Counselor, un “modo di essere”
Conosciamo una definizione più impegnativa per un professionista e più rassicurante, allo stesso tempo, per chiunque si rivolga a lui?
Quando Carl Rogers [si veda Carl R. Rogers, Un Modo Di Essere, Giunti, 2012] argomentò con dovizia di caratteristiche ed esperienze, che il counselor non si limita ad esercitare una professione in quanto il ruolo di counselor è il suo modo di essere, certamente si riferiva a colloqui vissuti vis à vis, individuali o anche di gruppo e a percorsi di crescita per la risoluzione di problemi per lo più circoscritti ai clienti, pur in relazione a specifici contesti. Dunque, da quando realizziamo la scelta di essere un counselor siamo consapevoli che non lo saremo solo con i clienti, perché a quella condizione non potremo sottrarci se non perdendo il dialogo con noi stessi. Ciò non significa affatto, forse è pleonastico precisarlo, identificarsi in una professione, in un ruolo perdendo di vista la propria identità, bensì significa proprio aver accettato, in quanto adulti (non solo anagraficamente) di riconoscerci in un percorso continuo di crescita inevitabilmente aperto al cambiamento, le affermazioni di Carl Rogers sono ancora illuminanti:
“Se posso stabilire una relazione d’aiuto con me stesso, se posso cioè essere sensibilmente consapevole e ben disposto verso i miei stessi sentimenti, c’è una grande probabilità che possa stabilire una relazione di aiuto con gli altri. Ora, accettare di essere quello che sono, in questo senso, e permettere che questo appaia ad un’altra persona, è il compito più difficile che conosca, e uno di quelli che non ho mai del tutto assolto. Ma riconoscere che questo è il mio compito, mi è stato quanto mai utile poiché mi ha aiutato a trovare che cosa era stato sbagliato in relazioni interpersonali divenute aggrovigliate e confuse, ed a porle di nuovo su un piano costruttivo. Ciò significa che se voglio facilitare la crescita personale di altri in relazione con me, io stesso debbo crescere e questo, pur essendo spesso doloroso, mi arricchisce ….
Ho perciò l’impressione che la relazione <
Carl Rogers, mentre dotava di così ampio respiro la funzione educativa del percorso di counseling per il counselor stesso, non intendeva certo profetizzare quanto sarebbe stato determinante in una situazione di disagio globale come quello che tutti stiamo vivendo da settimane, non immaginava che al counselor e al cliente non fosse possibile sedersi all’ascolto reciproco in un ambiente protetto per gestire un’ansia progressiva, tangibile e collettiva, alimentata, con insistenza, dissennatamente da pressioni mediatiche.
Eppure, è in questa attuale complessa condizione, in cui ognuno si sente impotente di fronte ad un nemico invisibile e ad una innegabile impreparazione organizzativa di chi ha ruoli di responsabilità, che il counselor in quanto adulto, è solida opportunità. È l’opportunità che offre in quanto persona capace di ascoltarsi e di essere se stessa [2], di considerare l’incontro con l’altro strumento per essere, per farsi costruttori del proprio futuro, e può con totale accettazione, vivere nei suoi pensieri e sentimenti, le pulsioni creative all’interno di sé, le tendenze distruttive che trova in sé, la sfida della crescita, la sfida della morte. Può far fronte, nella sua coscienza, a cosa significherà, per lui essere oppure non-essere. [3]
Se oggi non è impegnato a prestare la sua opera nelle zone di maggior disagio, il counselor è comunque impegnato nel gestire efficacemente ogni relazione con l’altro, con chiunque lo contatti, attento a facilitare la relazione nel rispetto di se stesso e dei bisogni dell’altro.
Nel counseling, la centralità della persona che richiede aiuto resta una peculiarità della relazione, insieme all’empatia e all’ascolto attivo, da parte del counselor che vive su di sé un continuo percorso individuale verso il disvelamento della propria autenticità. In ogni momento difficile, e segnatamente in questi giorni in cui è proclamata sferzante e tragica la fragilità dell’essere umano, l’insegnamento di Carl Rogers ci conforta con la sua ottiministica prospettiva sulle capacità di ogni essere umano: Abbiamo a che fare con un organismo che è sempre motivato, è sempre intento a qualcosa, che cerca sempre qualcosa. La mia opinione è che c’è nell’organismo umano, una sorgente centrale di energia e che tale sorgente è funzione di tutto l’organismo, non solo di una sua parte. Il modo migliore per esprimerla con un concetto è di definirla tendenza al completamento, all’attualizzazione, alla conservazione ed al miglioramento dell’organismo. [4] L’energia della tendenza attualizzante è quella fiducia nell’essere umano tanto più preziosa quanto più gli eventi rischiano di comprometterla, affiancati dalla complicità del sistema mediatico, ossessivo megafono di sensazionali problemi, al di là e oltre la doverosa informazione; pochi i pur validissimi esempi di uso dell’informazione attento agli utenti/persone.
Non sappiamo quando, né come ritrovare la fiducia, talvolta ci assale il dubbio e ci chiediamo se saremo in grado d’ora in poi, ma è certo che abbiamo necessità di ritrovarla in noi stessi, così come nostra resta la responsabilità di impegnarci ad essere guida di noi stessi e delle giovani generazioni.
L’empatia del counselor, che ci fa sentire compresi pur non identificandosi con noi, si fa preziosa esperienza, anche in un brevissimo incontro, in un saluto, un sorriso, in un gesto di concreta solidarietà non richiesta, ci consente di provarla anche noi per l’altro e ciò è il conforto più autentico, quello che, sollecitato dalla disponibilità semplicemente umana dell’altro, riaccende in noi stessi la spinta alla socialità, fa riaffiorare la speranza. A questa dimensione può riannodarsi l’idea di futuro.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
[1] C. R. Rogers, La terapia centrata sul cliente, PSYCO, Firenze 1970, pp. 80-85
[2] ibidem
[3] Carl Rogers, La tendenza esistenziale, in Psicologia esistenziale, Astrolabio, Roma, ‘70
[4]Rogers, C. The formative tendency. J. Hum. Psychol., 1978, 18, p. 23
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