come ... snidare il pre-giudizio


            Ettore e Andromaca,, olio su tela (90,4 x 60,3 cm.), 1925, 1930, Giorgio de Chirico (1888-1978)

 

come ... snidare il pre-giudizio

           

            Ri-conoscendolo! Ognuno di noi, in effetti, è certo di conoscerlo e di ri-conoscerlo in qualsiasi forma ... negli altri. E nel caso in cui appartenga anche a noi? La situazione si fa assai più complessa perché nello stesso momento in cui dovessimo porci il dubbio se per caso anche noi siamo portatori di ciò che stigmatizziamo con immediatezza nell'altro, allora scatta in noi, come per un automatismo, una sorta di esercito della salvezza, un mixage di giustificazioni, costrizioni, differenze qualitative, necessità irrinunciabili e chissà quale altro scudo difensivo pur di non intaccare l'immagine di noi che  abbiamo per noi stessi costruita. Arriviamo persino a difenderci da quel dubbio che ci è balenato in mente (o che qualcun altro ha voluto imporci) in nome della nostra identità e delle nostre buone intenzioni, delle nostre capacità di osservare attentamente prima di valutare. In un parola, siamo tenacemente pronti ad assolverci.

 

            Proviamo allora per un attimo a giocare al gioco del come se e immaginiamo di aver sciolto il nodo della nostra autodifesa preventiva e di accettare di restare nel dubbio che il pre-giudizio talvolta appartenga anche a noi. Finalmente saremmo in grado di osservarci nel qui e ora ed anche in situazioni pregresse con un'ottica nuova che può aprirci ben altre prospettive. Difficile da subito orientarci per comprendere qual è il nostro punto più vulnerabile e dunque possiamo iniziare da episodi in cui abbiamo con estrema tranquillità mantenuto la netta convinzione di essere nel giusto senza se e senza ma, nella tenace e solida certezza che ogni distorsione valutativa appartenesse al nostro interlocutore. Proprio in queste circostanze, a posteriori, possiamo rintracciare segnali pre-giudiziali che hanno progressivamente fornito materiali e "prove" alla nostra visione così da renderla per noi l'unica vera, al di là di ogni possibile negoziazione. Negoziare non sempre è possibile e talvolta è del tutto inopportuno, ma forse potremmo scoprire, con questo gioco del come se, che ci accade di rinunciare alla negoziazione un po' troppo frequentemente.

            È questo un primo esempio di come possiamo constatare che il pre-giudizio, che crediamo patrimonio altrui, in realtà si annida in quell'atteggiamento di assoluta certezza dal quale abbiamo tratto significativi momenti di benessere interiore e che scopriamo fondati sul rifiuto ad accettare ciò che l'evidenza ci offre, se è diverso da quanto ci aspettavamo, sapevamo e di cui possiamo vantare valida esperienza. “Percepire un aspetto nuovo di sé stessi è il primo passo verso il cambiamento del concetto di sé", afferma Carl Rogers.

"La nostra prima reazione di fronte all'affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un'opinione tendiamo subito a pensare "è ingiusto", "è stupido", "è anormale", "è irragionevole", "è scorretto", "non è gentile". Molto di rado ci permettiamo di "capire" esattamente quale sia per lui il significato dell'affermazione."Sono ancora parole di Carl Rogers; se il pre - giudizio appartenesse solo a pochi, forse non avremmo avuto maestri come Carl Rogers che con grande autorevolezza, esperienza, fornendo prove circostanziate ci hanno invitato a sospendere il giudizio come prima condizione per imparare ad ascoltare ... noi stessi e l'altro. Lasciamoci conquistare dalla visione realistica e tuttavia così dinamica e pro-attiva dell'essere umano che permea l'eredità del grande maestro, linfa nutriente del counseling: "Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé, gli atteggiamenti di base e gli orientamenti comportamentali. Queste risorse possono emergere quando può essere fornito un clima definibile di atteggiamenti psicologici facilitanti.[...] Una delle ragioni principali della resistenza a comprendere, è la paura del cambiamento: se veramente mi permetto di capire un'altra persona, posso essere cambiato da quanto comprendo.”

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi 

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