Counseling, progressivo avvicinamento al sé 2/2
Se è agevole delineare alcune delle peculiarità del counseling e il ruolo del counselor (cfr. Counseling, progressivo avvicinamento al sé ½), è tuttavia necessario prendere atto e consapevolezza che nella realtà tanti sono i dubbi e le diffidenze, le sottili imprecisioni che circolano sui presupposti teorici e sulle modalità del counseling persino tra chi poi decide di chiedere aiuto al counselor. Sono situazioni a cui, come counselor, sappiamo di essere chiamati a dare risposta autentica e chiara, sono dubbi, non di rado pre-giudizi, difficili da contrastare e che, dobbiamo ammettere, con tutta la nostra buona volontà non riusciamo sempre a sciogliere.
Diffusa è un’obiezione, rispettosamente formulata a mo’ di domanda, a proposito della capacità di ascolto del counselor: Il counselor mi “ascolta” accogliendomi? Dunque mi ascolta come una persona amica, e allora non potrei essere ascoltato/a, nel momento di difficoltà, in famiglia, sul lavoro e nelle relazioni affettive o per superare eventi stressanti, dalla la mia più cara amica, da una persona che mi è familiare, o dal partner? Tanti sono gli amici e persino parenti che possono aiutarmi, perché mi vogliono un gran bene e sono sinceri con me. Che bisogno ho del counselor?
La logicità dell’obiezione è solo apparente: spesso chi ci è più vicino non ha tempo di ascoltarci e il suo aiuto, pur dato con sincerità e nutrito da suggestive intuizioni, può non essere sufficiente per individuare soluzioni, o la via d’uscita dal problema, magari proprio perché emotivamente coinvolto.
L’ascolto fin dall’antichità è stato definito un’arte, non è operazione facile e necessariamente è correlato, per poter essere tale, alla sospensione di giudizio,
all’accoglienza incondizionata dell’altro, ad un atteggiamento di empatia che consente a chi ascolta di percepire il problema della persona in aiuto mantenendo chiara percezione della propria diversità rispetto a lei, evitando ogni forma di coinvolgimento emotivo. Potremmo affermare che il counselor è lo specialista dell’ascolto e che ha raggiunto tale competenza dopo un preciso percorso teorico ed esperienziale.
Le doti naturali, l’essere disponibile e accogliente, le modalità individuali esplicitate nella relazione interpersonale certamente sono parte importante nella professione di counselor e tuttavia mai possono essere efficaci se disgiunte dalle suddette competenze. Carl Rogers, a cui dobbiamo l’implementazione del counseling nella impostazione umanistica amava ripetere che il counseling non è soltanto una professione è piuttosto un modo di essere.
Il counselor vivendo la situazione della persona in disagio e tuttavia vedendolo dall’esterno (questo è appunto l’atteggiamento empatico) può aiutare la persona a far chiarezza, a centrarsi su di sé, a liberare le proprie potenzialità, per avvicinarsi alla propria condizione di Bene-Essere.
Il counselor può aiutare a dissipare la nebbia, a riordinare i pezzi sparsi del puzzle per trovare la risposta ai propri dubbi, o la soluzione efficace, facendo leva sulle capacità e le risorse che la persona in aiuto così scopre o ritrova; compito del counselor è di aiutare la persona a scoprire che la risposta alla domanda ‘cosa posso fare?’ è dentro di sé.
Chiedere aiuto al counselor non è, come talvolta si pensa che sia, un segno di debolezza, rispetto a chi si ostina a credere nella difficoltà di poter riuscire a trovare una soluzione da solo. Chiedere aiuto è decisione coraggiosa, è iniziare a prendersi cura di sé, è dimostrare per primi a se stessi che si è ancora in grado di mettersi in gioco e accettare il cambiamento verso il meglio, è prendere consapevolezza del proprio stato presente.
L’aiuto del counselor sarà determinante per ri-conoscere e gestire i pensieri negativi, i sensi di colpa e le tossine che minano la propria autostima e il proprio Bene-Essere.
Counseling è relazione a tutto campo fondata sul riconoscimento reciproco e sulla percezione della totalità della persona dell’altro, del mondo dell’altro per cui ogni incontro è assolutamente individuale e personalizzato.
Dicevamo che Ascoltare è un’arte e per diventarne capaci bisogna esercitarsi a cogliere non solo le semplici parole, bensì anche il mondo emotivo dell’altro, il suo punto di vista. Carl Rogers, fondatore della relazione d’aiuto centrata sulla persona, ha scritto:
La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione. La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione spesso saltiamo alle ‘nostre’ conclusioni. [3]
Compito del counselor è quello di creare le condizioni, appunto attraverso l’ascolto, per aiutare il cliente a trovare la sua soluzione o a prendere la decisione più efficace e costruttiva, la sua strada.
Il counselor non suggerirà quale debba essere scelta, aiuterà la persona in aiuto a vagliare le soluzioni possibili ed i loro effetti a breve e lungo termine, a contattare (portare dallo sfondo in figura, secondo la definizione gestaltica) i suoi reali bisogni e i suoi desideri per conoscere se stessa, e costruire relazioni consapevoli.
Tra le modalità comportamentali efficaci a gestire il necessario cambiamento per ciascuno di noi, soprattutto nel momento in cui ci sentiamo in difficoltà, il counselor ci condurrà a vivere il qui e ora assumendoci la responsabilità delle nostre azioni e, d’altro canto, accettando che risposte inadeguate rispetto ai nostri obiettivi vanno considerate feedback, risposte alle nostre azioni, alle nostre convinzioni e strategie, non sono sconfitte (di questa dinamica e ottimistica prospettiva è maestra la Programmazione Neuro Linguistica).
Dalla comunicazione onesta e consapevole con noi stessi possiamo sperare di costruire relazioni consapevoli e dunque efficaci con gli altri. Molto spesso crediamo di avere "tutto sotto controllo" di conoscere chi siamo e cosa pensiamo, di riconoscere perfettamente tutte le nostre emozioni e di saper ''gestire'' la nostra vita ...invece siamo trascinati da correnti che ci portano verso direzioni, che altri hanno deciso per noi, senza neanche accorgercene, e legittimiamo questi percorsi come se fossero frutto di una nostra scelta consapevole.
Siamo esseri complessi e multidimensionali, siamo costituiti da corpo, mente, emozioni e spiritualità tra loro interdipendenti e siamo inseriti in un contesto sociale multiforme. Le parti di noi che non conosciamo, che non accettiamo o che nascondiamo dietro maschere, devono essere indagate perché ciascuno possa giungere alla consapevolezza di sé.
Non occorre svelare a tutti le nostre debolezze o le nostre parti più intime o vulnerabili, le maschere ci proteggono e ci aiutano nella vita, non potremmo pensare di restare incolumi se non le utilizzassimo, consapevolmente o in maniera automatica. Sono il frutto della nostra esperienza e della nostra cultura; si tratta di riconoscerne l'esistenza e sarà questa consapevolezza a permetterci di costruire una relazione reale e leale con noi stessi e con l’altro. Diversamente, corriamo il rischio di... recitare per tutta la vita senza toccare mai la nostra autentica complessa identità e quella di ogni nostro interlocutore.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
[3] Carl Rogers, in Harvard business review, 1952
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