stanno a cuore. In genere questi voli pindarici sono interrotti da qualcosa di molto volgare ma anche dannatamente concreto: un clacson delle vetture dietro di me al sopraggiungere del verde o, più semplicemente, l’accorgermi di essere giunto a destinazione o di avere clamorosamente sbagliato strada. Ma non divaghiamo: ho deciso di voler essere un Counselor anche se, allo stato attuale delle cose, non posso dire di sapere precisamente cosa significhi. So però molte cose di me. Ho da poco passato i 30 anni, ho da sempre la convinzione di voler fare lo psicologo (da piccolo alla fatidica domanda: “Che lavoro vuoi fare da grande?” rispondevo tra lo sgomento generale di adulti impreparati: “Voglio curare i matti”), ho un percorso di vita che mi ha portato a fare altre cose (dovevo in qualche modo adeguarmi a quello sgomento, no?), anche se la passione e le caratteristiche personali hanno sempre mantenuto viva “la fiammella”.

Ho scelto di dedicare il mio anno allo Stato facendo obiezione di coscienza e potendo così dare un contributo a situazioni disagevoli, ho deciso di lavorare per molti anni in ambito sociale e ho fatto pace con la mia scelta sbagliata di fare Economia e Commercio (“Molto più utile quando cercherai un lavoro” dicevano tutti, ma proprio tutti, i componenti della mia grande famiglia…) chiedendo il trasferimento alla facoltà di Psicologia dell’Università di Torino, alla veneranda età di 27 anni e alle soglie di una Laurea che non conseguirò più. Da qualche tempo, infine, sto pensando ad un percorso formativo parallelo che mi possa far sperimentare cosa voglia dire fare dell’ascolto la propria professione. Ed eccomi qua al solito semaforo (ma quanto dura ‘sto rosso?) con la determinazione dei giorni migliori: appena arrivo a casa mi informo su questi Master in Counseling.

Non considero neanche l’idea che nella mia città, Genova, ci possa essere una scuola di Counseling e così inizio a chiedere informazioni su corsi che si tengono a Bologna, Torino, Firenze e Siena. Sto valutando tutta una serie di fattori (lunghezza e comodità del viaggio, spese probabili, impressione ricevuta dalle prime risposte delle scuole contattate) quando “per puro caso”, fermo davanti ad un’edicola, noto un giornale specializzato che titoleggia a tutta copertina: “Il Counseling: cos’è e a cosa serve: all’interno uno speciale tutto dedicato a questa nuova professione”. Incuriosito dalla singolare coincidenza mi precipito ad acquistare il suddetto mensile e scopro che, tra le varie scuole che propongono il Master triennale in Counseling, ce n’è una dell’A.S.P.I.C. proprio a Genova. Inoltre il Counseling proposto è preceduto da un’altra parolina - Gestalt - che lì per lì mi dice poco (devo aver letto qualcosa… La buona forma, le immagini che possono essere due cose diverse a seconda di come le guardi; nient’altro per ora!) ma che, ben presto, diventerà la parola chiave. L’approccio Gestaltico Integrato, infatti, sembrerebbe proprio essere stato inventato su misura per me se non fosse che io sono nato qualche anno dopo… L’incontro con i docenti del corso di Genova è ottimo, la decisione presa. Siccome mancano ancora un paio di mesi all’inizio del Master posso tranquillamente dedicarmi ad approfondire l’argomento Counseling e, soprattutto, la teoria della Gestalt.

Intanto mi sembra opportuno fare chiarezza sulla figura del Counselor. Chi è e cosa fa? In quel momento della mia vita non avevo ancora preso la decisione di volerne fare il mio mestiere e dunque non sapevo ancora quanto sarebbe stata frequente in seguito questa semplice domanda…: “Kauns… che? C’è un termine italiano?”. La determinazione e la convinzione con le quali rispondo oggi a questa legittima curiosità hanno preso il posto della timidezza e dell’enorme insicurezza nelle quali mi rifugiavo le prime volte e mi fanno pensare, con un sorriso di tenerezza mista a soddisfazione, all’importanza del percorso intrapreso. Ma torniamo a noi. Cos’è il Counseling? E a cosa serve?

Il Counseling può essere definito come un processo di interazione fra due persone, Counselor e cliente, in cui il Counselor sostiene il cliente nel processo di consapevolezza, nel contattare i propri bisogni e risorse, nello sperimentare nuove possibilità di comportamento. Il Counseling, quindi, è un insieme di abilità, atteggiamenti e tecniche per aiutare la persona ad aiutarsi, attraverso la relazione. Il presupposto fondamentale di questo tipo di intervento è che la persona ha già in sé le risorse necessarie e la proposta operativa è quella di creare le condizioni per farle emergere. E se questo atteggiamento di fiducia, a prima vista, può sembrare semplicistico e superficiale, Carl Rogers ne ha illustrato la validità teorica ed empirica. Grazie alla teoria di Rogers, infatti, il Counseling si è strutturato ponendo in primo piano l’attenzione al cliente come individuo e non come portatore di un problema, e al rapporto umano fra le due persone che si incontrano nel colloquio.Rogers afferma che il rapporto di Counseling o relazione d’aiuto: “E’ una situazione in cui calore umano, accettazione incondizionata e assenza di ogni pressione personale da parte del Counselor permette l’espressione più libera di sentimenti, comportamenti e difficoltà da parte del cliente. Rogers evidenzia che in questa particolare esperienza di completa libertà emotiva, strutturata entro limiti precisi, l’individuo è libero di riconoscere i suoi impulsi e le sue strutture comportamentali come in nessun altro tipo di rapporto. Il Counseling, nel concreto, fa proprio questo: permette a ciascun individuo di sentire ciò che prova, lo sostiene nel momento in cui riconosce delle parti di sé anche negative e lo accompagna verso l’accettazione di sé e quindi verso una nuova e più profonda consapevolezza. Tutto questo movimento, però, non deve essere confuso con la psicoterapia o con un percorso di analisi. Infatti il Counseling si differenzia innanzitutto per la profondità dell’intervento: non si lavora con la parte inconscia del cliente, ma sempre con la parte conscia (a volte anche con il preconscio). La persona è consapevole di quello che sta facendo e il Counselor lo aiuta a rimanere centrato su ciò che prova. Sempre nel qui e ora: anche nel corpo e nelle sue sensazioni. A differenza della psicoterapia, che ha un approccio più centrato sulla guarigione da una “malattia” (patogenesi), il Counseling ha un raggio di azione più specifico: si concentra su un problema e a partire da quello cerca di porre i presupposti per una ristrutturazione degli schemi personali del cliente che lo renda maggiormente soddisfatto di sé e della propria vita, rafforzando le risorse personali (salutogenesi).

In quest’ottica l’obiettivo di un intervento di Counseling non è quello di “guarire” una persona, ma di aiutarla a crescere, in un cammino di sempre maggiore centratura e integrazione di sé, facendo così affidamento sulla spinta individuale all’evoluzione, alla salute e all’adattamento, considerati insiti nella stessa natura umana. Attraverso la relazione con il Counselor, la persona può riconoscere il proprio diritto ad essere ascoltata ed accettata e quindi imparare a sua volta ad ascoltarsi e ad accettarsi.

Ed ora la Gestalt: “What is it?”. Il vocabolo Gestalt è stato adottato ormai da tutte le lingue del mondo, poiché in quasi nessuna di esse esiste un termine equivalente. Serge Ginger ci dice che: “Gestalten significa mettere in forma, dare una struttura significativa”, mentre Petruska Clarkson aggiunge che: “La parola Gestalt abbraccia un’ampia varietà di concetti: figura, struttura, forma intera, configurazione. Essa denota l’entità strutturale che è differente e maggiore rispetto alla somma delle sue parti”.

Il modello integrato della Gestalt permette di condensare differenti aspetti della Psicologia Umanistica e Dinamica. La caratteristica principale della Gestalt, e uno dei suoi maggiori pregi, non è tanto una specifica e rigida costruzione teorica, quanto piuttosto la capacità di cogliere diversi aspetti teorico-esperienziali fondendoli in un qualcosa di nuovo da utilizzare quando serve.

Riprendo ancora le parole di P. Clarkson, che spiegano quali sono gli obiettivi che si propone l’approccio gestaltico: “Lo scopo dell’approccio della Gestalt è di far scoprire, esplorare e sperimentare alla persona la sua propria forma, il suo modello e la sua interezza. L’analisi può costituire una parte del processo, ma lo scopo della Gestalt è l’integrazione di tutte le parti disparate. In questo modo le persone possono permettersi di diventare quello che già sono, e quello che potenzialmente possono diventare. Questa pienezza di esperienza può dunque essere disponibile per loro sia nel corso della propria vita, sia nell’esperienza del singolo momento”. Questa definizione contiene parecchi dei concetti chiave di quella che da molti viene definita la “terza forza” della Psicologia Umanistica. Innanzitutto Fritz Perls (considerato il padre spirituale di questa teoria psicologica) si rifece molto agli esperimenti sulla percezione che evidenziavano la concezione olistica, organistica e biologica del funzionamento e della crescita umani. Da questi esperimenti derivarono alcune teorie tipicamente gestaltiche. Innanzitutto la tendenza umana a percepire la totalità anche quando mancano alcune informazioni fece teorizzare che “il tutto è cosa diversa e superiore alla somma delle sue singole parti”. Venne inoltre elaborato il concetto di figura e sfondo, soprattutto grazie alla “teoria del campo” di Kurt Lewin. Questa teoria introduce una novità di chiara implicazione terapeutica: ogni individuo non è mai a se stante ma può intendersi solo in relazione con l’ambiente di cui fa parte. In questo ambiente, inoltre, egli opera per omeostasi (o adattamento), cerca cioè di soddisfare i propri bisogni. Poiché i bisogni sono tanti ed ognuno di loro sconvolge gli equilibri è evidente che il processo omeostatico è sempre in atto e fa scegliere all’individuo il bisogno più importante in quel momento tra tutti quelli emergenti, la figura in primo piano, relegando sullo sfondo (almeno temporaneamente) gli altri. Tale processo ci riporta alla teoria del Sé, vera base concettuale della Terapia della Gestalt. Il Sé gestaltico, come lo definisce Goodman è: “il confine del contatto in funzione; la sua attività consiste nella continua formazione di rapporti figura/sfondo”, non è cioè come l’Io psicoanalitico un’entità fissa, bensì un processo; non è l’essere ma l’essere-al-mondo, lo sviluppo del proprio stile personale, e consente il continuo adattamento creativo tra individuo e ambiente, tra mondo interno e influenze esterne. Il luogo in cui il Sé si manifesta è il confine del contatto e cioè il confine tra l’individuo ed il mondo. Da qui la descrizione del Ciclo di Contatto della Gestalt che viene suddiviso da autori diversi in un numero variabile di fasi principali. La suddivisone data da Goodman è quella più generalmente accettata e prevede:

1) il precontatto nel quale gradualmente il bisogno emerge chiaramente in figura;

2) la presa di contatto che è una fase attiva (un processo) nella quale la persona inizia ad individuare l'oggetto desiderato e stabilisce un contatto con esso;

3) il contatto pieno che è una fusione, una confluenza sana tra individuo e ambiente, con modalità media e cioè sia attiva, sia passiva;

4) il postcontatto o ritiro che è la fase di assimilazione dell'esperienza, la quale diventa parte integrante della storia personale.

La vita di ogni individuo è quindi un susseguirsi di cicli del contatto che possono avere sviluppi più tortuosi di quelli sopra descritti (al manifestarsi delle cosiddette resistenze al contatto) oppure addirittura non concludersi nella maniera prevista lasciando così insoddisfatta la persona con quelle che Perls definisce delle Gestalt incompiute, vera origine, secondo lui, di tutte le nostre nevrosi. Più il ciclo del contatto è sano e fluisce in modo armonico (simile cioè a quello inizialmente descritto da Goodman), e maggiore sarà il benessere dell’individuo.

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