PAROLE CHE TRASFORMANO. Sostenere e potenziare l’autorivelazione rivolta al cambiamento

Inviato da Nuccio Salis

 possibile parole che cambiano

Premessa

Il potere del linguaggio verbale attrae da sempre la molteplicità degli studiosi di vari indirizzi e discipline. Al di la dei più svariati orientamenti che cercano di carpirne le strutture ed i processi che lo regolano, questa abilità peculiare e straordinaria, prerogativa della specie umana, ci permette sia di formulare che di decodificare suoni significanti per trasdurli in un corpus di significati sia concreti ma anche con possibili artifici retorici che rendono la stessa avventura della fruizione linguistica un’esperienza edificante per la nostra capacità di interpretare il mondo e noi stessi.

I vantaggi legati alla funzione del linguaggio sono ampiamente studiati e dibattuti da varie correnti di ricerca che si occupano del complesso fenomeno della comunicazione. Gli elementi che distinguono la parola possono essere articolati ed affrontati come oggetti di studio separati e nel contempo interdipendenti, allo scopo di scoprire i meccanismi che governano questa speciale e preziosa risorsa umana. Le implicazioni legate a questa sofisticata competenza hanno notoriamente importanti riscontri nel campo socio-relazionale, e pertanto l’uso appropriato di questa pregiata capacità può ampliare le opzioni per costruire contatti interpersonali benevoli e soddisfacenti.

 

È ben noto, infatti, come non sia sufficiente impadronirsi delle proprietà  fonetiche e delle convenzioni lessicali e sintattiche di una struttura linguistica, ma occorre anche saperne applicare l’efficienza sotto l’aspetto grammatico e di controllo dell’intero processo.

L’interesse storico suscitato dal potere della parola lo si ritrova già in tempi remoti se si guarda per esempio alla Grecia dei sofisti, spesso capostipiti fondatori di varie scuole impegnate ad attribuire alla parola una compiuta funzione nel mantenimento dell’ordine politico e della gerarchia sociale di un’organizzazione collettiva.

Soggetta a numerose trasformazioni dovute a contaminazioni ed ibridazioni culturali, la parola ha continuato ad esercitare tutta la sua forza semantica, ed oggi forse più che mai viene impiegata per veicolare con immediatezza e rapidità concetti ed etichette che spesso però semplificano una visione di mondo sotto forme già preconfezionate. 

La parola seduce da sempre chi della stessa ne fa il suo privilegiato oggetto di studio o di attività. Attori, poeti, studiosi del linguaggio, per esempio, cercano di sondarne i misteri più reconditi, ingaggiando una sorta di sfida nella ricerca dell’insoluto e dell’imponderabile.

La straordinaria portata di tale fenomeno, complesso e multicomponenziale, non poteva di certo sfuggire a chi ha investito proprio sullo strumento parola allo scopo di perfezionare le sue teorie e pratiche lavorative. Nella relazione di aiuto in ambito clinico, ad esempio, Freud riteneva la parola un vero e proprio metodo di cura, se applicato con rigore e secondo i criteri da egli indicati. Esiste tutto un impianto operativo fondato sulla parola, nel campo del colloquio terapeutico e di sostegno alla persona.

Essa rappresenta una valida opzione per promuovere alleanze, confronti, veicolare concetti, messaggi, organizzare processi comunicativi di ogni dimensione e portata.

Naturalmente si presta anche ad equivoci e storture di svariato genere, e perciò il suo uso risulta efficiente e favorevole soltanto a patto che si adottino opportuni accorgimenti per sfruttare col massimo del vantaggio ogni sua potenzialità.

Nella relazione di aiuto bisogna altresì precisare che l’utilizzo del linguaggio, da parte del professionista addetto, rispecchia le intenzioni in merito a una maggiore efficacia dell’intervento, e quindi la parola è da considerarsi come uno strumento privilegiato di eccellenza a cui ricorrere con lo scopo di realizzare importanti obiettivi nella vita del cliente.

 

Parole parole (ma non solo parole)

Attestata l’importanza del linguaggio verbale, con tutte le sue connotazioni ed implicazioni per i quali esistono già numerosi trattati in questione, resta da compiere il tentativo di comprendere come utilizzare al meglio la preziosa risorsa inerente alla parola, per rendere un servizio di qualità verso chi intende fruire della pratica del supporto alla persona.

Partendo dal presupposto che nel linguaggio verbale emesso, qualora vi sia presente autenticità dichiarativa, si manifesta più o meno esplicitamente tutto ciò che attiene al proprio ambito di intenti, bisogni ed obiettivi. Ciò implica che durante il colloquio fracounselor e cliente, il primo si impegna ad intercettare con attenzione e maggiore precisione possibile tutte quelle espressioni verbali che rimandano ad intenzioni di cambiamento. Nel contempo, si provvede ad una rigorosa restituzione di tutte quelle piccole frasi o singole parole che contengono sia visibili che implicite affermazioni di sé legate alla voglia di promuovere e gestire i mutamenti auspicati.

È possibile, per esempio, suddividere le asserzioni del cliente in due grandi famiglie: la prima potrebbe includere tutto ciò che si dice in riferimento ad auspici di cambiamento, la seconda racchiude tutto ciò che il cliente già produce in modo fattivo per conseguire apprezzabili risultati. Potremmo chiamare le due relative categorie “dichiarazioni di auspicio” e “dichiarazioni di mobilitazione”, le quali si riferiscono rispettivamente a cosa il cliente desidera e che cosa il cliente fa; in pratica una distinzione seppur in certa misura contigua fra un’area ‘propositiva’ ed una dimensione ‘attiva’.

In buona sostanza, si dovrebbero cogliere anche le più piccole autorivelazioni per riportarle e riecheggiarle nel quadro d’insieme che il cliente propone, e provvedere a dare enfasi a tutto ciò che immette spontaneamente il cliente stesso dentro una sua prospettiva di cambiamento.

Da una parte, dunque, si procede a catturare e rivalutare in setting tutte le espressioni verbali connesse con i propositi, dando nel contempo una forte sottolineatura anche alle parole del “fare”.

Esempi di affermazioni potrebbero essere le seguenti:

 

Area dell’auspicio: “Vorrei”, “So che potrei”, “Sarebbe utile…”, “E’ giunto il momento di…”

 

Area della mobilitazione: “Ho deciso di…”, “Mi sento finalmente pronto per…”, “Sto già provando a…”;

 

Naturalmente si può considerare come ciascuna affermazione, pur se appartiene allo stesso gruppo dentro cui è collocata, avrà un livello diverso in merito alla reale forza ed intensità dichiarativa esplicitata dal cliente, e anche nel rimando bisognerà tenerne conto, dal momento che la parola va in ogni caso considerata nel suo rapporto congruente con le altre aree di espressione comunicativa. Bisognerà quindi attentamente considerare quanto una parola sia accompagnata anche da congiunte modalità comunicative che riguardano anche la prosodia paralinguistica e tutto il restante e complesso repertorio della manifestazione non verbale. Ciò conferirà a ciascuna espressione anche il suo esatto posizionamento in merito a quanto il cliente senta e percepisca come realistica una sua affermazione, e quanto rispetto alla stessa si senta efficace nel condurla a realizzazione. In pratica, un conto è esprimersi con un “vorrei” pari ad un flebile e quasi impercettibile sussurro, magari col capo chino o uno sguardo evitante, altro è invece emettere vocalmente uno stentoreo “vorrei” di grande effetto, guardando negli occhi il proprio interlocutore, magari annuendo col capo o stringendo i pugni.

È noto infatti come le intenzioni non bastino per accertare l’effettivo trasferimento dalla teoria alla pratica dei fatti, così come non è sufficiente che sia in corso l’impegno concreto per realizzare i propri auspici, dal momento che ostacoli e momenti di resa e di sconforto, soprattutto nelle fasi cruciali di una decisione in vivo, possono far capitolare verso la rinuncia o la ripresa di abitudini deleterie nei confronti delle quali se ne proclamava il superamento.

Affinchè si prevenga questo spreco di energie, anticipando il più possibile l’indecisione o la cattiva gestione della stessa, come primo passo si potrebbe avanzare l’idea di chiarire con maggiore trasparenza possibile quanto effettivamente il cliente si senta pronto a dare attuazione alle sue dichiarazioni. A questo scopo, si può ritenere adatto ricorrere all’uso consapevole di domande, mai troppo intrusive e in modalità incalzante, piuttosto preferire la forma aperta e che naturalmente riprenda i punti salienti proposti dallo stesso cliente durante l’interazione colloquiale. Quando i contenuti inviati dal cliente risultano poco chiari, non del tutto congruenti, o tentennano di capacità decisionale, si potrebbe aiutare lo stesso ad esplorare e completare le mancanze mediante formulazioni aperte di domande adeguate all’uso.

Per riportare alcuni esempi, queste potrebbero essere le seguenti:

 

- Cosa vorrebbe?

- Cosa si sente capace di fare?

- Quale ostacolo si frappone?

- Giunti a questo punto cosa pensa sia meglio per… ?

- Cosa sente più giusto per lei?

- Quale decisione ha preso?

- Com’è andata?

- Per cosa si sente pronto?

 

Ciascuna domanda è naturalmente mirata in funzione di un preciso focus che si intende svelare con maggiore profondità. È bene tenere a mente la percezione di una spinta direttiva contenuta nella domanda, che va saputa rivolgere appellandosi a criteri di tatto, rispetto e sensibilità, evitando di urtare troppo il mondo esperienziale e le coordinate interpretative del cliente. Da evitare assolutamente tutte quelle domande che cominciano con un induttivo ‘perché’, con cui si corre il rischio di alimentare un circolo vizioso di suggerimenti e giustificazioni fra counselor e cliente, invischiandosi nella trappola del “simaismo”, termine inesistente col quale mi riferisco a quel fenomeno descritto molto bene in analisi transazionale come gioco del “Perché non… Sì, ma”; e che consiste appunto nel rilanciare consigli puntualmente respinti da chi ha già deciso sia che cosa fare che soprattutto cosa non fare.

Un counselor accorto conosce e cercherà di evitare tali trappole, adottando utili accorgimenti per perfezionare la sua prestazione di aiuto a favore del cliente. In tutto questa dinamica, si deve pur tenere conto di certe fasi e livelli che indicano in quale momento del processo evolutivo si trovi la persona che decide di usufruire dell’aiuto professionale basato sull’ascolto comprensivo.

Il paragrafo seguente intende per l’appunto affrontare tale questione.

 

Il percorso di consapevolezza per il fronteggiamento concreto di un problema parte dalla capacità di rendersi conto che un problema per l’appunto esista, e che tale valutazione di base costituisce il primo importante gradino per poter accettare di attivarsi in un cammino cosciente di cambiamento.

Sulla base di stadi elaborativi sequenziali che si ritrovano già ampiamente descritti e dibattuti nella corrispondente letteratura, ho potuto ispirarmi per creare un modello a 5 passi che prevede il concatenamento dei seguenti punti, sotto la sigla USCOP:

 

. Undershooting

In questo primo step, la svalutazione del problema è massima e radicale. Il soggetto ignora e disconosce l’esistenza di un problema, e qualora gli fosse rimandato, attiverebbe atteggiamenti di resistenza ricorrendo ad affermazioni ostili al cambiamento, del tipo “ma tanto”, “ormai” ecc. L’analisi verbale e discorsiva delle dichiarazioni, in questo caso, metterebbe in evidenza le parole della non accettazione in merito ad ipotesi di trasformazione.

 

.Seeing

La seconda tappa, raggiungibile anche qualora si superasse la precedente, include che il soggetto esca dalla zona cieca di ignoranza per riconoscere il problema e saperlo descrivere in termini logico-causali in merito agli effetti prevedibili che scaturirebbero dalla risoluzione dello stesso, sia come nuovi elementi positivi che anche legati al rischio o alla frustrazione. Tale livello è però ancora speculativo e può annunciare probabili e realistiche prese di decisione.

 

. Choice

Punto cruciale da cui il soggetto assume una scelta pianificata e ponderata, supportata dal desiderio di liberarsi vecchi schemi e degli effetti negativi prodotti da atteggiamenti e modelli di cui si considera e si progetta seriamente il superamento. È quel momento apicale del “Io voglio”, che ricerca una struttura credibile per raggiungere concretamente gli obiettivi immaginati.

 

.Operate

È il momento in cui si entra nel vivo della scelta misurata attraverso i comportamenti. Il cliente sperimenta le conseguenze delle sue decisioni e si confronta in diretta con i costi e i benefici delle sue azioni.

 

.Preserve

Dopo l’attuazione di nuovi modelli comportamentali è necessario difendere eventuali nuove conquiste identitarie dirette all’evoluzione del Sé. È indispensabile avere cura di quanto e come la persona riesca ora a impadronirsi definitivamente dei suoi nuovi requisiti, agevolandone la generalizzazione e il consolidamento.

 

Il commiato non potrà avvenire fino a quando il soggetto non impari a muoversi con sufficiente autonomia, ridiscutendo agilmente se stesso con fiducia e motivazione.

Pertanto, si continuerà fino a quanto sia necessario, per aiutare il soggetto ad applicare strategie di autoriflessione, verifica e controllo dei propri risultati, come in un vero e proprio processo di ricerca-azione.

L’osservazione in modalità follow-up diviene così importante anche nell’ottica della prevenzione delle ricadute, per rinnovare il coraggio responsabile delle proprie scelte, e per l’interiorizzazione definitiva di un nuovo e più efficace modello esistenziale.

 

Piccola bibliografia di riferimento:

 

§  Matulich B., Il colloquio motivazionale passo dopo passo, Trento, Erickson, 2015.

§  Stewart I., Joines V., L’analisi transazionale, Milano, Garzanti, 1990.

 

 

 

 

 

 

 

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