Un “nuovo” inizio, da insolite consonanze, 2


Un “nuovo” inizio, da insolite consonanze, 2

           Foto di Gordon Johnson da Pixabay

            

Verso un’ecologia della mente è una raccolta  di  saggi  scritti  da  Gregory Bateson,  di  temi  multipli e interconnessi, antropologia, psichiatria, evoluzione biologica, genetica. [1]

Scritti nell’arco di oltre trentacinque anni, [questi saggi] propongono, nel loro complesso, una nuova maniera d’intendere le idee e quegli aggregati di idee che io chiamo «menti», precisa  Bateson nelle prime pagine. Questa maniera d’intendere la chiamo ‘ecologia della mente’, o ecologia delle idee. È una scienza che ancora non esiste come corpus organico di teoria o conoscenza […] ma desidero esprimere fin d’ora la mia convinzione che certi fatti come la simmetria bilaterale di un animale, la disposizione tra delle foglie in una pianta, l’amplificazione progressiva della corsa agli armamenti, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero dell’evoluzione biologica, e la crisi in cui oggi si trovano i rapporti tra l’uomo e l’ambiente, possano essere compresi solo in termini di un’ecologia delle idee così come io la propongo. [2]

E così, noi lettori, accompagnati da B. in un continuo accedere alla domanda dietro le domande, arriveremo, a volte, ad alcuni risultati che sono acquisiti e capitali, altre volte a ipotesi audaci in attesa di conferma. In ogni caso, però, avremo almeno contattato un nuovo modo di pensare e di trattare le idee.

Di un testo che conta 604 pagine, difficile e implicitamente comunque lacunoso risulta ogni tentativo di proporre una qualche sintesi. Scelgo qualche passo dal paragrafo Patologie dell'epistemologia, un lavoro che risale a qualche anno precedente la pubblicazione del testo [3] contenuto nella VI parte, intitolata Crisi nell’ecologia della mente in cui le insolite consonanze di cui ci stiamo occupando (si veda l’articolo precedente, in questo sito,  Un “nuovo” inizio, da insolite consonanze) sono più che evidenti e indubbiamente anticipatrici (dagli anni Settanta, del secolo scorso) della condizione che oggi ci troviamo a vivere, pongono nuove domande, aprono nuovi percorsi di indagine, inusitate ipotesi di soluzione.

Per cominciare, vorrei fare con voi un piccolo esperimento. Alzi la mano chi crede "di vedermi".  Vedo  molte  mani  alzate,  quindi  ne  deduco  che  la  pazzia  ama  stare  in compagnia.  Naturalmente,  "voi"  non  vedete  'realmente'  me:  quello  che  'vedete'  è  un mucchio di informazioni su di me, che voi sintetizzate in una immagine visiva di me. Voi vi  costruite  quell'immagine.  La  proposizione  'Io  vedo  te'  o  'Tu  vedi  me'  è  una proposizione che contiene in sé‚ ciò che chiamo “epistemologia”. Contiene in sé‚ ipotesi su come  ricaviamo  l'informazione,  su  che  razza  di  roba  sia  l'informazione,  e  così  via.

Quando voi dite che mi 'vedete' e alzate innocentemente la mano, di fatto vi conformate a certe proposizioni relative alla natura della conoscenza e alla natura dell'universo in cui  viviamo  e  al  modo  in  cui  veniamo  a  conoscerlo.  Mi  propongo  di  dimostrare  che molte di queste proposizioni sono in realtà false, anche se tutti noi le condividiamo. Nel caso di siffatte proposizioni epistemologiche, l'errore non viene scoperto facilmente e non viene punito molto presto. Voi e io siamo in grado di andare in giro per il mondo, di volare fino alle Hawaii, di presentare memorie sulla psichiatria, di trovare il nostro posto  a  questi  tavoli,  e  in  generale  di  agire  ragionevolmente  come  esseri  umani nonostante questo profondo errore. Le premesse errate, in effetti, "funzionano". […]

Si osserva che in questo mondo persone diverse hanno ideologie diverse, epistemologie diverse, idee diverse sul rapporto tra uomo e natura, idee diverse sulla natura dell'uomo stesso, sulla natura della sua conoscenza, dei suoi sentimenti e della sua volontà. Ma se vi fosse una verità a proposito di tali questioni, allora soltanto quei  gruppi  che  pensassero  in  modo  conforme  a  quella  verità  potrebbero, ragionevolmente, essere stabili; e se nessuna cultura al mondo pensasse conformemente a quella verità, allora non ci sarebbe alcuna cultura stabile. 

Si noti ancora che stiamo discutendo il problema di quanto ci vuole per imbattersi nelle difficoltà.  L'errore  epistemologico  è  spesso  rinforzato,  e  quindi  si  autoconferma.  Uno può  tirare  avanti  benissimo  anche  se,  a  livelli  piuttosto  profondi  della  mente,  nutre premesse  che  sono  semplicemente  false.

Io  penso che  forse  la  scoperta  scientifica  più interessante  (benché‚  ancora  incompleta,)  del  Novecento  sia  la  scoperta  della  natura della  "mente".  Una differenza non può essere localizzata: vi è una differenza tra il colore di questa scrivania e il colore di questo taccuino, ma la differenza non è né nel taccuino né nella scrivania, e non posso coglierla tra i due. In una parola, "una differenza è un'idea". Il mondo della creatura è quel  mondo  esplicativo  in  cui  gli  effetti  sono  prodotti  da  idee,  essenzialmente  da differenze. […]

Consideriamo ora per un momento se un calcolatore pensi. Io direi di no. Ciò che 'pensa' e procede per 'tentativi ed errori' è l'uomo "più" il calcolatore "più" l'ambiente. E le linee di  demarcazione  tra  uomo,  calcolatore  e  ambiente  sono  del  tutto  artificiali  e  fittizie: sono linee che tagliano i canali lungo i quali vengono trasmesse le informazioni o le differenze; non sono confini del sistema pensante.

Quello che pensa è il sistema totale, che  procede  per  tentativi  ed  errori,  ed  è  costituito  dall'uomo  più  l'ambiente. […]

In  armonia  col  clima  di  pensiero  che  predominava  verso  la  metà dell'Ottocento in Inghilterra,  Darwin  formulò  una  teoria  della  selezione  naturale  e dell'evoluzione  in  cui  l'unità  di  sopravvivenza  era  o  la  famiglia  o  la  specie  o  la sottospecie  o  qualcosa  del  genere.  Ma  oggi  è  pacifico  che  non  è  questa  l'unità  di sopravvivenza nel mondo biologico reale: l'unità di sopravvivenza è l'"organismo" più l'"ambiente".

Stiamo imparando sulla nostra pelle che l'organismo che distrugge il suo ambiente distrugge se stesso.[…]

Quando  si  restringe  la propria epistemologia e si agisce sulla base della premessa: “Ciò che interessa me sono io,  o  la  mia  organizzazione,  o  la  mia  specie”,  si  escludono  dalla  considerazione  altri anelli della struttura: si decide di volersi sbarazzare dei sottoprodotti della vita umana e si decide che il lago Erie sarà un buon posto per scaricarveli; si dimentica però che il sistema  ecomentale  chiamato  lago  Erie  è  una  parte  del  nostro  più  ampio  sistema ecomentale e che se il lago Erie viene spinto alla follia, la sua follia viene incorporata nel più vasto sistema del nostro pensiero e della nostra esperienza. 

Voi  e  io  siamo  così  profondamente  imbevuti,  per  la  nostra  formazione  culturale, dell'idea  dell''io',  dell'organizzazione  e  della  specie,  che  è  difficile  credere  che  l'uomo possa  vedere  i  suoi  rapporti  con  l'ambiente  in  un  qualunque  altro  modo  che  non  sia quello che ho biasimato con un po' di cattiveria negli evoluzionisti dell'Ottocento.[…]

Ma  il  "mito"  del  potere  è, naturalmente, un mito potentissimo, e probabilmente la maggior parte delle persone a questo mondo più o meno ci credono. E' un mito che, se tutti ci credono, nella stessa misura  si  auto-convalida.  Ma  è  tuttavia  una  follia  epistemologica  e  conduce  senza scampo  a  disastri  di  vario  genere.  Infine  c'è  il  problema  dell'urgenza:  è  ora  chiaro  a molti  che  immensi  pericoli  di  catastrofe  sono  germogliati  sugli  errori  epistemologici occidentali.  Essi  vanno  dagli  insetticidi  all'inquinamento,  dalla  ricaduta  delle  scorie radioattive  alla  possibilità  di  fusione  della  calotta  antartica.  Soprattutto,  la  nostra incredibile volontà di salvare la vita dei singoli individui ha creato la possibilità di una carestia  mondiale  nell'immediato  futuro.  "Forse"  abbiamo  una  possibilità  alla  pari  di superare i prossimi vent'anni senza disastri più gravi della semplice distruzione di una o più nazioni. Io credo che questa massiccia congerie di minacce all'uomo e ai suoi sistemi ecologici sorga da errori nelle nostre abitudini di pensiero a livelli profondi e in parte inconsci. Come terapeuti, chiaramente abbiamo un dovere.  Primo, di far luce in noi stessi; e poi di cercare ogni segno di luce negli altri, e di aiutarli e rinforzarli in tutto ciò che di saggio vi sia in loro. 

E  vi  sono  oasi  di  saggezza  che  ancora  sopravvivono  nel  mondo.[…] [4]

           Attingiamo appena a Mente e Natura [5], l’ultima operaprodotta da Gregory Bateson, antropologo interessato e coinvolto nei primi sviluppi della cibernetica, psichiatra ispiratore della “scuola di Palo Alto”, ricercatore sperimentale sulla comunicazione animale, epistemologo. Come introduzione del libro, B. ha  posto un’epigrafe da S. Agostino La Città di Dio [6], di cui spiega il senso: Oggi una simile dichiarazione suscita nostalgia: la maggior parte di noi ha perso quel senso di unità di biosfera ed umanità che ci legherebbe e ci rassicurerebbe tutti con un’affermazione di bellezza. La maggior parte di noi oggi non crede che, anche con gli alti e bassi che segnano la nostra limitata esperienza, la più vasta totalità sia fondamentalmente bella.

       L’ossatura e lo scopo di questo libro, che si compone di una serie di saggi, solo apparentemente slegati, in cui confluiscono tutte le diverse ‘anime’ di Bateson (egli infatti vola dall’epistemologia alla biologia, dall’antropologia alla psicologia, dalla poesia alla cibernetica per raccontarci una storia diversa rispetto a quella tramandataci dalla cultura occidentale) è la storia della struttura che connette: per farcene vedere la bellezza, di cui in quanto esseri viventi partecipiamo, per evitare altre catastrofi, quelle che derivano dalla supremazia di una singola ‘parte’ sulla totalità del sistema.

Attraverso successivi passaggi di complessità, egli costruisce quel più ampio sapere che è la colla che tiene insieme le stelle e gli anemoni di mare, le foreste di sequoie e le commissioni e i consigli umani. In altre parole la mia teoria è olistica e, come ogni olismo serio, si basa sulla premessa della differenziazione e della integrazione delle parti. […]

Vi offro la locuzione "la struttura che connette" come sinonimo, come altro possibile titolo di questo libro. "La struttura che connette". Perchè le scuole non insegnano quasi nulla su questo argomento? Forse perchè gli insegnanti sanno di essere condannati a rendere insipido, a uccidere tutto ciò che toccano e sono quindi saggiamente restii a toccare o insegnare ogni cosa che abbia importanza vera e vitale? Oppure uccidono ciò che toccano "proprio perchè " non hanno il coraggio di insegnare nulla che abbia un'importanza vera e vitale? Dov'è l'errore? Quale struttura connette il granchio con l'aragosta, l'orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l'ameba da una parte e con lo schizofrenico dall'altra? Voglio spiegarvi perchè è tutta la vita che faccio il biologo, che cos'è che ho sempre tentato di studiare. Quali pensieri posso offrire che riguardino il complesso del mondo biologico in cui viviamo e in cui riceviamo la nostra esistenza? Come viene costruito? Ciò che si deve dire a questo punto è difficile, appare del tutto "vuoto" ed è d'importanza grandissima e assai profonda per voi come per me.

In questo momento storico credo che esso sia importante per la sopravvivenza di tutta la biosfera, che come sapete è minacciata. Qual è la struttura che connette tutte le creature viventi? Torniamo al mio granchio e alla mia classe di "beatniks". Era una vera fortuna che insegnassi a persone che non erano scienziati e che anzi avevano una inclinazione mentale antiscientifica. Propendevano tutti, anche se in maniera informe e inesperta, per un approccio di tipo estetico. […]

Siamo stati abituati a immaginare le strutture, salvo quelle della musica, come cose fisse. Ciò è più facile e comodo, ma naturalmente è una sciocchezza. In verità, il modo giusto per cominciare a pensare alla struttura che connette è di pensarla "in primo luogo" (qualunque cosa ciò voglia dire) come una danza di parti interagenti e solo in secondo luogo vincolata da limitazioni fisiche di vario genere e dai limiti imposti in modo caratteristico dagli organismi.

Stiamo cominciando a giocherellare con le idee dell'ecologia, e benché subito le degradiamo a commercio o a politica, c'è se non altro ancora un impulso nel cuore degli uomini a unificare e quindi a santificare tutto il mondo naturale di cui noi siamo parte. Notate, però, che nel mondo vi sono state, e ancora vi sono, molte epistemologie, diverse e addirittura contrastanti, che hanno però sostenuto tutte l'idea di un'unità di fondo e, benché ciò sia meno certo, hanno anche sostenuto l'idea che questa unità di fondo è "estetica". L'uniformità di questi pareri fa sperare che forse la grande autorità della scienza quantitativa non basti per negare l'idea di una bellezza unificatrice fondamentale. Io mi attengo al presupposto che l'aver noi perduto il senso dell'unità estetica sia stato, semplicemente, un errore epistemologico. Sono convinto che questo errore è forse più grave di tutte le piccole follie che caratterizzano quelle più vecchie epistemologie che concordavano sull'unità fondamentale.     

Fedele al proprio presupposto estetico-unificante: per estetico intendo sensibile alla struttura che collega tutto il sistema vivente [7], volendo spingere lo sguardo in profondità oltre le differenze e le distinzioni, Bateson intende costruire un quadro di come il mondo vivente è collegato, di come avviene l’interazione fra quei sistemi circolari complessi che caratterizzano gli organismi, i loro scambi e la loro organizzazione interna. All’interazione combinata nei sistemi complessi, B. dà nome di Mente. È essa funzione immanente alla differenziazione fra le ‘parti’ e nessun individuo, evento, comportamento o pensiero può essere compreso se non a partire dal sistema che lo ha generato e dai sistemi più ampi che lo contengono e con i quali interagisce.

È evidente che sta ribadendo quanto già si esplicitava nel testo Verso un’ecologia della mente: l’unità fondamentale dell’evoluzione non è l’organismo o la specie, ma l’organismo-più-l’ambiente (cioè, il sistema Mente). Una connessione profonda esiste fra pensiero e biosfera, mente e natura. Queste le sue parole, in proposito: “Quella che sto tracciando è un’analogia tra il contesto nell’ambito superficiale ed in parte conscio delle relazioni personali e il contesto nei processi molto più profondi ed arcaici dell’embriologia”.

Particolarmente interessante, direi illuminante, è quanto B. afferma a proposito del cambiamento:

La cosa vivente si sottrae al cambiamento o correggendolo o cambiando se stessa per adattarsi al cambiamento o incorporando nel proprio essere un cambiamento continuo. La «stabilità» può essere conseguita con la rigidità o con la ripetizione continua di qualche ciclo di cambiamenti minori, ciclo che dopo ogni perturbazione tornerà a uno status quo”.

Qualunque tentativo di introdurre la causalità lineare nel regno della Creatura viene stigmatizzato come errore epistemologico, in quanto:

nessuna parte di questo sistema in interazione può esercitare un controllo unilaterale sul resto del sistema o su una qualunque altra sua parte(da “Steps to an ecology of mind, 1972”) senza generare catastrofi interpersonali ed ecologiche. […]

Vale la pena tentare di individuare certi presupposti fondamentali che tutte le "menti" devono condividere, o viceversa, definire la mente elencando un certo numero di queste caratteristiche fondamentali della comunicazione. 1. LA SCIENZA NON PROVA MAI NULLA. La scienza talora "migliora" le ipotesi, talora le confuta, ma la "prova" è un altro paio di maniche e forse non si dà mai, se non nel regno della tautologia completamente astratta. Talvolta possiamo dire che "se" sono dati il tale e il talaltro postulato o supposizione astratta, "allora" la tale e talaltra cosa deve assolutamente seguire. Ma la verità su ciò che può essere "percepito" o raggiunto induttivamente partendo dalla percezione è qualcosa di affatto diverso.

Ammettiamo che la verità significhi una corrispondenza precisa tra la nostra descrizione e ciò che descriviamo, o tra la nostra rete totale di astrazioni e deduzioni e una qualche comprensione totale del mondo esterno.

La verità in questo senso non è raggiungibile.[8]

Se qualche traccia resta in noi di quel tanto abbiamo percepito appena, sfiorato, contattato, a noi spetta trovare la forza che ci induca alla motiv-azione di un congruente cambiamento. 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 


[1] Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi 2002, tr. It.G. Longo, G. Trautteur, 1^ edizione originale Chandler 1972, 1^ edizione Adelphi 1977

[2] Ibidem, p.19 Dal saggio di G. Bateson, La scienza della mente e dell’ordine, 1971.

[3]È il Lavoro presentato da G. Bateson alla Second Conference on Mental Health, 1969, all’East-West Center, Hawaii

[4] Ibidem, pp. 521-522, 523, 526, 527, 530-531

[5]Gregory Bateson,  Mind and Nature, a Necessary Unity, New York, Dutton 1979;  Mente e Natura, un’unità necessaria., Tr. It. G. Longo, Milano, Adelphi  prima edizione febbraio 1984, pp. 312

[6] Questa la citazione: Il Neoplatonico Plotino dimostra per mezzo dei fiori e delle foglie che dal Dio Supremo, la cui bellezza è invisibile ed ineffabile, la Provvidenza giunge fino alle cose della terra quaggiù. Egli fa osservare che questi oggetti fragili e mortali non potrebbero essere dotati di una bellezza così immacolata e di così squisita fattura se essi non promanassero dalla Divinità che senza fine pervade tutte le cose con la sua invisibile ed immutabile bellezza.

[7] Rielaborazione da Mente e Natura, Recensione a cura di ELIA LIOTTI in: Http://www.corem.unisi.it/bibliografia/recensioni/mente_e_natura

[8] Gregory Bateson, Mente e Natura. Un'unità necessaria, cit., pp. 5, 9, 10, 14, 15, 20

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