Siamo immersi nella crisi sin dal 2008: e ancora da ogni parte, arrivano continui allarmi di default e minacce di apocalisse prossima ventura. Sono quasi 5 anni che non si parla d’altro, declinandola in mille talk-show, lanci d’agenzia, telegiornali, chiacchiere da bar. So bene che la crisi non si risolve mettendo la testa sotto la sabbia e fingendo che non ci sia, nè minimizzandola o ignorandola. Malgrado ciò, da nessuna parte sento parlare di “oltre la crisi”. Sì, esatto: oltre la crisi. Non è una eresia. Certamente la crisi non piace (ma è un errore, perché la crisi è la sorgente delle trasformazioni), ma ho anche la sensazione che ancora non si sappia intravedere cosa c’è dopo la crisi. La crisi è diventata, oltre che uno dei tanti modi per vendere giornali e telegiornali, addirittura uno status, un modo di vivere, di immaginare e di definire se stessi, la propria realtà, la propria attività. Per trasformarla ci vogliono sicuramente molte soluzioni complesse. Ma altrettanto sicuramente bisogna anche lanciare il cuore oltre l’ostacolo, immaginare nuovi scenari, nuove visioni, avere il coraggio della creatività, rivoluzionare il proprio pensiero, aprirsi a nuove idee, dialogare con i sogni, abbracciare l’insolito, l’inconsueto, la novità. Questo va ben di là del semplice “proporre soluzioni alla crisi”. Significa, letteralmente impegnarsi e fare di tutto per “andare oltre”.
Non riuscire ad immaginare un futuro oltre la crisi non è soltanto un peccato di poca fantasia. È anche un limite grave e concreto affinché una nuova realtà possa seriamente affacciarsi. E questo è valido sia per ogni singolo individuo con la sua realtà circostanziale, ma anche collettivamente, a livello sociale, di nazione, di civiltà. La soglia che ci separa dall’oltre la crisi è anche il confine con il desiderio, con il non-ancora-realizzato, con l’esercizio della libera immaginazione, con il luogo dell’utopia. Se la crisi soffoca, allora la fantasia libera. Ma non vedo davvero nessun opinion-leader che si impegna ad usare la fantasia. Sono tutti sequestrati a descrivere le possibili soluzioni alla crisi. L’oggetto dei pensieri è sempre rivolto alla crisi. Attività serissima, per carità. Ma cosa c’è dopo? Dove vogliamo andare? E soprattutto, se veramente la crisi ci sta insegnando qualcosa, chi vogliamo essere dopo? Si, perchè il punto è proprio questo. La poca fantasia si rivela ancor più drammatica quando palesa che, in realtà, l’Uomo moderno non ha ancora una nuova immagine di se stesso. Questa è la vera radice della crisi (che poi è diventata anche economica, finanziaria, politica, valoriale, ecc.). Sappiamo che si è concluso il secolo, e con lui, tutte le illusioni ideologiche e gli orrori delle guerre. Sappiamo che non ci piacciono gli eccessi della globalizzazione, nè che le decisioni siano in mano a pochi cinici finanzieri o ad astuti uomini d’affari. Ma ancora non sappiamo immaginare chi vogliamo essere.
Quindi non voglio più parlare di crisi. Voglio solo immaginare. Io immagino che l’Uomo moderno ha assoluto e immediato bisogno di recuperare un senso spirituale dell’esistenza. Non ha più urgenza soltanto di pane: ma di pane e bellezza. E non parlo soltanto dei ricchi occidentali che posseggono già tutto. Perchè anche in tutti i paesi emergenti (Cina, India, Brasile, solo per citare i più popolosi) i bisogni si stanno gradualmente orientando verso la ricerca della bellezza. Basta guardare le loro città, le strade, gli arredi urbani, i loro grattacieli, gli abiti, i nuovi costumi, ma soprattutto le loro innovative produzioni artistiche nel campo della musica o nel cinema. Altro che poveracci! Hanno fame di bellezza. Il loro gusto del bello è molto più avanzato e raffinato di quanto la nostra cieca e folle presunzione mondo-centrica ci lascia supporre. E non mi riferisco solo alla bellezza estetica, ma soprattutto alla bellezza estatica: quel rapimento, meraviglia e incanto che ci sorprende quando siamo alla ricerca di senso della vita individuale e sociale.
La famosa piramide di Maslow, secondo cui soltanto dopo aver assolto ai bisogni primari (alimentazione, protezione) è possibile far emergere bisogni non-primari (autorealizzazione), ha forse sottovalutato l’enorme potere che la bellezza esercita sull’animo umano. La ricerca della bellezza è ciò che io immagino per l’Uomo di oggi, sempre che egli abbia l’aspirazione a diventare anche l’Uomo di domani. Non basteranno i comitati di bioetica a governare il futuro, ad instradare le nuove applicazioni di intelligenza artificiale, le tecniche di bio-ingegneria genetica, le frontiere delle nanotecnologie, i cambiamenti climatici mondiali, i processi di de-materializzazione della nuova cultura digitale. Saranno travolti dalla loro stessa miopia, se non sapranno dotarsi per tempo di una luce in grado di orientarli lungo nuovi punti di riferimento. E questa luce, io immagino, possa essere soltanto la ricerca della bellezza. Ancor più che la ricerca del profitto, del moralmente giusto, dei dettami religiosi o del benessere materiale.
Io immagino che l’uomo ha bisogno di bellezza come il pane: ne ha bisogno tutti i giorni, non solo nei musei o nelle pinacoteche. Ha bisogno di portare bellezza nel proprio lavoro quotidiano, ne ha bisogno nelle relazioni di coppia, con gli amici. Ha bisogno di portare bellezza con una risata insieme ai colleghi, con un abbraccio alla fine della partita, fondando una band Punk-Rock nel garage, costruendo il sogno di un'associazione culturale insieme agli amici. La bellezza è necessaria ovunque. È necessaria per vivere, per far battere i cuori, per far scorrere il sangue che altrimenti si prosciugherebbe come sabbia.
Immagino che domani la bellezza ispirerà noi gente comune e i grandi statisti, le persone semplici e gli uomini d’affari. Che sarà la musa d’ogni nuovo progetto e di ogni innovazione, che guiderà le scoperte scientifiche e la mano di chi dovrà applicarle. Immagino che la bellezza diventerà sempre più il nutrimento e la speranza di tutti: che la si vedrà dappertutto in giro per le strade, ma anche in quel lampo negli occhi delle persone care, informandoci così, che sono veramente vive
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