IL COUNSELING AL SERVIZIO DELL' APPROCCIO FUNZIONALE. Le parole del caring .

Inviato da Nuccio Salis

I criteri che identificano l'approccio funzionale sono il risultato di un laborioso processo di avanzamento scientifico-culturale che ha aperto una ricognizione e riqualificazione di un paradigma della disabilità in cui ha dominato la percezione "defettuale" dell'individuo diversamente abile. Il deficit, la menomazione, la mancanza, la criticità nell'area delle autonomie, la disfunzione, sono stati per lungo tempo i marcatori unici nel definire la condizione di un soggetto non rispondente al comune standard di efficienza e funzionalità previsti, osservati ed attesi secondo i parametri comuni.

La rivoluzione concettuale ed operativa, benché sufficientemente consolidata nell'agire professionale, mantiene ancora rilevanti cascami ingenui dovuti a una diffusa e constatabile arretratezza culturale in materia di disabilità ed handicap. La percezione comune sul "diversamente abile" ha conservato l'anacronistica visione limitata a guardare l'immagine della persona diversamente abile per come appare. Si tratta di un atteggiamento superficiale e pietistico che resiste ancora alla mutazione del paradigma clinico e sanitario, ostacolando un certo progresso sociale che avrebbe invece una positiva ricaduta sulla vita dell'individuo con diversa abilità, in quanto la condizione di salute/malattia è determinata soprattutto dalla condizione relativa al vissuto psichico-emotivo che ridimensiona lo stato interiore di ciascuno di noi, facendoci sentire amati piuttosto che non amati, compresi piuttosto che non compresi, accettati piuttosto che rifiutati. È proprio in questo frangente che si colloca meritoriamente il ruolo di un'educazione alla diversa abilità che pone al centro la relazione, che sollecita e protegge il benessere del destinatario dell'intervento educativo adoperandosi per la manutenzione della qualità del rapporto educatore/educando, proposto in questa chiave come l'arnese principale presente nella cassetta degli attrezzi di un operatore professionista della relazione di aiuto. Diventa così importante trasferire il concetto della cura da un predominio nell'ambito medico a una estesa competenza educativa di caring che include una prospettiva sistemica, olistica, dinamica ed ecologica dell'agire educativo e dell'utenza interessata all'intervento, poiché ne sia supervisionata continuamente l'efficacia ed ottimizzata l'efficienza. Nel contesto odierno, peraltro, diventa sempre più importante onorare questo impegno, ai fini di bilanciare la presenza unilaterale e soverchiante dell'ottica medicalizzante, che respinge con pregiudizio tutto ciò che non riconosce all'interno dei suoi rigidi canoni e procedure, nella convinzione aggravante di possedere un lemmario della disciplina a uso esclusivo e prerogativo dell'area medico-sanitaria. Sono queste le errate convinzioni che riducono o annullano la possibilità (e anche l'obbligo deontologico) di un sereno e costruttivo confronto fra indirizzi differenti, legati al tempo stesso da un unico scopo, che dovrebbe coincidere nel farsi testimoni e tutori degli interessi e del benessere della persona verso cui si applica il proprio trattamento. Le vicende più ricorrenti ci indicano però, purtroppo, una persistente difficoltà a sviluppare un solido e fecondo lavoro di equipe secondo una impostazione interdisciplinare, soprattutto se vi sono rappresentanti di discipline che godono di un investimento di autorità culturale-scientifica che non permette loro di ammettere discipline troppo distanti dai loro paradigmi, per princìpi, modelli, strumenti e prospettive di intervento. È per questa ragione che è possibile rinvenire proprio nel counseling, e nella sua vocazione profondamente umanistica, la spinta che ha condotto la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità a cogliere ed ufficializzare un significativo cambiamento di rotta in corsa, nel panorama del trattamento di aiuto alla persona, rivalutando i principi che fino ad allora hanno sostanziato modelli e processi di intervento legati a condotte ferreamente allineate agli stili e agli atteggiamenti di un approccio medicalizzante che limita la visione dell'umano a un'entità biologica che risponde esclusivamente a processi chimici e fisiologici. Questa considerazione prettamente bio- meccanica dell'umano, riconducibile alle sole unità schematiche, prevedibili, controllabili e reattive di Causa/Effetto, non poteva che mostrare nel tempo tutta la sua fallacia di fondo del suo impianto concettuale e di conseguenza operativo. Si possono rintracciare proprio nel counseling quei fondamentali contributi che hanno generato nel tempo una indispensabile introduzione di novità epocali, ricollocando al centro della scena la persona, con la sua storia, i suoi vissuti, i suoi autentici bisogni, la sua identità in divenire. A questo proposito, azzardo una ipersintesi dei punti fondamentali che delineano un approccio di tipo funzionale: _ Accettazione: è anche uno degli elementi portanti dell'approccio rogersiano, che rilancia inevitabilmente l'importanza di rimarcare un ascolto empatico e decentrato dal giudizio personale, ovvero in posizione accettante. Il che non significa esattamente condividere in toto ciò che l'altro esperisce, come se ciò equivalesse ad un diluirsi in una irriducibile simbiosi con l'altro da Sé. Vuol dire anzitutto accogliere l'altro nella sua gratuità dell'esserci. La presenza altrui testimonia sempre una storia, un percorso, una qualche costruzione di sé e di significato, un impegno a reperire coordinate esistenziali ed a muoversi attraverso di esse. _Stimolazione: l'operatore dell'aiuto sollecita all'attività, pianifica, prevede e monitora percorsi dentro cui l'altro si avvicenda confrontandosi con se stesso. L'operatore della relazione di aiuto, in questa precisa circostanza affianca la persona a cui rivolge la sua attenzione e la "provoca" perché questa possa esplorare e riconoscere in se stessa anche risorse, punti di forza, autonomie residue, tensione creativa, resilienza e prospettiva di progresso. _ Integrazione: le azioni svolte debbono orientare ogni processo evolutivo al considerarne e verificarne il legame dinamico e interdipendente con il complesso delle numerose variabili che implicano sempre la presenza di un contesto. Il confronto con questa legge e con questo fenomeno, conduce a maturare riflessioni su di sé in termini di responsabilità e di percezione di sé come agente co-costruttore di significato. Tale condizione favorisce il necessario processo di integrazione sociale, cambiando la valutazione di sé e quindi modificando stili, abitudini e consuetudini che propendono a degradare lo spirito di iniziativa e la volizione, a mortificare e disconoscere le proprie diverse abilità. Di certo si deve prendere in considerazione come questo passaggio sia molto delicato per le conseguenze di ribaltamento complessivo delle certezze che fino a un certo momento hanno costituito la sicurezza del soggetto diversamente abile, seppur in una frequente e obiettiva situazione di annichilimento e isolamento. Perciò, il professionista della relazione di aiuto che si appresta a tale compito, dovrà gestire tutti quegli aspetti di iniziale destabilizzazione da parte del soggetto verso cui si ha l'incarico di sostenere nel suo percorso, poiché si tratta di un itinerario che può rivoluzionare e rimettere in discussione la stessa immagine di mondo e di Sé acquisita e cronicizzata dall'esperienza. _ Integrazione: lo svolgimento attivo del proprio percorso sviluppa un nuovo rapporto con l'ambiente e ridisegna nel contempo un nuovo profilo di Sé e un inedito modo di manifestarsi che si rivela poi la conquista nell'essere riusciti ad affrancarsi da una condizione di eccessivo ripiegamento e disistima di Sé. Ora l'individuo sente di avere maggiori e migliori possibilità di emancipazione. Sa di poter contare su referenti significativi della sua mappa delle relazioni, e che investirà su tali dinamiche interpersonali coinvolgendosi in modo consapevole, costruttivo e motivato. _ Relazione: il valore attribuito ai legami allenta una condizione di esasperato arroccamento e ripiegamento in un Sé privo di produttivi contatti e relazioni, e mette alla prova il soggetto a misurare le sue insospettate qualità interiori, maturando la capacità di agganciare e condurre relazioni appaganti e di vicendevole arricchimento interiore. Peraltro, questo aspetto assume spesso una valevole chiave di svolta che porta il diversamente abile da una condizione imperitura di dipendenza ed autoreferenzialita'ad un atteggiamento in cui è lui stesso chiamato a prendersi cura dell'altro da Sé e della relazione che vi si è stabilita. _Ricerca del senso: sviluppare e trovare il significato che motiva la propria esistenza è un compito a cui abdicano perfino coloro che posseggono ogni integra facoltà potenziale per costruire una direzione di senso. Eppure, nonostante questa evidenza, è sempre la stessa miseria culturale di basso spessore a determinare la fatica di vedere nella persona diversamente abile la capacità di reperire e guadagnare un proprio senso dell'esistere. Si tratta di una grave tara culturale che richiama all'urgenza di divulgare una sensibilità educativa che si fa poi complice di reale ed autentico progresso, non più misurabile in termini meramente utilitaristi. _ Individuazione: il decisivo salto di qualità che conferisce il rinnovamento e la maturità più eclatante di un progetto educativo orientato alla cura totale della persona. Si tratta, in questa precisa circostanza, di saper mettere in equilibrio ciò che si attinge da uno standard collaudato e validato di intervento alla persona alla personalizzazione dell'intervento stesso, ritagliato propriamente su misura sulla specificità del soggetto di cui ci occupiamo. In questo caso, emerge come ciascuna professione educativa consista nel farci essere come dei sarti, che oltre a sapere come si procede per costruire un abito, lo sanno anche nel contempo adeguare alle misure e alle caratteristiche di chi dovrà indossarlo. Questi punti salienti che descrivono una corretta modalità di procedere nella relazione di aiuto, favoriscono quella necessaria visione che punta all'empowerment di ciascuna area o distretto di autonomia che possono espandersi, che possono potenziare risorse e isole di abilità che contengono l'enorme facoltà di riconsegnare ciascun singolo alla sua unicità, ad un suo orizzonte esistenziale decodificato con crescente consapevolezza, e quindi con l'impegno di ricavare soddisfazione dall'esserci, in modo attivo, partecipante, dentro un cammino di vita che riconquista e riafferma i valori imprescindibili e inattaccabili della dignità e delle pari opportunità. dott. Nuccio Salis (Pedagogista clinico, Counselor socioeducativo, Formatore analitico-transazionale)

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