Una recente ricerca condotta da "4.manager" e presentata a Roma da "4.manager e federmanager" ci dice che il 50% delle #imprese intende assumere manager nei prossimi 3 anni. E' un'ottima notizia. Purtroppo, la ricerca dice anche che l'87% degli imprenditori fatica a trovare i profili richiesti a causa del disallineamento tra le competenze richieste e quelle offerte. Sarebbe interessante un ulteriore approfondimento sulle cause e le origini di tale
disallineamento e su quali politiche di formazione sono state avviate negli anni scorsi dallo Stato ma anche dalle imprese stesse, ma fermiamoci al dato, per il momento.
Le principali mancanze riscontrate riguardano le soft skill (capacità di leadership e di motivazione, lingue straniere, orientamento all'innovazione e al cambiamento, ecc) e già qui c'è da interrogarsi alquanto, tutti quanti, perché le soft skill (lingue a parte) non sono mai state fatte oggetto di attenzione nella formazione almeno di tipo scolastico, mentre solo alcune (poche) imprese investono su di esse. Ma l'analisi prosegue in modo ancor più
allarmante quando, con riferimento ai posti occupati, dice che "6 posti di lavoro altamente qualificati su 10 mostrano una carenza di competenze; 4 lavoratori su 10 sono troppo o troppo poco qualificati per il lavoro che stanno svolgendo" (Stefano Cuzzilla presidente di 4.Manager).
Insomma, c'è molto da fare, la formazione è essenziale, i manager devono investire su se stessi, soprattutto quando nessun altro lo fa per loro. Ma una risposta alla domanda delle imprese può arrivare dal ricorso a manager esterni, figure di temporary o fractional manager, che possono assolvere la funzione ed essere
estremamente efficaci, soprattutto in quelle realtà che, per la prima volta, si affacciano all'ipotesi di inserire figure di vertice per i più disparati motivi.
Un’impresa italiana su due, dunque, sta cercando nuove figure manageriali da poter assumere nei prossimi tre anni. Se si considerano esclusivamente le aziende che non hanno
mai avuto management in organico, la necessità di dotarsi di un manager è ormai comune al 30% delle imprese.
Tuttavia domanda e offerta, spesso, non si incontrano a causa di un disallineamento tra competenze richieste e competenze offerte.
Dallo studio emerge che sia gli imprenditori sia i manager avvertono una fortissima spinta al cambiamento, derivante da una serie di fattori noti ma sempre più pressanti: accelerazione tecnologica e digitalizzazione, fluidità dei consumi e volatilità dei consumatori,
globalizzazione e concorrenza internazionale. A questi fenomeni, in atto da anni, gli imprenditori italiani hanno reagito concentrandosi sulla qualità dei prodotti. Oggi, però, le aziende avvertono chiaramente che ciò non è più sufficiente e affermano due esigenze
destinate a modificare sostanzialmente la struttura delle pmi italiane: l’esigenza di introdurre nelle loro aziende figure manageriali. In particolare per esigenze di internazionalizzazione, export e digitalizzazione e con caratteristiche nuove che faticano a trovare sul mercato; l’esigenza di diventare loro stessi più manager, in un processo di ‘ibridazione’ che unisca alla tradizionale cultura del fare, una nuova cultura del gestire. I manager, in prima linea nella trasformazione insieme agli imprenditori; sono pienamente
consapevoli dei cambiamenti in atto e stanno reagendo con una formazione mirata su innovazione e change management, leadership, people management. Il ruolo richiesto ai
manager passa dal fornire competenze specialistiche a essere sempre più business partner con compiti più ampi e complessi: individuare tendenze; accelerare e facilitare i cambiament,
velocizzare i ritmi di apprendimento dell’organizzazione, valorizzare il capitale umano aziendale, creare processi e team di lavoro resilienti, valorizzare le diversità; sviluppare modi e processi di lavoro di tipo collaborativo, operare tenendo conto dell’etica e della
responsabilità sociale
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