L'accompagnarci dialogico nel counseling centrato sulla persona


ImageIl counseling inteso latamente nella sua funzione di continua ricerca sul senso della vita, dell'esistenza, del nostro essere nel mondo presuppone apertura intellettuale, accettazione della vita in ogni sua dimensione, capacità di vivere pienamente la dimensione transpersonale confluente nella più ampia visione olistica dell'essere umano. Tutto ciò però deve tradursi in una disposizione del counselor a lasciarsi sco-i-nvolgere nella relazione con l'altro. Tale accezione del counseling lo caratterizza come un continuo interpellarsi sull’essere umano, sul posto e sul ruolo dell’uomo nella moderna società, sottolineandone di quest’uomo i suoi difficili rapporti con la società, con la natura, con i suoi simili, perfino con Dio stesso; insomma ci consegna una professione d’aiuto che non possiede tra i suoi strumenti terapeutici nessuna conoscenza aprioristica e nessun “perché” apoditticamente già dato nell’isolamento e nella solitudine.


L’unico spazio in cui tutto ciò può essere espresso e trova, coerentemente, ragione d’esprimersi viene identificato nello spazio dialogico della relazione di cura.


Il counselor centrato sulla persona non può vivere la relazione di cura quale luogo ove le sue teorie possano trovare risposte e verifiche, ma come quel luogo in cui , chiamato dalla richiesta d’aiuto dell’altro, il counselor prende su di sé una responsabilità profonda, la responsabilità di accompagnare quest’uomo qui, alla ricerca delle risposte che cerca nel proprio mondo reale, dentro la pienezza della sua esistenza, nel qui e ora del suo momento storico, soffermandosi insieme l’uno con l’altro, a sondare non solo le eredità che ciascuno si trascina con sé determinate dalla cultura, dai vincoli famigliari, dai costrutti personali ovvero ereditati dalle passate generazioni ma anche, e molto di più, l’ampia gamma di possibilità di realtà non ancora esistita e che non esisterà mai senza o dopo di lui. È proprio infatti dell’insegnamento rogersiano sottolineare quanto ogni individuo sia unico e irripetibile (J.D. Bozart, 2001), di fatto mai duplicabile, e pienamente inserito in un processo esistenziale che lo richiama costantemente alla responsabilità personale della propria esistenza, alle scelte da compiere continuamente per crescere, progredire, in una parola vivere.

Nella relazione di counseling è certamente decisiva questa consapevolezza dell’esserci con il cliente, vibrare insieme a lui nella relazione, sintonizzarsi con le sue emozioni momento per momento, fluttuare insieme ( E. Giusti, A. Iannazzo, 1998)
Suggeriamo allora di accogliere l’intera esperienza di counseling come una continua perturbazione strategicamente orientata capace di provocare nel soggetto/nei soggetti coinvolto/i un processo generativo di autorinnovamento (V.F. Guidano, 1988).

La professionalità del counselor può definirsi, così, anche dalla sua capacità/competenza/flessibilità di lasciarsi sco-i-nvolgere dal dubbio, dall’ipotesi dell’impossibilità di prevedere l’esito futuro del proprio intervento e dall’affrontare l’ansia che accompagna l’incognita racchiusa in ogni relazione aperta al possibile: l’incontro tra mondi differenti, tra diverse modalità di percepire il mondo, può innescare difficoltà e confusione un certo livello di stress,. Ma vi è anche la consapevolezza che situazione ideale per implementare una compatibilità ottimale in una relazione che richiede un impegno reciproco verso un obiettivo si verifica quando la distanza/differenza non è tale da impedire l’empatia (o le connotazioni affettivo-emotive del legame), o quando non è tanto ridotta da creare collusione (cfr. E. Giusti, C. Montanari E. Spalletta, 2000). Occorre peraltro ricordare che le persone che condividono problemi o retroterra affini riescono a instaurare più facilmente un rapporto, un vissuto empatico,[…] ma sono anche esposte a un rischio più alto di impasse, in seguito, quando si rende necessario un cambiamento nelle strutture cognitivo-affettivo-comportamentali di base (E. Giusti et al.,2000). Accettare, come prospettiva di lavoro, l’idea che l’esito futuro non sia mai del tutto garantito è parte della competenza professionale del counselor così come di ogni altra professione d’aiuto (si pensi all’insegnante o all’educatore) ma questo significa anche riconoscere l’incisività del proprio intervento. Contro la pretesa di raggiungere completamente l’altro, di catalogarlo, dominarlo, possederlo si orienta anche la ricerca pedagogica di M. Contini (1984) configurando il significato del porsi in ricerca di fronte all’interlocutore (singolo o gruppo che sia), nel tentativo di decifrarne l’opacità e di conquistarne, insieme, frammenti di trasparenza relazionale ricchi di significato. (M. Contini, 1992).

Delineata così la direttrice, la metafora che deve travestire/modellare il counselor viene a delinearsi – superate via via quelle del dottore sapiente, dell’enciclopedico, dell’amico, del genitore comprensivo - attorno all'adulto che rispecchia e valorizza (cfr. A. Rezzara, 1995).

Sarà necessario però che i counselor assumano consapevolezza dell’importanza e della complessità della loro professione, dell’arduo ruolo che sono chiamati a svolgere: quello diaccompagnare l’altro tra le difficoltà che una società complessa pone continuamente davanti a ciascun individuo - adulto o ragazzo che sia - assumendo quale compito precipuo quello diriconoscere la centralità del soggetto e comprendere, sottolineandoli per sé e per/con il compagno di viaggio, i processi squisitamente personali e originali in base a cui egli partecipa alla costruzione di se stesso. (cfr. P. Bertolini, L. Caronia, 1993)

Accompagnare significa, dal nostro punto di vista, camminare in compagnia come ospite discreto e non intrusivo, trasformando una prossimità spaziale, temporale e anche affettiva in un rapporto di comunicazione tendente alla conoscenza autentica dell’altro (P. Bertolini, L. Caronia, ibidem) e senza mai dimenticare che la meta del viaggio non è già data ma solo abbozzata entro una generalissima definizione di cambiamento o crescita personale, e che questa rimaneuna direzione, un orizzonte in sé inadeguabile ma capace di indirizzare l’intervento . La fisicità del viaggio/relazione è quella dell’incontro, del cammino insieme a un altro, dello stare insieme attivamente con il nostro corpo che comunica, realizza un itinerario, supera tappe, sperimenta progetti esistenziali. E’ qui che rinveniamo la potenza del dialogo, cioè di un io e un tu che reciprocamente costituiscono un noi (M. Buber, 1958), quel Noi che è il risultato dell’interagire con l’Altro, colui che con il suo volto – perenne epifania, continua domanda e risposta – mi vede, mi interpella, (cfr. E. Lévinas, 1998) mi provoca, mi resiste, mi giudica, mi aiuta, mi ama.

La consapevolezza di questa alta maturità professionale rende il counseling differente da qualsiasi altra relazione amichevole, cameratesca, sessuale o famigliare in cui prevalgono, specificandole, qui la spontaneità, lì la mutualità, qui l’impegno, lì la durevolezza, ora la casualità piuttosto che il legame duraturo.

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