Parola e silenzio *
L’uomo parla nella misura in cui ascolta.
Cresce dentro la gamma di suono che percepisce.
La sua parola è espressione della sua evoluzione
e l’una verifica l’altra.
Entrambe sono funzioni del suo ascolto.
Annick de Suzenelle [1]
[…]La parola ha bisogno di ascolto e le parole nascono e scorrono fluide dopo il silenzio.
Parola e silenzio sono intimamente legati e distinti, e non può esserci l’una senza l’altro.
La parola giusta viene dal silenzio, e il giusto silenzio dalla parola. Amiamo interpretare la parola, tra i tanti linguaggi della comunicazione, come segno distintivo della specie umana, ne andiamo fieri e quando vogliamo elogiare un nostro amico a quattro zampe ci affrettiamo a riconoscere che si fa capire benissimo anche se “gli manca solo la parola” e non potrebbe essere diversamente, a patto che siamo noi in grado di leggere e interpretare i suoi linguaggi.
Tutt’altro che semplice o facile è riconoscere il valore della parola come qualità che proprio perché ci appartiene merita grande attenzione e raramente la usiamo con efficacia, poche volte la accogliamo con rispetto; d’abitudine ci accade di usare le parole con esagerata dovizia, con sciatta imprecisione, in gran fretta, pescandole dal nostro personale serbatoio-vocabolario seguendo spesso l’impulso emotivo del momento.
Rinunciamo a scegliere parole appropriate per meglio chiarire il nostro pensiero, perché la nostra attenzione è tutta concentrata ad accarezzare il nostro amor proprio, a sentirci inclusi, elogiati, ad emergere sugli altri e sempre incalzati dalla fretta, da un ritmo accelerato, nemico della riflessione.
Quando, con delusione, siamo costretti ad ammettere di non essere riusciti a ottenere ciò che speravamo, o tra noi e il nostro interlocutore si manifesta un fraintendimento, una distorsione comunicativa, neppure allora ci rendiamo consapevoli che la ragione per cui ciò è accaduto non è solo l’ostilità dell’altro o qualche imprevisto evento esterno: la ragione fondamentale è in quell’altrove, dove mai andiamo a cercarla: la nostra autoreferenzialità.
Siamo consapevoli che le parole hanno un grande peso, possono essere pietre e creare barriere, o aprire porte e spalancare nuove positive prospettive, possono essere di aiuto o intimorire, sollevare l’animo o abbatterlo; sono loro, le parole scelte con cura, e il come le pronunciamo, che testimoniano il nostro pensiero e insieme il nostro sentire, la nostra emozionalità e possono suscitarla nell’altro come noi vorremmo.
Se per la comprensione di un messaggio, è noto che il 55% sia affidato al linguaggio del corpo (LNV linguaggio non verbale), autentico rivelatore della congruenza tra le parole dette e ciò che pensiamo e di cui siamo interiormente convinti, consideriamo tuttavia che il restante 45% nella comprensione resta affidato al contenuto in sé -le parole tra il 5 e il 7%- e al linguaggio paraverbale, tono, cadenza, rapidità di eloquio e lo sguardo, l’espressione del volto con cui accompagniamo le parole che pronunciamo. […]
Delle parole abbiamo un bisogno profondo e particolarmente di quelle evocatrici di emozionalità, per tutelare o ri-trovare il nostro equilibrio. Ogni parola ha una sua precisa identità (neppure due sinonimi sono identici) e a seconda del modo con cui la percepiamo o ci è stata comunicata, del momento in cui è detta, della situazione, della relazione, del ruolo che abbiamo nei confronti del nostro interlocutore, può essere di conforto o metterci in crisi.
La parola è suono, è vero, e in quanto espressione trasmissibile del pensiero, nutrimento del pensiero può essere compresa a vari livelli: letterale, psichico, concettuale, immaginativo, spirituale, emozionale, evocativo…
La parola non solo evoca realtà, è come se avesse una sua corporeità/fisicità, si identifica con la cosa stessa che indica (come evidenziano chiaramente le formule rituali o magiche nelle quali non è soltanto il significato ad aver efficacia, bensì il significante ed è per questo che, di necessità, si conservano nella loro forma originaria/definitiva e assoluta, sciolta da qualsiasi interferenza o mutamento degli eventi).
Il parlare è certamente un fatto individuale, produzione di ognuno, un atto di libertà individuale, in riferimento alla dicotomia astratto-concreto di Ferdinand De Saussure, per il quale la parole è la concretizzazione della langue.
Scrive Ferdinand De Saussure:
Se la “langue” è un tesoro depositato dalla pratica della parole nei soggetti appartenenti a una stessa comunità, un sistema grammaticale esistente virtualmente in ciascun cervello o, più esattamente, nel cervello d’un insieme di individui, la “parole” è invece il momento individuale, mutevole e creativo del linguaggio, il modo cioè con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale. [2]
[…]Concediamoci brevi pause ristoratrici, rapide evasioni dalla dinamicità routinaria, alla ricerca di un’opportunità che agevoli un autonomo rispecchiamento di sé, equilibrio tra parola e silenzi. […]
[1] Annick de Suzenelle, Il simbolismo del corpo umano, trad. it. P. Longo, Y. Mollard, Servilium, Milano 2995, p.30
[2 ] Ferdinand De Saussure, Corso di Linguistica Generale, Laterza, 1978, pp. 23,24
* adattato da Giancarla Mandozzi, Ascolto parole e silenzi, 2020, Presentazione
Cordialissimamente.
Giancarla Mandozzi
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