l'assuefazione alla gioia...
Nutrire desideri, alimentare sogni, percepire con precisione i nostri bisogni da quelli primari fino alla autorealizzazione, dà senso alla vita di ciascuno, rigenera le nostre forze e le nostre risorse impegnate nel raggiungimento di obiettivi che davanti ai nostri occhi si presentano uno alla volta o in gran confusione tutti insieme. Per questo, l'assenza di desideri è sentita da ognuno di noi, a qualunque età, come il problema, il segno tangibile di un cedimento grave, di un totale abbandono di sé agli eventi, una condizione difficilmente risolvibile e da evitare.
Facendo leva su questo più facilmente ci catturano i messaggi mediatici che ormai da decenni ci inducono bisogni indotti, bisogni dunque che non ci appartengono e non reali, ma ognuno dei quali possiede la speciale qualità di ogni altro bisogno reale e addirittura primario: ci dà piacere raggiungerlo, ci comunica euforia, ci fa sentire soddisfatti di noi, ci fa sentire in . Anche per non sentirci out dunque sospendiamo ogni razionale analisi in merito, senza riflettere su quanto sia coerente o appartenga al nostro mondo, quanto migliori la qualità della nostra vita quel bene, quell'oggetto, quello status symbol , perché in fondo sempre di qualcosa da possedere o esibire si tratta.
I bisogni che ogni giorno avvertiamo sono tanti, incommensurabili se confrontati a quelli di chi aveva la nostra età venti o trenta anni orsono e dal momento che ognuno può soddisfarli o meno in rapporto anche alle proprie condizioni economiche, non è infrequente che la mole di bisogni, di quei bisogni "indotti" crei frustrazioni e abbassi la propria autostima quasi che fosse un merito inseguire...il pifferaio magico.
Ma consideriamo la condizione più appetibile, quella di chi può ottenere ciò che desidera, può soddisfare ogni giorno almeno uno tra i tanti miraggi proposti (specchietti?) e immaginiamo il suo stato d'animo, la sua soddisfazione, la sua sicurezza; tutto di lui o di lei, l'eloquio il paraverbale il non verbale, esprime pienezza di sé, fiducia nel proprio futuro, sensazioni positive. Ciò che può sorprenderci è che persone così soddisfatte di sé, non contagiano gli altri con il proprio ottimismo, al contrario, quasi sempre li fanno sentire inadeguati, allertando e ingigantendo le insoddisfazioni latenti in ciascuno.
Osserviamo da vicino in questa invidiabile condizione la persona cosìddetta "arrivata", in grado di raggiungere i propri obiettivi: forma fisica atletica e scattante, magica dieta per cui mangia ciò che desidera a volontà senza ingrassare, essere informato/a su "tutto", dalle ultime novità riguardo ai tablet, ai viaggi in aereo a costo zero...o quasi viaggio, soggiorno ecc...pacchetto tutto compreso. Ad un certo momento, imprevedibile e imprevisto, senza che nulla di negativo o di problematico sia intervenuto, questa persona vede precipitare la sua soddisfazione: ciò che ha ottenuto e ciò che può ancora ottenere non gli/le porta alcun brivido di piacere, alcuna emozione; la sua vita continua ad essere invidiabile agli occhi altrui, tutto appare come sempre, come prima, MA nulla le è più piacevole. Semplificando e molto, ci scusino gli specialisti della psiche, semplicemente , inavvertitamente questa persona ha superato e come neutralizzato la soglia del piacere.
Come esiste, una soglia del dolore, una soglia di sopportazione di noi stessi e degli altri, una soglia di accettazione, ognuna assolutamente individuale e neppure oggettivamente misurabile, così esiste una soglia del soddisfacimento, del piacere, del provare gioia, anch'essa squisitamente individuale e soggettiva oltre la quale il nostro animo diventa come insensibile, non si emoziona più, colpito da assuefazione: assuefazione al piacere, al divertimento, alla gioia, al "va tutto bene".
Sembrerebbe una condizione comunque da desiderare, quasi quasi verrebbe da dire "ma fammela provare questa assuefazione al piacere, vorrà dire che di piacere ne ho provato e tanto!". Verrebbe da dire così, ma il fatto è che nel momento in cui siamo assuefatti sia pure dal soddisfacimento dei bisogni, nulla rimane del piacere provato e sempre più grande invece si fa lo sgomento di non essere contenti, pur non avendo nulla di cui lamentarsi, totalmente presi dal controllo di strategie e tecniche che ci inducono a lottare per ottenere ciò che vogliamo (che ormai non ci interessa nemmeno più).
In fondo, ne siamo tutti consapevoli, la voce del poeta ci ha aiutato a prenderne coscienza:
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
(Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia)
Oggi, la società dell'apparente benessere, dell'immagine ha portato all'estremo questa peculiarità dell'essere umano estendendo la sublime insoddisfazione di fronte alla nobile domanda del senso della nostra vita su questa terra, al tedio che consegue all'avere e questo sì che si è esteso, dilagando da individuo a individuo, contagiando le giovani generazioni, non senza responsabilità degli adulti.
Quando ottenere ciò che vogliamo ci appare scontato, consueto, entriamo in un vortice, quello del controllo di noi e di tutto, a 360°:un inquilino [il controllo] che non paga più l’affitto e si fa forte di un diritto di usucapione che ha acquisito in virtù del nutrimento che gli si è regalato in partenza, che continua a vivere di una vita propria,e anestetizza qualunque piacere. (http://www.elisabalbi.it)
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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