“LUNGA VITA” ALL’APPRENDIMENTO! L’esperienza del conoscere come forma mentis

Inviato da Nuccio Salis

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La formazione nel counseling, specie se rivolta agli adulti, implica la ristrutturazione di nuove forme del pensiero, dell’agire e dell’essere, le quali per lungo tempo si sono consolidate sotto l’aspetto dell’abitudine e della ripetizione. Sciogliere e scongelare certe parti di se, ormai sclerotizzate, risulta l’impegno più gravoso a carico di chi soffre dinanzi alla possibilità di cogliere ciò che è nuovo, non controllabile e non catalogabile all’interno delle proprie esperienze.
Ciò che non viene capito viene di solito rifiutato, consegnandosi di fatto a un’esistenza impoverita di possibilità di crescita e potenziamento delle proprie parti di sé. Per potersi concepire all’interno di un orizzonte di ricerca e di trasformazione, accettando l’ignoto e vedendo proprio in esso la possibilità di sostare su modelli esperienziali più avvincenti e creativi, è necessario invece rappresentarsi la vita come un cammino avventuroso, di cui si vogliono fronteggiare anche i rischi e i pericoli, abbandonandosi ad essa con un senso di pienezza e di disponibilità all’incanto e alla meraviglia.


Colui che per un certo periodo assume il ruolo di guida temporanea per chi chiede aiuto nell’attraversamento di certi passaggi nodali della propria vita, si troverà sempre a dover sollecitare le persone a rigenerarsi e riprogrammarsi, all’interno di una nuova cornice identitaria e di un atteggiamento da cui ricavare maggiore profitto in termini di soddisfazioni.
La cura dei processi, pertanto, precederà l’analisi dei contenuti, con l’obiettivo di restituire alla persona un senso di sé costruttivo e capace di trasformare le difficoltà in opportunità e risorse. In sintesi, sarà la persona che riceve aiuto a doversi rendere conto che è se stessa la misura di tutte le cose, e che la chiave di svolta consiste nella riappropriazione della propria autonomia nell’agire, riconoscendo le parti vulnerabili e potenziando quelli più compiuti. Il counselor, dunque, non interviene come riparatore di falle o solutore esperto di problemi, ma come colui che fomenta nell’altro la ricerca di sé nel risvegliarne il gusto di autoesplorarsi. Portare l’altro a compiere un’esperienza di rinnovo su di se, vissuta con profondo appagamento, significa aver restituito alla persona la dimensione autentica di se stessa.
Per realizzare tale compito, tanto impegnativo e difficile quanto doveroso, occorre riaccendere nella persona l’entusiasmo legato all’esperienza del conoscere, sia nell’incontrare se stesso che nello scoprire l’altro.
La curiosità è d’altronde la chiave di svolta che rimane sempre nella vita di una persona, di fronte anche alle difficoltà che sembrano le più imperiture.
In Sardegna è noto un proverbio che declama “al vecchio non importa di morire, il vecchio ha paura di morire senza aver imparato”. Frase che riassume in modo decisamente edificante ciò che è stato descritto fino ad ora.
Sono dunque i fattori legati alla tensione verso il sapere ed il conoscere, che devono essere interessati ad una mobilitazione ai fini della crescita esperienziale. Se la scienza umanistica ha da molti anni ormai riconosciuto e promosso una visione continua nella formazione di una persona, ancora la forma mentis di un soggetto adulto, di contro fatica ad entrare dentro la prospettiva riguardante il fatto che la “lunga vita” non è associata meramente agli anni che passano, ma alle opzioni esperienziali che questa può continuare ad offrire, non interrompendo mai il processo dell’apprendimento.
Esso dunque va contemplato all’interno dell’intero percorso esistenziale, perché molto spesso è proprio dal momento in cui si pensa di non avere più niente da imparare, o niente di utile da fare o dispensare, che la mortido comincia a prevalere sulla pulsione di vita.
Ed allora l’esperienza del vivere non può limitarsi a fissare il calendario nell’attesa di strappare il foglio di un calendario, da cui una esatta replica dell’attesa avrà luogo. Quel che urge fare è ri-modellare il proprio pensiero ed anche i propri stati affettivo-emotivi, verso una prospettiva più feconda e convincente, in grado cioè di includere la gioia di apprendere, di imparare e di rimettersi in discussione.
La psychè, ravvivata nel ritrovamento della propria missione, potrà finalmente esprimersi in tutta la sua migliore declinazione, riaffermandosi nel confronto attivo e ricostruttivo con la realtà, di cui si sente protagonista.
Soprattutto noi studiosi di scienze umane abbiamo il dovere di diffondere questo nobile messaggio. In questo senso ci poniamo come educatori che cercano di salvare l’idea che imparare è bello e utile, a qualunque età e stadio della vita.
Ridestare ciascun individuo al concedersi la possibilità continua di apprendere, perché la vita stessa è la più grande e indiscussa maestra, che non sospende mai la sua attività, e tutti i contesti con cui ci confrontiamo sono a loro volta la più grande palestra dove ci esercitiamo, proiettati verso l’evoluzione. Per questo non dovremmo permettere che la psiche si atrofizzi, scegliendo una vita in cui ci si spreca o si degenera dandosi a tutto ciò che abbrutisce e rovina l’essere umano, che è invece nato per “seguir virtute e conoscenza”.
Fomentare la curiosità è un compito essenziale per chi si occupa dell’aiuto alla persona, perché è noto che rivolgere attenzione ed interesse verso qualcosa che aiuta a crescere, è un fattore protettivo di indiscutibile forza nella biografia di un individuo. Le variabili sulle quali dovremmo puntare l’attenzione, come operatori dell’aiuto, faranno parte di un articolato bagaglio di elementi facenti parte degli atteggiamenti e delle processualità cognitive di un individuo. Per cui si dovrà particolarmente dirigere l’esperienza formativa su fattori quali:

 

. a) Apertura/Curiosità. Il nostro compito principale consisterà nell’incoraggiare la persona ad assumere un progressivo atteggiamento esplorativo nei confronti di ciò che è nuovo, e che magari per questo può sembrare all’inizio bizzarro ed inservibile nella propria esperienza, se non addirittura da rigettare.
.b) Significazione. È un processo che dipende in gran parte dal livello di maturità elaborativa raggiunto dalla persona, e che conferisce alla stessa la possibilità decisiva di collocare la propria esperienza dentro un orizzonte di significato, di modo che ciò che viene vissuto venga considerato utile e rilevante per se stessi.
.c) Comprensione/Codifica. Non deve mai mancare comunque l’aspetto relativo ai contenuti, che devono essere propriamente letti per facilitarne l’interiorizzazione. Il soggetto dovrà possedere le proprietà lessicali e cognitive per decodificare correttamente il senso dell’esperienza svolta.
d.) Soddisfazione/Appagamento. Si tratta molto probabilmente della vera molla che permette un’efficace esperienza dell’apprendimento continuo. Le fatiche ed i dispendi volti al raggiungimento di certi obiettivi e risultati, dovranno essere ripagati da un sano sentimento di gratificazione personale.
.e) Successo. A dispetto della paura di fallire o di non farcela, la finalità programmata dovrà essere per l’appunto adeguata alla reale possibilità di soddisfarla. Dovrebbero cioè essere previste prevalenti possibilità di raggiungimento degli obiettivi. La prospettiva del successo incentiva di conseguenza anche tutte le altre.

 

L’approccio con cui dovrebbero essere considerati questi elementi è di natura sistemica-integrata, così da coglierne ed apprezzarne il tipo di legame interdipendente, ed agire da una per potenziare le altre.
Molto importante resterà in ogni caso, tenere ad un ragionevole livello la motivazione e la complicità da parte della persona coinvolta in tale processo, perché si possa adeguatamente svincolare dalla guida facilitante e stimolatrice, e dirigersi verso il pieno compimento di sé e della propria autonomia.
 

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