Dare fiducia, un’opportunità da concedersi


Dare fiducia, un’opportunità da concedersi

Foto di Speedy McVroom da Pixabay

Alcune osservazioni di Virginio De Maio:

(in https://www.ilcinemainsegna.it/video/non-me-lo-sarei-mai-aspettato/)

La fiducia è un’emozione inconscia che ci rende vulnerabili verso l’altro. In mancanza di essa, ci blocchiamo, analizziamo molti più dettagli e tutto diventa più lento. Gli studi di Stephen M. R. Covey dimostrano come l’assenza di fiducia renda tutto più costoso, mentre fidarsi è un modo per  guadagnare di più. […]

 

Le mie convinzioni oscillano tra  “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” e la più gandhiana “più dai e più hai”.

Cito le parole di Jack Nicholson rivolte al figlio nel film “Come lo sai?”:

[…] Siamo portati a pensare in termini di perdita: “Cosa ci perdo se la mia fiducia venisse tradita?”; e mai in termini di guadagno: “Cosa ci guadagno ogni giorno, quando la mia fiducia viene ricambiata?”. Lo so che non è semplice, e non lo è stato neppure per me.

[…]Quello della “fiducia” in azienda è un tema controverso. Fidarsi, non fidarsi, lasciare che sia il nostro intuito a decidere oppure scegliere dopo una seria analisi dei rischi? Come sempre “dipende” è la risposta saggia che ci toglie dall’imbarazzo di sbagliare. E molto dipende dalle tue esperienze passate, da quanto la tua fiducia è stata tradita o rinforzata, proprio come un muscolo.

Ma come dice Steve Jobs ” i puntini si uniscono solo alla fine”.

           Per quanto riferite alla realtà aziendale, le parole di Virginio De Maio enucleano alcuni elementi essenziali nella costruzione di quella fiducia verso noi stessi e verso il mondo che solo se presente ci renderà “saggi”, capaci cioè di discernere se, quando e quanto possiamo usarla, con quali benefici e/o costi.

Non è solo problema etico infatti, è anche riconoscimento nell’altro di competenze professionali e relazionali che consideriamo meritevoli e prima ancora che nei confronti dell’altro, per noi stessi. Dare fiducia dunque è possibile solo se ne conosciamo i tanti benefici di percezione di leggerezza, di tranquillità, di distensione, di apertura alla vita e persino all’improbabile e dunque al sogno. È possibile se abbiamo almeno qualche volta assaporato l’emozione di un’intesa con l’altro che vada oltre il contingente e la situazione de facto, perché in fondo per poterci rasserenare e accettare di fidarci dell’altro, occorre che sussistano per noi parametri che riconosciamo importanti, se non dimostrati almeno dimostrabili per poter intravedere un reciproco buon esito.

Perché riflettere sulla fiducia? Perché interrogarci oggi se la nutriamo verso noi stessi e se siamo propensi a donarla all’altro?

Proprio perché in questa annosa situazione ingovernabile per molti aspetti che credevamo di poter abilmente controllare, di generale incertezza sul presente, oltre che sul futuro (difficile persino da immaginare) è aumentata a dismisura la nostra sete di provare il balsamo della fiducia: di poterla dare a qualcuno, insomma di poterci fidare almeno di una voce, di una rassicurazione che non denunci evidenti subdole pressioni di interessi che ci sfuggono e che certamente non sono i nostri. Oggi, più che qualche mese fa, abbiamo bisogno di riaprirci alla fiducia nella competenza, anche di pochi, che, se è tale, non è mai improvvisata, abbiamo bisogno di ri-accenderci per nuove convinzioni (quelle passate neppure più le ricordiamo), per nuove motiv-azioni in grado di far fiorire in noi l’immaginare e costruire il futuro.

Più facile certamente ci appare lasciarci condurre dagli eventi che ci travolgono con la violenza che nella storia più volte ha colpito le popolazioni, eventi per i quali il nostro efficiente sistema informatizzato, il nostro progresso non sembrano avere rilevanza. Le persone in aiuto che in questi ultimi mesi ci contattano insistentemente ci portano il loro lamento; dallo sfogo, necessario e salutare che caratterizzava le richieste fino a qualche tempo fa, ora è il tempo del  ripiegamento su se stesse, della assenza di energie mentali ed emotive.  Neppure quando al counselor continuano a chiedere “consigli” (che il counselor non è chiamato a dare) è netta la percezione che non sono pronti a coinvolgersi, ad agire, a mettersi in gioco. L’atteggiamento più comune è un restare come in apnea: fermi, impossibilitati ad agire, come estranei a ciò che accade nel mondo ovunque accada, neppure più desiderosi di comprendere di che cosa si stiano alimentando le loro tante paure.

Da qui occorre ripartire: ricostruiamo, a piccoli passi e con tenacia e nuove competenze, un aiuto a provare fiducia in sé, nell’essere umano, nei piccoli dettagli del presente, nelle possibilità del dopo...

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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