GENERALI O PARTICOLARI? Domande e riflessioni epistemologiche sugli studi della personalità

Inviato da Nuccio Salis

personalita

Gli studi sulla personalità sono caratterizzati da un duplice percorso di ricerca, dal momento che da una parte sono chiamati a soddisfare la richiesta di identificare modelli generali per descrivere le strutture degli atteggiamenti, d’altra parte si pongono anche l’obiettivo di individuare le peculiarità che sottostanno alle dinamiche personali di ciascuno.
Le teorie più efficienti e complete sulla personalità sono quelle che riescono ad integrare ambedue le istanze epistemologiche, evitando di dare luogo ad approcci differenziati a matrice più ideologica che scientifica. Se ogni soggetto umano può essere catalogato all’interno di una mappa strutturale che ne indica criteri di appartenenza e di esclusione, al tempo stesso la descrizione dell’individuo non potrà essere sufficientemente esaustiva.
È dunque importante sia disporre di schemi e nomenclature che aiutino a semplificare ed orientarsi in una foltissima moltitudine, sia nel contempo considerare il valore della unicità di ciascuno, affinché il riconoscimento categoriale non degeneri in una classificazione riduzionista che fa perdere di vista la persona come essere individuato ed irripetibile.


Da dove bisognerebbe partire, dunque? Si parte dagli schemi teorici generali per poter arrivare all’approfondimento della soggettività della persona, oppure si prende spunto dalla conoscenza diretta dell’individuo per poi poterlo collocare dentro un contenitore che funge da insieme?
Il primo percorso propone di fare riferimento ad universali in grado di includere e spiegare in modo abbastanza soddisfacente qualunque manifestazione originale e atipica di sé, mentre con la seconda modalità si delineano le tipologie personologiche proprio in funzione dei dati raccolti dalla conoscenza della moltitudine e di tutte le sue assortite espressioni.
Quale dei due percorsi è il più corretto? Il percorso deduttivo (dal generale al particolare) oppure quello induttivo (dal particolare al generale)?
Probabilmente, in vista anche di ciò che si è accennato circa la necessità di deviare la creazione delle solite scuole di pensiero, la ricerca può prevedere un percorso complementare aperto a contemplare entrambe le ipotesi e le direzioni. Ciò sembra essere dimostrato dal momento che, abbracciando pedissequamente una sola delle due metodologie di ricerca, si verificherebbe una mancata integrazione che renderebbe incompleto e insoddisfacente il risultato dello studio.
In altre parole, se si dovesse aderire in maniera unilaterale all’approccio generalista, che si orienta dunque sugli universali, si rischia di non riuscire a considerare le differenze presenti nella moltitudine, quindi di concepire l’essere umano soltanto a seguito di una deviazione standard, ovvero di valutarlo esclusivamente nel suo grado di adesione/somiglianza al modello generale in cui risulterebbe incluso. In caso di discrasia, non si esiterebbe come d’uopo a parlare di anomalia o devianza rispetto alla descrizione normotipica comunemente accettata.
D’altro lato, la sola ed esclusiva sottolineatura di ciascuna particolarità, renderebbe irrealizzabile ricondurre queste caratteristiche ad aspetti comuni che potrebbero validare una categoria uniforme, utile a riconoscere determinate tipologie espressive nelle persone.
Questa duplice difficoltà è dunque speculare, e si corre il rischio di non risolverla ogni qualvolta si dovesse guardare alla persona come la manifestazione di un Sé che da una parte non ha bisogno di letture dirette a riconoscere qualità uniche, e d’altro canto non lo si vuole far rientrare dentro collocazioni categoriali precostituite. Questi approcci, adottati singolarmente non possono risultare produttivi, in quanto hanno tutto l’aspetto di due posizioni ideologiche: l’una che postula che sia sufficiente l’esistenza di una teoria della personalità per inglobare la persona dentro un sicuro orizzonte di lettura, con conseguente affidabile approssimazione nella comprensione delle stessa, e l’altra che si auto-convalida nella convinzione che non occorrano generalizzazioni schematiche per interpretare le complesse dinamiche del sentire e dell’agire umano.
Ma gli schemi e la ricerca della singolarità non sono di per se posizioni che collidono in maniera conflittuale. È la saggezza operativa con cui si ricorre al loro utilizzo, semmai, a determinare la qualità con cui si perviene a certi risultati nella comprensione del complesso e variegato mondo della personalità. Strutture e processi sono due ambiti correlati e intimamente connessi, che necessitano di essere colti ed approfonditi sullo stesso piano di ricerca.
Si ha bisogno, a mio futile giudizio, in primo luogo di descrizioni riferite a prototipi reperibili per una prima forma di riconoscimento e analisi, che offra un minimo di orientamento, senza per questo farsi utilizzare gli schemi come etichette prestampate o contenitori pre-formati che non possono essere messi in discussione. È vero anche che queste descrizioni generali sono comunque costruite dalla raccolta dati in esperienza, e che quindi fin da subito occorre una doppia matrice che ricerchi sia la particolarità che la generalità. In secondo luogo, infatti, si evince la necessità di fare riferimento alle qualità intrinseche decisamente caratteristiche del soggetto esaminato, o con cui si è in relazione, perché il compito dell’aiuto all’emancipazione del singolo, rimane comunque l’intento apicale dell’operatore che affianca la persona.
In conclusione, pare che ciò che più occorra sia la capacità di ricercare la similitudine nella diversità e la diversità nella similitudine, in modo sinergico, sviluppando un’attenzione continua a tutte le espressioni dell’essere persona. Rinunciando a paradigmi di sapore ideologico, e accettando la complessità del percorso di ricerca, forse si potranno offrire contributi decisamente più validi e soddisfacenti al tema della comprensione dell’altro da noi, cogliendone anche in questa circostanza differenze e somiglianze.
 

Potrebbero interessarti ...