Counseling di coppia e Mediazione familiare (1)


counseling_di_coppiaNel lavoro di Mediazione Familiare grande importanza viene data allo strumento che chiameremo il ciclo di vita della coppia che ci consente di andare a ritroso, osservare i fatti della vita della coppia per stanare la possibile origine dei conflitto. Tale strumento discende direttamente dal modello sistemico relazionale e conduce alla comprensione del presente mediante l’analisi della storia trascorsa, una sorta di indagine a ritroso alla ricerca dei fatti occorsi e dei micro o macro movimenti e aggiustamenti che il sistema, e la coppia come parte integrante dello stesso, ha dovuto compiere per ristabilire una sorta di equilibrio stabile, per rispettare il principio dell’omeostasi che tende a ripristinarsi a seguito di ogni turbativa occorsa, esterna o interna. Perché il matrimonio, l’essere coppia, lungi dal rappresentare una condizione statica e stabile è, viceversa, un percorso, un processo. E gli adeguamenti, le crisi intese come cambiamenti, sono spesso stimolanti, vivificanti, ma molto più spesso dolorosi, faticosi, impongono rinunce, cambiamenti radicali, perdita della propria identità così come la si era percepita fino ad allora, coinvolgono terze figure delle quali occorre tenere conto o farsi carico, provocano disillusioni, crollo delle speranze e delle aspettative.

E la coppia stenta a ritrovare il proprio nuovo necessario equilibrio e confligge, apertamente o in maniera sotterranea, passiva, ciascun componente con le proprie modalità, sui fronti che sente appartenergli e perseguendo gli obiettivi e le credenze che ciascuno mette in gioco nella relazione a due. Statisticamente si possono osservare e descrivere una serie di tappe di passaggio nella formazione e nell’evoluzione della vita di una coppia, corrispondenti a diversi assetti della relazione in quanto ad intimità, motivazione, aspettative, grado di vicinanza e condivisione, tappe alle quali è possibile collegare un corrispondente bisogno di ristrutturazione e di flessibilità con uno stress più o meno intenso percepito e conseguente alla fatica di cambiare.

a) La fase del “Giovane adulto”: è la fase che richiede all’individuo di costruire per sé una nuova identità slegata dalla relazione genitoriale ed una nuova modalità relazionale paritetica, da adulto ad adulto. Che stress, che fatica e che senso di libertà e di potenza.... E anche quanto bisogno di mamma e papà, ancora, nonostante tutto, e quanto bisogno che il mondo fuori, la società, gli riconosca il nuovo status di adulto. Il giovane adulto percepisce in maniera forte che un partner che lo corrisponda fino negli aspetti più intimi della sua personalità è proprio la risposta al bisogno di conferma che va cercando. Il processo di allontanamento dalla famiglia di origine non è sempre un processo lineare, è più spesso un’andata e ritorno, con diverse regressioni e fughe in avanti. Se i genitori non supportano validamente tale difficile fase della vita del giovane, se ostacolano e recriminano o, al contrario, prendono le distanze e si disinteressano, allora è possibile che il processo di distacco dalla famiglia d’origine venga affrettato, venga vissuto investendolo di una drammaticità e di una urgenza spropositati, e la ricerca del partner assuma una connotazione di sostituzione della coppia genitoriale e della sicurezza che essa rappresentava. Il problema qui è come strutturare questa nuova relazione rispetto a quella alla quale il giovane era abituato, come prendere le distanze, staccarsi dalle certezze e dalle sicurezze del conosciuto che il giovane aveva costruito per tutta la sua vita in famiglia, come far rendere questo investimento sproporzionato nel quale si è tuffato di testa. Il compito di un counselor che si trovasse a gestire questo tipo di tematica è quello di addestrare la coppia a comprendere che la vita è un fluire continuo e che occorre trovare le proprie certezze nella dinamica della relazione e non nella sua staticità.

b) La fase del “Matrimonio”: una tipologia importante di problemi è data dalla necessità di ridefinire il rapporto con le famiglie di origine, in special modo con le coppie genitoriali di appartenenza. Spesso per opera di sensi di colpa mai risolti o per paure non espresse, risulta complicato mettere i paletti, stabilire i confini necessari e correttamente posizionati verso i propri genitori. Con la conseguenza che questi si sentono legittimati ad intromissioni continue nella vita della coppia riguardo a questioni che non dovrebbero minimamente riguardarli, generando l’esplodere manifesto o sotterraneo di una lotta tra loro ed il partner del figlio o della figlia per l’affermazione di un possesso vissuto come irrinunciabile da un lato, e dell’indipendenza della coppia dall’altro, Inoltre è considerazione statisticamente diffusa che nella coppia di nuova formazione il maschio sia quello che maggiormente tende ad allontanarsi dalla propria famiglia di origine, e tenda altresì a delegare e ad affidare alla compagna l’arduo compito di mantenere i contatti diplomaticamente corretti con entrambe le famiglie, la sua e quella di appartenenza della femmina. Ma tale meccanismo, molto facilmente, genera l’ostilità ben risaputa e largamente banalizzata, derivante dal conflitto “suocera/nuora”. Altra questione che ci riporta al dualismo staticità/evoluzione è quella che fa capo al concetto di matrimonio vissuto come traguardo, come punto d’arrivo di un percorso più o meno impegnativo. La vita della coppia durante la relazione prematrimoniale, e spesso anche durante la convivenza, vede l’impegno dei partner a fare sì che la cosa funzioni, mette in gioco tensione emotiva, sessuale, la volontà di piacere e di far piacere all’altro. Ma se e quando la formalizzazione del rapporto è vissuta come punto d’arrivo, allora è possibile che l’impegno cali drammaticamente, che uno o entrambi i partner sentano che non è più necessario vivere il fluire della relazione e stare in contatto costante con l’evoluzione della vita dei singoli componenti e della coppia stessa. Non occorre che io mi mantenga bello/a

ai suoi occhi, l’ho accalappiato/a e vivremo per sempre felici e contenti finché morte non ci separi. Ma quando mai? Il matrimonio è un punto di partenza e la coppia può non riuscire a reggere la fatica della ristrutturazione, per esempio quella puramente pratica ed apparentemente banale della suddivisione dei compiti, può non riuscire a far fronte al “per sempre” del legame che, come il brillante di fidanzamento, continuerà ad esistere qualsiasi cosa i partner debbano fare. Si è creato un mostro, un sistema stabile entro il quale non esiste più nulla di volontario tranne la famigerata decisione di sposarsi. Non si può scegliere di non essere più genitori, non è possibile decidere in proprio l’entrata e l’uscita dal sistema, specie se questo è ricco di componenti che rendono complicato allontanarsi.

c) La fase della “Nascita de figlio”: la procreazione determina un profondo mutamento della relazione a due, implica modifiche a livello sistemico che non vengono tenute in considerazione dentro al desiderio totalizzante di diventare genitori. La coppia non dispone più di così tanto tempo per sé, l’orientamento esclusivo l’uno verso l’altro non è più proponibile. Specie nell’uomo e a volte anche nella donna subentra una forma di gelosia verso i figli, vissuti come colpevoli di sottrarre l’attenzione del partner. Per il padre il figlio è vissuto come sottosistema con la madre e tale relazione particolare e intimissima provoca fastidio a partire dall’annuncio della gravidanza, alla fase escludente dell’allattamento. In un certo senso la modifica dell’assetto della coppia dopo la nascita del primo figlio comporterà il passaggio fondamentale dall’essere figli all’essere genitori. Dà anche la percezione di un cemento che legherà per sempre la coppia, nonostante tutto, e in tal senso può rafforzare la sensazione di dipendenza reciproca relegando sullo sfondo i timori di separazione che tendono però a ripresentarsi quando i figli non influiscono più sulla coesione dei genitori. In questa fase molto spesso non si ripropone la divisione dei compiti tra i partner, è la madre che più facilmente rinuncia alla propria attività lavorativa o riduce l’impegno mentre il padre, al contrario, lo rafforza aumentando il numero dì cose alle quali partecipa da solo. Le regole che la coppia si era data all’inizio della relazione, adesso saltano: sarebbe fondamentale invece dichiarare il cambiamento di contratto, ridefinire chi fa cosa e come e l’impegno reciproco, la ridefinizione del tempo, degli impegni, delle attenzioni, proprio per non “saltare”.

d) La fase dell’“Adolescenza dei figli”: poi i figli crescono ed i genitori, che ci hanno investito così tanto tempo ed energie sentono di perderli a favore di relazioni altre nelle quali i figli naturalmente investono. Molte coppie cercano a tutti i costi di salvare il salvabile e tendono così a trattare i figli alla stregua di bambini dipendenti: hanno così bisogno di riempire il loro vuoto, l’assenza di un progetto condiviso, che approfittano degli adolescenti e delle loro tematiche per sottrarsi alla crisi, il che, naturalmente, si rivela estremamente dannoso per i figli stessi. Più i genitori sono frustranti ed oppressivi e più lo svincolo diventa difficile, tardivo oppure prematuro. Il figlio va e viene continuamente e anche quando si ferma e cerca coccole e intimità e le certezze della sua infanzia, ancora diventa fonte di insofferenza nei genitori e ancora crea problemi alla coppia, di gelosia, di

esclusione, di risentimento. Anche la sessualità dell’adolescente, sempre più esplicita e dichiarata, si scontra con quella sempre più complicata o inesistente della coppia e con le tematiche di attrazione inconfessata ed inconfessabile tra il figlio ed il genitore del sesso opposto. Uno scopo fondamentale che il counseling di coppia deve perseguire in questa fase è quello di riorientare i genitori affinché non scarichino sui figli i loro problemi matrimoniali.

e) La fase della “Sindrome del nido vuoto”: il sistema sopravvive ma il figlio non abita più nella stessa casa. Mentre nelle fasi precedenti entrambi i partner erano concentrati e totalmente assorbiti dalla costruzione comune, tanto da desiderare maggiore tranquillità ed intimità, maggiore tempo libero, ora che ciò è realmente possibile si diffonde un senso di grande vuoto ed inutilità. E’ l’ora dei bilanci: COME pensare ancora a se stessi come coppia? Come gestire il tempo? Come gestire la sessualità? La donna ora vorrebbe un’attività sessuale più intensa, l’uomo non ci pensa nemmeno e scappa... Ci si inventa di tutto, lavoro, hobby, volontariato, amanti pur di non stare insieme. E subentrano la rabbia, l’amarezza, gli sfoghi e l’insoddisfazione di non essere capaci di ristrutturare in maniera soddisfacente la relazione. Diventa fondamentale, per il counselor al quale la coppia dovesse rivolgersi, addestrare i partner a riempire il nido vuoto con qualcosa di diverso dalle famiglie dei propri figli, insegnando alla coppia a passare evolutivamente da una fase all’altra.

f) La fase della “Pensione”: ovvero la convivenza con una persona che si ha la sensazione di non conoscere nemmeno, con cui non avere nulla da fare se non camminare insieme per mano. Per molti pensionamento coincide con vecchiaia, sempre meno risorse e sempre meno potenza, salute precaria, a volte vedovanza, i figli indifferenti e impegnati in una serie di altri passaggi tutti loro: come affrontare tutto ciò? L’unità della coppia viene talvolta ristabilita, i partner si aggrappano con più forza l’uno all’altro, ripercorrono con la memoria la vita trascorsa insieme e si sentono accomunati nel destino. Tutto questo se negli anni precedenti c’è stata la costruzione della relazione. Ma se la forte dipendenza reciproca può essere da un lato appagante, dall’altro può creare nuovi problemi, può portare al conflitto condotto con modalità evitanti oppure litigiose, rodendosi il fegato per le comuni delusioni, facendosi l’un l’altro cattiverie piccole o grandi per affermarsi nei confronti del partner. Oppure può portare alla separazione.

Durante i passaggi sopra descritti, poi, possono subentrare tutti gli altri fatti non normativi o anche eccezionali della vita, fatti che vanno a complicare ulteriormente le dinamiche della coppia. Talvolta il counseling di coppia si rivela efficace, talvolta no: quando i partners sembrano non riuscire a superare il momento problematico, allora può darsi che esista qualche altra ragione sottostante e preesistente alla crisi portata in terapia. Come mediatori osserviamo il conflitto in atto, individuiamo il fattore stressante, e tuttavia sentiamo di dover cercare ancora una spiegazione per l’impossibilità della coppia di funzionare. Quando i partner, a causa di disturbi funzionali preesistenti, spesso risalenti all’infanzia, non riescono a superare tali conflitti, i problemi possono portare a crisi coniugali profonde alle quali la coppia non è assolutamente in grado di far fronte. E qui dobbiamo entrare nel contesto della patologia. Facciamo un esempio, quello tipico della coppia sadomasochista inconsapevole di esserlo. Come è nata tale modalità relazionale? Sotto sotto, a livello inconscio, il partner con personalità sadica andava cercando la sua vittima per poter sopravvivere, e viceversa il partner con personalità masochistica andava in cerca del sadico che desse senso alla sua vita. E come hanno fatto a riconoscersi, a dichiarare tutto questo? Attraverso i microcomportamenti, modalità e atteggiamenti che parlano chiaramente dell’individuo e rivelano il suo modo di essere, che cosa vuole, cosa può dare soddisfazione alla sua parte più patologica. Ed in tutto questo non c’è necessariamente qualcosa di brutto, di perverso o sbagliato, perché ciascuno di noi porta con sé un bagaglio di bisogni ed il suo proprio vocabolario, e parole ed i modi per dire e per leggere nell’altro una possibile risposta ai suoi bisogni. E la risposta ci sta bene, ci soddisfa quando l’altro manifesta, a sua volta, un bisogno complementare al nostro e quindi accetta pienamente l’espressione del nostro perché ne ha uno suo proprio che va ad agganciarlo in maniera collusiva. Parlando della relazione di counseling, è chiaro che il counselor non possiede le competenze per incidere sulla patologia e per guarirla. Deve tuttavia essere in grado di riconoscerla per poterla correttamente inviare, e tuttavia può lavorare sul problema che magari con la patologia coesiste e dalla quale però non viene amplificato e influenzato. Idem per quanto concerne le coppie patologiche: queste possono essere trattate in counseling con la necessaria consapevolezza che la patologia esiste e che occorrono sostegni esterni contemporanei ad integrazione. Il counselor inoltre ha necessità di riconoscerla per poterne tenere conto, per sapere come e di cosa parlare, quando tacere e per sapere usare le parole giuste.

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