STRUTTURAZIONE DEL TEMPO E BISOGNI. Vivere sotto l’egida e la frusta di Kronos

Inviato da Nuccio Salis

timerEsiste un rapporto fra modalità di strutturazione del tempo e bisogni? Se pensiamo a come l’estensione della vita terrena stessa coincida col tempo (kronos), possiamo capire come la ricerca del riempimento e dell’occupazione del tempo costituisca l’impegno costante di ciascun individuo. Riempire il tempo offre la percezione del riempire la vita, magari non importa tanto come o con che cosa, l’importante è sfuggire dall’orrore del vuoto suscitato dal non avere la minima idea su come far trascorrere le ore, i giorni, i mesi, gli anni, una vita intera. Ed ecco che le persone si inventano i ruoli, riempiono il tempo con impegni stressanti che implicano responsabilità che non vogliono assumersi, allacciano relazioni inappaganti o si aggregano a gruppi che li omologano alla moda del momento, lasciandoli spesso l’amaro in bocca. Le persone sono piene di agende, di appuntamenti, si muovono di fretta, staccano ed attaccano post-it, corrono al lavoro, fanno il brainstorming in azienda, poi il brunch al fast-food, poi a (ri)scaricare la nevrosi col pilates in palestra. Esistono veri e propri specialisti che impiegano il loro tempo correndo, sono i multitasker.

 

Tutta questa corsa all’impazzata sa davvero di fuga. E se non ci sono inseguitori, allora questi non possono che essere immaginari; proiezioni di paure interiori e doverizzazioni indottrinate dal mondo sociale, primario e secondario. La paura della noia e del vuoto, di scoprire le menzogne a cui ci si è attaccati come infanti impauriti per troppo lungo tempo, l’orrore di svelarsi a se stessi,tutto questo induce a correre, scappare, inseguire mode fatue, riempirsi di status symbol, reiterare insomma la propria percezione di infelicità.

Strutturare il tempo fa sentire di far parte del mondo. La spinta materialistica inculcata collettivamente per farci “sentire Ok” solo se consumatori, non permette di vivere il tempo nella sua relatività, o di trascenderlo, o di conciliarlo il più possibile dal momento che si conduce comunque un’esistenza in cui l’orologio è comunque un catenaccio ai polsi.

Eppure, la scelta più o meno consapevole o elettiva dell’organizzazione del tempo potrebbe, se analizzata in modo accurato, donarci la comprensione dei nostri autentici bisogni, offrirci un’idea sulla struttura interiore che ci caratterizza ed utilizzare di conseguenza tutta questa conoscenza per gestire al meglio il nostro rapporto col tempo. Ovvero, evitando di riempirlo a tutti i costi, puntando anche alternativamente alla qualità del suo riempimento, quindi chiamando in causa la propria creatività e, soprattutto, ripeto, la capacità di sentire ed accogliere cosa ci rimanda la nostra interiorità in termini di esigenze ed istanze psichiche ed affettive. Tutto questo può riallinearci con noi stessi, renderci egosintonici e fruitori attenti e consapevoli della nostra esistenza, reinvestendola in percorsi di senso, costruttivi ed appaganti.

Cercherò di associare a ciascuna tipologia di strutturazione del tempo, indicata nell’ambito della letteratura transazionale, un relativo campo o sistema di bisogni, nell’ipotesi di correlarlo successivamente ad un possibile impegno costruttivo che segua la direzione della ricerca del significato che rende soddisfacente la vita di ciascuno:

 

  • Isolamento: La cornice temporale relativa a tale modo del tempo, riguarda nello specifico coloro che si trovano in una condizione in cui mancano stimoli da parte di partner sociali. Tale situazione può verificarsi o per scelta esistenziale, come accade per esempio nella vita di certe personalità ascetiche o caratterizzati per natura da un indole ritratta, riservata e solitaria. Ci sono però anche quegli individui che vi si trovano per ragioni forzate, dovute a cause di abbandono o di prigionia, per esempio. Pur guardando alla varietà delle situazioni causanti l’isolamento, si può comunque scorgere una fortezza di bisogni comuni. Personalmente, ritengo che la situazione dell’isolamento, purchè non del tutto privo di stimoli vitali, possa favorire l’incontro con se stessi e rendere inclini alla meditazione, al dialogo interiore, a riabbracciare il silenzio come fosse un amico perduto e da cui ritrovarne tutti gli insegnamenti preziosi che ci aveva lasciato. Il bisogno di intimità con se stessi è fondamentale, per riscoprirsi, darsi anche permessi di contatto con se, sia col proprio corpo che con la propria psiche, che magari sono stati eccessivamente tacitati da comandi censori e proibitivi. Il silenzio e la meditazione, dunque, ricentrano su di se, possono rimetterci nella posizione dell’autenticità e dell’ “essere Ok”, ci permettono di rielaborare stimoli e ricordi in un modo decontaminato dal chiasso delle folle e della moltitudine confusa e frammentata della ridda nevrotica delle comuni convinzioni e convenzioni. Quanto più questa parola ci fa paura, tanto più sta segnalando il nostro bisogno di ricentratura interiore.

 

  • Rituale: L’uomo non può fare a meno della relazione. L’isolamento ci ha insegnato che è necessario spurgarsi e bonificarsi dalla sovra-saturazione degli stimoli esterni, e al tempo stesso ricercare input e legami di qualità. Tuttavia questo non sempre è possibile. Non con tutte le persone incontrate e non in tutti i contesti è possibile sviluppare relazioni che maturano nel tempo acquisendo le forme del legame interpersonale tipiche dell’amicizia e della reciproca complicità. Spesso, anche questo può essere dovuto ad una propria scelta di principi o esperienze, oppure ancora a vissuti o comandi interni che obbligano a non approfondire la natura dell’incontro. A questo proposito, si tende a conciliare il bisogno della relazione e quello di proteggersi rispetto a un certo coinvolgimento, attraverso la forma del rituale. Il rituale soddisfa il bisogno di appartenenza, ci suggella e ci sancisce come creature appartenenti al tessuto collettivo. Quella parte di noi che ricerca visibilità sociale e riconoscimento cerca e partecipa al vissuto strutturato dello spirito comunitario. Il rituale si effettua mediante sequenze ed algoritmi ripetitivi, prevedibili, come un mantra che risuona in modo assiduo e costante. Ciò attiene alla dimensione del controllo, quindi al bisogno di prevedibilità, di abitudine, di poter contare su una struttura solida, come per esempio la tradizione ed i costumi. Ecco che emerge il bisogno di protezione. Va da se che il rituale, così come l’isolamento, preservano a tal punto l’Io dal contatto con l’altrui da se, da erigere un confine troppo invalicabile e scevro di reciproco scambio esperienziale fra individui.

 

  • Passatempo: Ecco che l’uomo, non pago dell’esperienza condotta e programmata mediante isolamento e rituale, genera una forma del camminare sul tempo che prevede stavolta il contatto interpersonale diretto. È una novità rispetto alle prime due modalità. Quando ciascun soggetto scopre o crea un proprio sistema interno di convinzioni, si genera anche il bisogno della condivisione. È questa esigenza che motiva, secondo una mia modestissima interpretazione, l’investimento del tempo nella forma del passatempo. Pur spingendosi al di là del rituale, come gradiente dell’intensità del legame, si rimane tuttavia nell’al di qua protettivo del proprio Sé. Ovvero non ci si mette in discussione. Si cerca uno scambio congiunto che rafforzi il nostro castello di idee e di sentimenti, che viene mostrato nella superficie, guardandosi bene dal mostrare i propri punti critici, difetti o aspetti vulnerabili. Come il rituale, ritroviamo il bisogno di protezione, coniugato qui col bisogno della condivisione, del far fluire opinioni personali senza mettersi in avanscoperta. In pratica si comunica per non comunicare, o meglio, si comunica sui contenuti accantonando il potenziale aggregativo dei processi, evitando sia ipotesi di alleanza che di conflitto, esattamente nello stesso tempo. Ed ecco allora innescare facilmente passaggi vicendevoli di lamentele o luoghi comuni: “poveri noi, il Governo ci ha aumentato la benzina”, “le previsioni del tempo han messo pioggia durante l’esodo della vacanze pasquali”, e magari chi lo dice non ha più la macchina e nemmeno deve muoversi di casa. Il bisogno legato al passatempo sembra di facile reperibilità: sfogarsi, alleggerirsi dei propri pesi psichici, della propria indignazione, dei propri rigurgiti e piccole ferite per le cose che non vanno; e poi bisogna pur parlare di qualcosa, no? Provate a restare soli per lungo tempo con qualcuno che non conoscete, in un vagone treno, in una sala conferenze ecc. Prima o poi… scappa il Passatempo!

 

  • Attività: Un gradino che ci eleva ulteriormente verso la relazione interpersonale lo ritroviamo dal momento che nemmeno la forma del passatempo possiamo considerare sufficiente e soddisfacente per la domanda di contatto e di legame. Abbiamo cioè bisogno di condividere oltre che la struttura del tempo anche la struttura dello spazio con l’interlocutore. Le cose cominciano a diventare più complesse. Condividere il proprio tempo sulla base di un’idea che produca risultati visibili e partecipabili è caratteristica dell’animale politico uomo. “Cosa facciamo adesso che ci siamo conosciuti?”, si può semplicemente andare a prendere un caffè o ritrovarsi a parlare ed elaborare su un programma comune e negoziato. In questo senso, l’attività può essere vista come una sorta di culmine edificante dell’incontro fra soggetti umani, poiché questi decidono di proposito di offrire alle relazioni una connotazione a carattere costruttivo. Il bisogno in emersione può essere individuato nel desiderio di costruire senso e di essere artefici in modo influente su di se, sugli altri e di affermarsi mediante la completezza delle proprie inclinazioni, idee, capacità e valori. Dall’attività in poi, l’essere umano può realmente costruire un’esperienza di gruppo che, al contrario dell’aggregazione ritualistica, ne accetti il palpitare dinamico e il principio di aleatorietà. Dall’attività in poi, le strade sono schematicamente due soltanto: o si sviluppano rapporti interpersonali funzionali e profondi o, al contrario, se non si sono risolti i nodi critici della propria psichicità, che scaturiscono in comportamenti disturbanti e inconcludenti, per se e per gli altri, per diversi livelli di gravità, l’unica via rimasta è quella di rimanere intrappolati nei giochi di ruolo, replicando un’immagine di se distruttiva, svalutata e/o svalutante.

 

  • Giochi: per la complessità degli schemi descrittivi e delle strutture intrapsichiche e relazionali che

sono coinvolte in tali processi, la tematica del gioco costituisce per la maggiore l’epicentro di tutta l’analisi e la letteratura necessari a rendere conto soprattutto degli aspetti a cui sono legate le motivazioni per le quali le persone soffrono ed infieriscono procurando danno psicologico a se stessi e/o agli altri. Con tale espressione, infatti, non si intende affatto qualcosa di divertente, come farsi una partita di scacchi o di calcetto, quanto invece assumere senza saperlo un ruolo sociale prodotto da decisioni remote, mai messe in discussione, che si sono cristallizzate fino a farci indossare una maschera ed a dirigere la nostra esistenza secondo inconsapevoli scelte di vita già scritte, perché se anche costellate da eventuali insuccessi o fallimenti, conservano l’idea di noi e/o degli altri come misera e squalificante. Il bisogno dunque preponderante della strutturazione temporale del gioco è sicuramente la conservazione dell’abitudine, la stagnazione dell’idea di se e del mondo dentro un orizzonte esistenziale che pur mortificante garantisce una certa prevedibilità della successione degli eventi. Pensarsi perdenti, poi scoprire di avere capacità o possibilità di successo, oppure lavorare per la propria infelicità, obbedendo a un comando interiore che ci proibisce di accedere alla gioia, poi scoprire che si ha il diritto (o forse il dovere) di essere felici, può essere traumatico e destabilizzante. L’uomo preferisce rimanere prigioniero dentro una gabbia dorata, se non comprende quello che c’è fuori, se l’imprevedibile lo impegna ad essere creativo, costruttivo, risolutivo o responsabile: allora è meglio prender le botte che cambiare rotta e destinazione. L’uomo preferisce seppellire i morti insieme ai morti se non comprende o ha paura della verità.

 

  • Intimità: Esiste per fortuna un’altra direzione e un altro traguardo dall’attività in poi. Se infatti si sta

in una posizione accettante di se e degli altri, motivata dalla fiducia, dall’apertura, dallo spirito

collaborativo, dalla propensione all’accoglienza, al rispetto, alla mediazione, allora ecco che la

trappola e le insidie nascoste nei giochi possono essere by-passate per accedere direttamente,

secondo precise scelte e volontà, al livello relazionale dell’intimità. Si tratta cioè di far crescere

strutture sane di rapporti basate su un reciproco sentimento di complicità, condivisione profonda,

gratuità dell’impegno emozionale e del darsi all’altro. Non vi sono troppe barriere o inibizioni, nell’

intimità è possibile ed a volte appagante anche parlare e mostrare i propri punti deboli, senza

nascondersi, senza dover temere ritorsioni, strumentalizzazioni, perché il clima è di totale alleanza,

c’è fiducia, rispetto, collaborazione, propensione al reciproco aiuto e sostegno, empatia e calore. Ed

ecco che diventa possibile convivere, essere amici, fare l’amore, scherzare, gioire, fare dei conflitti

occasioni di crescita, rafforzare la propria genuinità e il coraggio di essere se stessi. L’intimità fa

emergere bisogni assolutamente vitali dell’essere umano: il bisogno di amare e di essere amato.

 

Tali forme della strutturazione del tempo possono non assumere prescrizioni o direzioni obbligate. Esse rappresentano le più comuni e note modalità attraverso cui gli esseri umani programmano ed organizzano il loro tempo. Compito di ogni professionista dell’aiuto è quello di far emergere bisogni da ciascuna di esse, poiché ciascuna di esse ha funzioni elettivamente congrue per ciascuna circostanza o contesto. Fermo restando che sarebbe forse più produttivo accompagnare ciascun individuo ad accedere possibilmente alla forma più elevata e nobile della relazione, cioè quella dell’intimità, che include l’elemento della veracità, sia nel rapporto con gli altri e soprattutto con se stessi, poiché ne ricaviamo la possibilità di scoprire la nostra essenza speciale, individua e macrocosmica. È nell’intimità che riscopriamo l’Uno in noi stessi e negli altri, che ci vivacizziamo riprogrammandoci la nostra vita con la forza responsabile della scelta.

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