IDENTITA’ IN EVOLUZIONE. Ridefinire se stessi dopo il superamento dei problemi

Inviato da Nuccio Salis

chi sono io

Il superamento delle proprie difficoltà, specie se le stesse hanno richiesto un notevole dispendio di risorse psicologiche, sollecita un processo di riadattamento conseguente, che consiste nella ricerca di un nuovo equilibrio personale. L’investimento in termini di energie psichiche ed emozionali, che vengono coinvolte durante e dopo il fronteggiamento dei propri importanti punti problematici, impegnano sul versante del riassestamento di sé, col fine di ritrovarsi ed accettarsi sulla base di eventuali inedite coordinate identitarie.

D’altra parte, come ci ricorda il filosofo Gibran: “l’uomo che ritorna da un viaggio non è lo stesso che è partito”.

L’incontro con se stessi, come individui cambiati dalle contingenze e dagli eventi della propria vita, è un tema che merita un’attenzione maggiormente costante e sostenuta, poiché non si può dare per certo che una volta risolti i propri disagi, la persona interessata sia stata scevra da trasformazioni significative.

 

Affrontare volontariamente un percorso problemico, corrisponde di fatto ad assecondare l’eventuale portata del cambiamento che ne può comportare, in termini personali ed esistenziali. È proprio questa prospettiva, molto spesso, ad accentuare ulteriormente quelle resistenze interne già sedimentate in una struttura del Sé che non ammette troppe fluttuazioni e dinamismi.

Come è noto, il Sé è per sua natura mutevole e cangiante, perché sensibile e reattivo alle sollecitazioni ambientali, e per il suo equilibrio ha bisogno di mediare fra istanza conservativa e spinta all’evoluzione. I disagi, infatti, nascono spesso dal confondere la necessaria stabilità con la rigidità e nell’equivocare il dinamismo vitale e la ricchezza interiore con la frammentazione e con un caos privo di direzione o principi ordinatori.

Ciò di cui si sente bisogno, anche o forse soprattutto durante un percorso di problem-solving su questioni decisamente salienti della propria vita, è di avvertire un senso di continuità e congruenza che ci faccia percepire come soggetti integrati, certi di poter contare su punti fermi e conclamati.

Spesso, i percorsi di cambiamento destabilizzano questa esigenza, immettendo una irruente sensazione di perdita e di lacerazione interna.

Ciò che risulta più difficile trattare, infatti, in sede di relazione di aiuto e accompagnamento alla ricerca autonoma delle soluzioni, è la resistenza mostrata alla necessità di un cambiamento a volte di natura totale e totalizzante, la cui pervasività trova sovente il soggetto in carico poco pronto o non sufficientemente propenso o motivato ad intraprendere un cammino che prevede l’inevitabile ristrutturazione di sé.

La richiesta, esplicita o implicita, comunque di natura paradossale, è spesso quella di voler cambiare tutto senza cambiare niente!

Ovvero, il tentativo insidioso, e che deve essere stanato, consiste nel cercare di delegare a un “esperto”, ma anche al caso, al fato, alla fortuna, tutto ciò che può o deve essere cambiato, ma attraverso il principio del minimo sforzo, assumendo cioè una quantità irrisoria o nulla di responsabilità personale: ovvero, in pratica, rinunciando di fatto a ogni autodeterminazione assertiva di sé.

Il cambiamento, vissuto quasi sempre come un rischio da includere più all’interno della categoria “costi”, piuttosto che “benefici”, esaspera il timore di mobilitarsi verso un nuovo orizzonte esistenziale, e rende più che difficile ammettere il legame fra cambiamento fattoriale esterno e metamorfosi interiore.

Nella visione dualistica occidentale, questo punto di vista è diffusissimo e più che comune, visto che difficilmente riusciamo a concepire il rapporto di continuità fra mondo interiore e realtà ambientale, scindendo ciò che invece è già giunto per atto Creativo.

Quando facciamo riferimento a diventare persone, però, non parliamo delle maschere e delle sovrastrutture che mistificano la nostra autenticità animica. La riflessione è indirizzata piuttosto all’impegno concernente proprio nella progressiva demolizione dei vari strati che ricoprono la nostra reale essenza.

Proprio per questa ragione, un aspetto problemico a carattere rilevante può essere colto come occasione preziosa per riprogrammare se stessi e non solo la propria vita. Una vita nuova implica una persona nuova, altrimenti è soltanto la ripetizione o la brutta copia di ciò che già conosciamo, col rischio di esprimerci come replicanti caricaturali che ignorano il proprio potenziale creativo.

Un individuo che sceglie di farsi avviluppare dal processo di caring di una relazione d’aiuto, dovrà essere dunque monitorato anche in quella delicata fase in cui incontrerà se stesso, rinato, sotto diverse spoglie.

Restituire a noi stessi un nuovo abito psicologico, e ri-conoscerci, recuperare un rapporto che ha attraversato un guado burrascoso fatto di ostacoli e sofferenze, rappresenta una sfida fortificante, verso la quale potremmo anche sentire l’esigenza di non essere lasciati soli.

È un momento di grande intensità vitale, poiché si domanda a se stessi “Chi sono, adesso?” Ciò fa emergere inevitabilmente i confronti col passato, con le cose perdute, ma anche con le cose guadagnate, in un bilancio di perdite e ricavi che è il processo naturale della ridefinizione di sé, in vista di riconquistare una nuova identità con la quale re-imparare a convivere, apprezzare e valorizzare.

Manifestare a se stessi il punto di incontro fra morire e nascere, è un passaggio cruciale per la ricostruzione della propria identità.

Ritrovarsi dentro una cornice di sé che ancora non si conosce del tutto, espone allo svantaggio della regressione, e quindi del comodo ritorno agli habitus  mentali e comportamentali obsoleti e inadeguati. E’ dunque un momento in cui è necessario consolidare il senso del cambiamento ricercato, e rilanciare un senso di autoefficacia che corre il rischio di essere perduto, vanificando il travaglio interiore occorso nel cambiamento.

Avere una percezione di se come soggetti in grado di pianificare e poter contare su risorse e comportamenti efficaci, è la condizione essenziale per affermare il valore del proprio cambiamento. Congiunta, altresì, alla percezione realistica dei propri limiti e dei punti di maggiore vulnerabilità.

Dopodiché risulta altrettanto fondamentale tradurre nella pratica i nuovi obiettivi e propositi che hanno motivato il faticoso cammino del cambiamento. Senza una ricaduta in termini concreti, circa i motivi per cui ci si è assunti l’impegno di condurre se stessi, nel cambiamento, non potrà essere riconfermato il senso per cui si è realizzata una precisa svolta.

In conclusione, il superamento delle proprie criticità problematiche, non si limita al controllo sugli elementi contestuali della realtà caratterizzata dal problema, ma può essere considerato un percorso maturo ed effettivo, a vero carattere evolutivo, soltanto se procede di pari passo con la riprogrammazione di sé, per estendere le proprie aree di autonomia e di espansione creativa. Non sono questi, fra l’altro, i compiti di ciascun essere umano proiettato verso l’evoluzione?

Potrebbero interessarti ...