Counseling ed Etica: Confine o limite?


eticaPersonalmente sono d’accordo con chi riprendendo la visione aristotelica dell’Etica, ne parla  come di ”una scienza pratica che implica un sapere che ha per fine l’agire”. Infatti, che ce ne rendiamo conto o meno, dal momento in cui apriamo la porta al nostro potenziale cliente per occupare insieme a lui uno spazio convenzionalmente definito setting. Siamo tenuti ad affrontare ed a rispondere ad un interrogativo sostanziale: siamo  o, per meglio dire, saremo in grado di agire in modo eticamente corretto? Qualsiasi sia la risposta che ognuno si da,  a mio parere, la vera questione è cosa voglia dire, in realtà,  ispirare la propria metodologia comportamentale  a principi di etica. Appare chiaro come esista, innanzitutto, un'etica delle scelte; e, già si è evidenziato come la scelta dell‘ intervento operativo migliore,  di fatto, nel rispondere a criteri valutavi ed interpretativi assolutamente personali, divenga, prima di tutto, una scelta etica.

Probabilmente è lecito supporre  che non tutti gli helpers  siano pienamente consapevoli di questi aspetti della decisione e, cosa ancora più importante, del fatto che le motivazioni discrezionali che preesistono alla scelta operativa, rispondono praticamente alle  sue visioni del mondo. Già da tempo Karl Jaspersaveva capito quanto la percezione personale del mondo dell’ operatore potesse in qualche modo sottendere alle scelte operative effettuate, poi, all’ interno  della relazione di aiuto. Il filosofo (psicoterapeuta) tedesco  individuò i punti su cui si costruiscono , volta per volta le visioni del mondo di ognuno di noi.  

Pur descrivendoli in maniera figurata, come un cerchio non completamente chiuso, proprio a causa dell’ inclinazione consustanziale  che esse hanno  di integrarsi e modificarsi nel tempo,  ne  pone chiaramente in evidenza  la loro capacità di incidenza nel quotidiano di tutti noi per il  semplice fatto di ribadire come siano importanti per l’ elasticità personale di ognuno. Ciò, quindi, non fa altro che confermare come i primi istanti della costruzione di un setting non possano sfuggire all’ influenza valutativa del counselor, anche in considerazione del fatto che gli elementi di conoscenza dell’ utente, in quel particolare momento della relazione, sono, evidentemente, molto limitati. 

Comunque sia, al di là dell’ impostazione metodologica di riferimento, che diviene il leit- motiv di tutto il percorso di counseling, l’ Etica segue un percorso assolutamente autonomo essendo comunque uno dei cardini su cui si deve incentrare ogni singolo colloquio col cliente. Perciò se, alla luce di tutte queste considerazioni, è vero che  la responsabilità dell’ helper si arricchisce di nuovi connotati è logico domandarsi se e/o quando  l’ Etica si trasformi  in un confine piuttosto che in  un vero e proprio limite.

A prescindere dalle estreme conseguenze in cui,  secondo l’ opinione di alcuni rischia di incorrere chi gestisce una relazione d’ aiuto: e cioè che l’ helper , impegnato maggiormente in un processo di auto- esplorazione , finisca col prendere su di sé anche” la responsabilità di ciò di cui non può essere  consapevole”, si deve comunque considerare che l’ intervento operativo più adeguato debba essere attuato sia in rispondenza a criteri epistemologici sia in rispondenza di criteri di “ auto riflessione”.

Ciò significa che il problema della natura di confine o limite dell’ Etica non  deve essere visto in termini antitetici, quanto piuttosto in termini di pura prospettiva.  Infatti, solo modificando l’angolo visuale  si può ben comprendere come dover attenersi a schemi metodologici  oggettivamente ed esclusivamente adeguati al cliente  rappresenti, di fatto unConfine che il counselor  di  certo non oltrepassa  poiché non può dimenticare che laratio del suo intervento è la salute emotiva del cliente.

Ma allora quando e come un Confine si trasforma in Limite? Le  nuove interpretazioni della questione etica, pongono in risalto l’ elemento soggettivo del problema. Al centro dell’ attenzione  viene, in fin dei conti, posto il livello di consapevolezza dell’ helper come fattore discriminante in tutti i momenti della strutturazione della relazione d’aiuto.

Perciò se, secondo una moderna interpretazione dell’anima etica di un rapporto di counseling, il counselor assume su si sé una responsabilità etica non solo nello scegliere l’ intervento più adeguato, ma anche nel modo in cui svolge concretamente la scelta effettuata e, soprattutto, nella valutazione personale che preesiste a tutto questo processo, osservata da questo punto di vista l’ Etica diventa il limite che l’ agevolatore deve  saper porre alla personale visione del mondo per preservare il processo di consapevole autonomia del cliente. 

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