Amore e psiche


amore e psiche

Se provassimo a chiedere – per verificare “sul campo” che cosa si pensa in genere circa questo soggetto-oggetto onnipresente (ma forse ancora misterioso) tramite un’indagine non certo esaustiva ma soltanto indicativa - a una decina di interlocutori diversi per sesso, età, ambiente sociale, cultura e provenienza geografica: “Che cosa è l’amore?”, raccoglieremmo quasi certamente dieci risposte diverse. L’esperimento si può tentare, com’è ovvio, in modo informale tra i nostri familiari o con i nostri più intimi amici e amiche, e registreremmo anche in questo caso, con tutta probabilità, risposte differenti. Come spiegare questo fenomeno? Le spiegazioni sono tante, e non è neanche sicuro che risultino persuasive ed esaurienti.

Fatta questa doverosa premessa, vediamo di dipanare l’aggrovigliata matassa che ci troviamo tra le mani quando parliamo di questo oggetto tanto desiderato e così spesso invocato ed evocato, ma che pare tanto più sfuggirci quanto più cerchiamo di definirlo e di rinchiuderlo nei nostri schemi concettuali. Il primo nodo da sciogliere è di ordine semantico: la parola “amore” comprende per noi, oggi, molti significati diversi. Assai più precisi di noi, i Greci distinguevano invece l’eros dalla philia e questa dall’agape; un conto è infatti l’attrazione sessuale e fisica, un altro il sentimento di affetto e di amicizia o l’attaccamento che proviamo per certe persone o anche oggetti come opere d’arte o luoghi o istituzioni, un altro ancora è l’amore spirituale e assoluto, volto esclusivamente al bene del prossimo e che non si aspetta niente in cambio, come l’amore di una madre per il proprio bambino .

Quindi bisognerebbe sempre specificare a quale specie di amore ci riferiamo nel rispondere alla domanda volutamente generica posta all’inizio. Vediamo ora in particolare il nostro oggetto (o soggetto) in quanto desiderio sessuale e attrazione fisica, e domandiamoci: sappiamo di che cosa si tratta? E qui incontriamo un secondo nodo da sciogliere, cioè il nostro atteggiamento personale verso il lato fisico o fisiologico o edonistico dell’amore; siamo sicuri che sia un atteggiamento libero da condizionamenti sociali e culturali?

E’ persino una banalità ricordare che quando si chiamavano “vergogne” gli organi genitali l’idea che si aveva del sesso e della sessualità era alquanto condizionata da censure e interdizioni non solo linguistiche; ed è nozione sociologica elementare quella della pressione esercitata dall’ambiente socioculturale, o dal gruppo di appartenenza, riguardo alle nostre credenze, ai nostri pregiudizi e ai nostri comportamenti sessuali. Questo vale naturalmente per tutte le epoche e per tutte le culture.

Per tornare ai Greci, è noto il culto e l’alta considerazione che nutrivano per Afrodite, dea della bellezza, della fertilità e dell’amore e madre, giustappunto, di Eros, il divino fanciullo alato e fornito significativamente di arco e di frecce. Ma non è detto che tutti lo immaginassero e concepissero in modo univoco e stereotipato: i convitati in casa del poeta Agatone che dialogano sulla natura di Eros tessendone l’elogio, nel Simposio platonico, lo definiscono tuttavia ciascuno a suo modo, in attesa del discorso conclusivo di Socrate; discorso che richiederebbe di essere letto, o meglio, ascoltato per intero, data la sua importanza per la storia del pensiero occidentale; in questo discorso si serve, come è nel suo stile, di un mito per illustrare la sua concezione dell’amore, è il mito che racconta le circostanze della nascita di Eros, narratogli da Diotima, sacerdotessa di Mantinea : “Quando nacque Afrodite gli dei festeggiarono al solito con un banchetto, tra gli invitati sedeva anche Poros (cioè espediente, inventiva, astuzia), figlio di Metis (dea del saggio consiglio).

A un certo momento Penia (povertà), che si trovava a mendicare da quelle parti, vide nel giardino di Zeus Poros addormentato e ubriaco fradicio per il troppo nettare bevuto e, colto l’attimo, si fece fecondare da lui. Così venne al mondo Eros, povero e straccione per parte di madre, ma in perenne ricerca di ogni bontà e bellezza per parte di padre”. Il significato filosofico di questo mito è abbastanza trasparente: se l’amore è desiderio, e se si desidera quello che non si ha, vuol dire che l’amore non ha la bellezza, non ha la virtù, non ha la sapienza; che cos’è allora? Non certo un dio, ma un essere intermedio tra gli uomini e gli dei, un essere imperfetto che tuttavia aspira alla felicità della perfezione divina, e, attraverso i vari gradi e le varie forme di bellezza terrestre, alla bellezza in sé, dalla quale discendono tutte le altre.

Ecco qui delineata la figura del filosofo, cioè dello stesso Socrate, consapevole solo di non sapere ma che, proprio per questo, ama il sapere (e la verità e la bellezza) con tutto se stesso. Questo è l’amore platonico. Come si vede, anche nell’ambito della cultura greca si distingueva tra un eros volgare, che ha per oggetto il corpo, e un eros nobile rivolto alla psiche, cioè all’anima; distinzione richiamata anche dal Foscolo che, in una nota ai versi dedicati “a quel dolce di Calliope labbro / che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma / d’un velo candidissimo adornando, / rendea nel grembo a Venere Celeste”, scriveva: “gli antichi distinguevano due Veneri: una terrestre e sensuale, una celeste e spirituale”.

Nella nostra società in cui convivono culture diverse e, in certi casi, conflittuali, le idee correnti sull’amore non possono che essere varie, stratificate e, sovente, controverse (penso alla questione dei matrimoni misti e a quella dei matrimoni omosessuali). E qui incontriamo un terzo nodo da sciogliere, anche perché non è detto che alle idee corrispondano poi sempre i comportamenti, soprattutto in fatto di morale sessuale; accade di frequente che le condotte effettive contraddicano i sacri principi professati, non si spiegherebbe altrimenti la fortuna del sempre fiorente mercato del sesso e della pornografia; potremmo anzi affermare che una caratteristica dominante della nostra epoca è proprio la desacralizzazione dell’amore e la sua riduzione a merce di scambio.

Pur continuando ad essere esecrato a parole, l’amore puramente meccanico e fisiologico, il “commercio di liquidi” di cui parlava Valèry, non per questo cessa di essere praticato, e la famosa liberazione o rivoluzione sessuale si è poi tradotta in una nuova forma di alienazione. Qualcuno potrebbe persino scorgere in questa desacralizzazione dell’amore il fallimento della morale cattolica e del cristianesimo stesso, almeno nella sua versione paolina e agostiniana, se fosse del tutto scomparso l’amore inteso come carità, come agape e come amicizia o “passione” per la bellezza, per la verità e per la giustizia.

Certo la moderna dissociazione tra sesso e amore, tra un erotismo notturno e peccaminoso di cui vergognarsi e una sessualità, per così dire, benedetta in quanto finalizzata alla procreazione e alla sopravvivenza della specie - ed è questo un altro difficile nodo nella matassa che tentiamo di dipanare - non ha contribuito all’armonia e alla pienezza della vita umana, né tantomeno al superamento della guerra tra i sessi così ben rappresentata nelle Relazioni pericolose di Choderlos de Laclos; mentre appare, nella prospettiva di uno sviluppo armonico ed equilibrato della nostra interiorità e dei nostri rapporti con il prossimo e con il mondo esterno, sempre più necessaria la riconciliazione e la reintegrazione delle varie componenti – la fisiologica, la sentimentale, la passionale e la spirituale – in quel tutto comprensivo di anima e di corpo, in cui Amore possa - come nel mito - innamorarsi perdutamente della bellissima giovinetta Psiche tanto da renderla anch’essa, alla fine, immortale tra gli immortali.

 

Fulvio Sguerso

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