Immaginare il Futuro
Per poter immaginare il Futuro, prioritariamente ci necessita una capacità: siamo capaci di ammettere che la verità è nascosta tra ciò che non conosciamo?
Senza rifletterci e con naturalezza quanti di noi risponderebbero con un convinto sìììì! Eppure, i contesti che frequentiamo, le relazioni che viviamo, il mondo in cui ci troviamo manifestano il contrario: neo-certezze che si consolidano avvalorate dal seguito di fan e che, pertanto non abbisognano di fondamenti condivisi; ricerca di risposte immediate ad ogni possibile richiesta, ad ogni problema generale o individuale già pronte e appositamente confezionate per noi da esperti; ostracismo non dichiarato ma efficacemente strisciante di ogni forma di dubbio, vista come impaccio che ritarda la corsa verso traguardi di visibilità=successo; riconoscimento di quanto è alla superficie di ogni situazione, condizione; ignoranza –ormai da tempo allenata- che esista una sottesa profondità, anzi vari livelli di approfondimento che a ciascuno di noi spetta di indagare e la cui conoscenza, per definizione in itinere, non potrà mai dirsi definitiva.
Già, questo è il mondo in cui viviamo, un mondo che si accontenta di una conoscenza appena imbastita con un sentito dire, aver letto (frettolosamente) e che soprattutto rassicura le nostre pregresse convinzioni.
Per i pochi che avvertono quanto debole sia la conoscenza che possediamo e quanto cammino ancora vada percorso per avvicinarci alla nostra identità, per dare spazio alle potenzialità che abbiamo progressivamente narcotizzate o abbandonate preferendo il già fatto, il già pronto, la comodità ovunque e sempre, per questi pochi che avvertono certo la solitudine della propria condizione e tuttavia la accolgono con gioia perché frutto di scelta e con ottimismo credendo che sia possibile in futuro ritrovarsi in tanti, per questi rispondere che sono capaci di ammettere che la verità è nascosta tra ciò che non conosciamo è risposta autentica e consapevole. E, dunque, con loro è possibile immaginare il Futuro, luogo di ciò che auspichiamo, in piccola parte possiamo pre-vedere, e, in fondo, proprio in quanto ignoto può essere da noi costruito. Immaginare per costruire, immaginare un futuro con caratteristiche diverse, correttive delle distorsioni che conosciamo, rende possibile provare a renderlo reale.
Non è semplice né facile e non possiamo neppure escludere che le conseguenze di un simile grande sforzo potrebbero essere anche negative.
Virginio De Maio, commentando una scena del film “Another Earth” annota:
Quando John, rivolgendosi a Rodha, dice:“Non sai che cosa c’è lì!”lei risponde: “E’ per questo che ci andrei!”
Se in questo momento tutto intorno a noi urla “Non sapete cosa c’è nel futuro”, insieme rispondiamo: “E’ per questo che ci andremo!”
Per la voglia di un mondo nuovo e migliore.[...]
Il rischio è di finire come l’allegoria della caverna di Platone e quelli che ci vivono. Uno di loro si spinse verso l’esterno e scoprì un modo di vivere migliore. Ma al suo ritorno non venne creduto, venne picchiato e schernito.
Eccone il significato nascosto:
Nella nostra vita, l’esterno della caverna da cosa è rappresentato? E chi sono coloro che vorrebbero tenerci sempre all’oscuro? E cosa ci trattiene dall’andare fuori a scoprire nuovi punti di vista? E’ più la paura, o la fatica necessaria?
Quanto a quest’ultima, la fatica, gioca un ruolo prioritario. Ci tiene inchiodati al suolo, nella caverna, dove ognuno di noi hai suoi quadri, le sue comodità, i suoi mobili. Basta abbellirla, ogni tanto, ritinteggiarla, arricchirla dell’ultimo ritrovato tecnologico, e questo basta per alleviare sofferenze e insoddisfazione.
Ma la fisica insegna che, se vuoi volare, è necessaria più energia per sfidare la forza di gravità che per compiere 10 giri intorno all’orbita terrestre. E’ un fatto di inerzia, di sforzo necessario all’inizio di un cambiamento; ma quando è fatta, quando la forza di gravità è stata ormai superata, la “navicella” non troverà più resistenza e potrà esplorare per anni, senza fatica, nuovi mondi.
[…]La forza di gravità non è solo fisica, è soprattutto mentale. E’ quella zavorra psicologica che ci tiene attaccati ai nostri modi di pensare.[…]la paura del nuovo non può che essere “paura di perdere il vecchio”.
(in https://www.ilcinemainsegna.it/video/cosa-ce-nel-futuro/)
Chiediamoci quale sia il senso di provare paura a perdere il vecchio, quel già noto di cui evidenti sono i tanti limiti e impedimenti.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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