LA REVISIONE DELL’EDUCATORE. Il consulente socio-educativo nel set di supervisione

Inviato da Nuccio Salis

educazione differente

La necessità di revisionare lo svolgersi delle attività a carattere socio-educativo, nasce da una pluralità di richieste inerenti il consolidamento del ruolo e della funzione della figura dell’aiuto, specie se essa agisce in ambito pedagogico, animativo o culturale.
Sono diversi, infatti, i punti su cui occorre ogni volta fare chiarezza circa il profilo del professionista che opera nel complesso e vasto campo dell’educazione. Coloro che sono impegnati in tale arduo e faticoso compito, sono soliti manifestare (in forme sia esplicite che implicite) l’esigenza di poter fruire di un servizio che apporti consulenza e sostegno alle difficili responsabilità a cui sono chiamati ad ottemperare.
Un insieme di bisogni e di precisi focus tematici vengono fatti emergere col fine di dichiarare l’urgenza di tutelare lo svolgersi della propria professione, affinché possa procedere nelle forme più adeguate, a vantaggio sia di se stessi che dell’utenza verso cui è rivolta la propria attenzione.


Spesso non risulta nemmeno facile individuare la meta più urgente fra un ventaglio di istanze spesso assai differenziate fra loro, seppur congiunte dal medesimo motivo. Inoltre, l’ampia costellazione dei bisogni, intrecciando le due dimensioni personale e sociale, delinea una unità interdipendente di elementi e di sottoaree di cui prendersi cura.
Con l’intenzione di dipanare questa miriade di dubbi, che rischia di offuscare l’efficacia dello svolgersi di un’azione educativa, si propone un intervento noto come ‘supervisione’. Tradizionalmente affidata a figure abilitate nell’area psicologica, si sono progressivamente aperti spazi per sviluppare ed ospitare tali esperienze anche nell’ambito del counseling, identità professionale che si presenta come esperta nella conduzione dei processi comunicativo-relazionali e della formazione.
Nel tentativo di sintetizzare in cosa consista tale tipologia di servizio e di intervento alla persona, si ribadisce che il punto di partenza rimane l’identificazione di un nucleo di bisogni professionali e personali legati a ciò che si esperisce nella propria esperienza lavorativa.
Tutti coloro che esercitano la professione educativa, conoscono molto bene i rischi a cui si è esposti, specie sotto l’aspetto emozionale e motivazionale. Vi sono tipologie di utenza che costituiscono un notevole carico proprio nei termini appena esposti. Casi psichiatrici, luoghi della devianza, contesti di lassismo e profonda incuria, aprono molto facilmente ferite personali e nodi di fragilità, facendo maturare una gamma di sentimenti di disagio, di smarrimento e di non senso, con conseguente ed eventuale ordine di risposte inappropriato. Episodi difficili demotivano e fanno acquisire la sensazioni di essere inadatti, di aver scelto il mestiere sbagliato, il posto sbagliato, addirittura la vita sbagliata. Sopraffatti da una sensazione di incapacità e disistima, si procede con il rischio di esacerbare questa condizione, entrando nella spirale del burn-out e della fuoriuscita dal proprio ruolo, vissuto anche in parte come una liberazione, insieme alla sensazione di fallimento e sconfitta. Vissuti contrastanti animano l’operatore socio-educativo che si immedesima in una tale vicenda; ed egli si qualifica in quel caso come portatore di una domanda di aiuto, di supporto personale e professionale insieme.
Una contromisura pensata per supportare in itinere la vita professionale della figura dell’aiuto, consiste proprio nella supervisione. Con questo termine si fa riferimento a una strategia di accoglimento dei bisogni dell’operatore, a cui è data la possibilità di condividere le proprie difficoltà in un set protetto. Possono essere identificate diverse funzioni, in seno a tale proposta, dalle quali scaturiscono importanti obiettivi, la realizzazione dei quali è diretta ad organizzare un agire educativo più efficiente e riqualificato. È essenziale ri-orientare il professionista dell’aiuto, evitandogli di farlo sbandare verso una rotta di confusione e di inefficacia.
La supervisione si afferma come un tipo di intervento che vuole rilanciare la riflessione sul senso e sui significati della scelta del lavoro educativo. Si sviluppa dunque come servizio atto a ri-mobilitare la motivazione originaria perduta, affrontando anche aspetti di natura burocratica inerenti a tutti quei fattori che implicano la caduta di interesse e che fanno ripiegare su azioni più o meno consapevoli di boicottaggio. Si aiuta la figura educativa a ri-organizzare se stessa all’interno di un panorama di senso più arricchito, rinnovato e tendente a rassicurare, garantire tutela ed ascolto.
La creazione di uno spazio-tempo delineato mediante regole che danno forme e struttura all’esperienza, è utile per sentirsi contenuti e riservati, accolti incondizionatamente per poter liberamente dare sfogo alle proprie rimostranze, problemi, difficoltà e ostacoli incontrati durante lo svolgersi delle proprie mansioni. Questo contenitore “lacrimatoio” profila la possibilità di condividere, sciogliersi, liberarsi, provare ad avviare nuovi e più vantaggiosi propositi, con l’obiettivo di migliorare di volta in volta le proprie prestazioni.
La supervisione crea uno spazio in cui è possibile negoziare le proprie esigenze più sentite, sollecitando il confronto fra parigrado o anche diversamente, se l’organizzazione del set lo prevede e lo consente. Dentro tale spazio, il destinatario dovrebbe beneficiare della possibilità di ri-scoprire le proprie motivazioni, acquisendo diverse e nuove chiavi di lettura della situazione da egli stesso riportata e presentata. La presenza molteplice di una diversità di sguardi e di punti di vista, restituisce al destinatario un più ampio orizzonte di possibili interpretazioni, in merito ai contenuti narranti che egli condivide coi presenti. Gli altri, in pratica, assumono una funzione di specchio, nella stessa misura in cui l’interessato rilancerà agli altri il proprio modo di esaminare e sentire le esperienze altrui.
Questi scambi di feedback, della cui validità e costruttività ne è responsabile anche il conduttore dell’esperienza, si affermano come una modalità utile per promuovere se stessi come agenti sociali attivi e generatori di significati. Questo punto rappresenta un passaggio molto importante e delicato nella formazione della professione sociale, poiché questa impara a donare e ricavare al tempo stesso beneficio attraverso l’impegno del confronto col prossimo.
In questo contesto, l’educatore è invitato a recuperare il senso e la misura dei valori e dei significati che è solito attribuire a se stesso ed alla sua professione. Il set è un’occasione preziosa per ri-programmare la propria funzione e ridefinire gli obiettivi, facendo il punto della situazione. Diventa anche un momento in cui ci si ri-centra su di sé, imparando ad ascoltarsi; abilità molto importante da allenare, visto che ci si propone di modellare le persone offrendo il proprio esempio, proprio su questo aspetto. In situazione gruppale, inoltre, questo punto essenziale della crescita di sé è convissuto e compartecipato, sollecitando un importante senso di appartenenza e solidarietà reciproca coi colleghi.
Emerge l’importanza della creazione di tali spazi anche come condivisione di ciò che è implicito ed espressione estrinseca di ciò che è fino a quel momento è rimasto tacito e latente.
Toccando tutti questi aspetti, che dal singolo fruitore dell’esperienza di supervisione, coinvolgono poi inevitabilmente uno staff, od eventualmente un’organizzazione istituzionale più complessa o una committenza esterna, si evince come il compito di tale processo e di chi lo conduce, si presenta come un impegno di mediazione fra le singole parti, con la difficoltà di gestire tutte le aspettative che ciascuno proietta sul responsabile della supervisione. Un immancabile coacervo di attribuzioni a carattere mitico e romanzato, si trasferiscono sempre su chi ha un compito di guida come questo indicato. Il consulente socio-educativo, consapevole di tale fenomeno, scommette ed investe sulla sua azione trasparente e congruente con la finalità che si propone, raccogliendo la domanda di aiuto e fornendo opportuni stimoli per esplicitarla, e da questa far emergere contenuti che non possono essere trascurati o sottostimati, pena un sentimento di insoddisfazione da parte di chi opera attivamente nell’ambito educativo.
Altro elemento di non facile gestione, da parte del conduttore, può risultare un eventuale conflitto di interessi fra aspetti di natura tecnocratica e progettuale e realtà operativa ed espressione dei vissuti da parte degli operatori coinvolti.
Insomma, si comprende come la complessità di tali processi richieda un approccio concorde alla formazione continua, da parte di tutti i protagonisti coinvolti all’interno di un siffatto percorso.
Magari non è la supervisione di per sé ad essere il rimedio a tutti i malesseri, anche dal momento che per poterla espletare nel migliore dei modi, essa dovrà essere affidata soprattutto alla capacità di contribuirvi in modo costruttivo, da parte degli enti e dei singoli coinvolti. In conclusione io credo che sia molto importante sviluppare un atteggiamento permanente che punti allo studio, all’aggiornamento, alla sperimentazione e alla ricerca; in quanto ciò può rivelarsi come la misura principale per conservare la propria vocazione e mantenere elevata la motivazione, dai cui livelli dipende la volontà di un impegno che ha bisogno di essere sostenuto e compreso per ottimizzarne tutta la sua efficacia.
 

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