L'exit counseling


ImageIntroduzione. Un settore specifico del counseling nella relazione d’aiuto è rappresentato dal counseling d’uscita o di svincolo (exit counseling), per il recupero della persona da condizioni strutturate in cui si verifica sistematicamente e consapevolmente una manipolazione(1) e un controllo mentale.

Manipolazione e Controllo Mentale


In questa riflessione sull’exit counseling non mi prefiggo la classificazione di ideologie, movimenti o gruppi, rispetto al fenomeno della manipolazione mentale; piuttosto l’individuazione di elementi relazionali che la caratterizzano e che sono presenti generalmente anche nelle relazioni e nelle aggregazioni sociali.

Potremmo definire la manipolazione come modifica indotta nei valori e nei bisogni di un individuo o di un gruppo di individui, attraverso mezzi di comunicazione di massa, allo scopo di esercitare un controllo in determinati settori sociali (manipolazione dell'opinione pubblica, dell'informazione)

La manipolazione quindi è fondamentalmente una modalità comunicativa all’interno delle relazioni interpersonali, finalizzata al cambiamento dei valori e dei comportamenti dell’altro.

Questo strumento comunicativo ha un’altra particolarità che lo caratterizza ulteriormente: una prima affermazione di conferma a livello verbale, cui segue una seconda affermazione verbale o non verbale di disconferma o di rifiuto. In altre parole, il contenuto del messaggio non corrisponde alla relazione che ne segue. Ad esempio: “Sei libero di decidere fino a che segui le mie decisioni.” “Parla liberamente, esprimiti, ma non contrastare le mie opinioni.” “Ti voglio bene e rispetto la tua libertà, perciò fai solo quello che ti dico.” “La cosa che dici è giusta, ma se la dici contraddici il capo.” Questo tipo di comunicazione è anche definita come paradossale, contraddittoria, e molto spesso è usata inconsapevolmente nelle relazioni quotidiane.

Image Si parla invece di controllo mentale quando la comunicazione paradossale è usata consapevolmente e sistematicamente in modo organizzato per indurre un cambiamento strutturale nella personalità dell’individuo, creando un cortocircuito tra le sue capacità cognitive e quelle emotive. La comunicazione paradossale è in pratica una comunicazione patologica che produce disorientamento. La persona sottoposta in modo sistematico e continuo a questa comunicazione patologica non riesce più a codificare il significato delle informazioni contraddittorie ricevute; di conseguenza si trova prima frammentata nella capacità di percezione della propria personalità e dei significati della realtà circostante, poi è svuotata della sua capacità di attribuire significato al Sè e alle cose, per ritrovarsi alla fine privata della propria individualità. In questa condizione, la persona non è più in grado di valutare le proprie capacità e di gestirle e, non avendo altri punti di riferimento, assume i valori e i comportamenti della struttura che ha indotto la modificazione della sua personalità. L’ulteriore paradosso sta nel fatto che la persona stessa crede di avere scelto volontariamente, quando invece la sua scelta è frutto di una manipolazione.

Nella situazione di prolungata manipolazione mentale si attua dunque un inganno cognitivo attraverso l’invio di messaggi incoerenti, per aumentare il conflitto interiore nell’individuo, come tra fedeltà e necessità di autonomia, tra sottomissione e individualità, tra obbedienza e spontaneità. L’obiettivo è prima di tutto destabilizzare la persona, esasperarne le incongruenze, per forzare la sua coscienza e introdurre nuovi valori nella sua personalità.

All’individuo sottoposto a manipolazione mentale è detto che può esercitare autonomia a patto però che segua senza discernimento le regole coercitive imposte; ma seguirle senza possibilità di esercitare la propria scelta consapevole non è più autonomia. Per essere valorizzato, l’individuo è costretto a rinunciare alla propria personalità e ad assumere quella del leader; ma la sottomissione forzata è la negazione stessa della propria dignità. Alla fine l’individuo, per non perdere la stima e l’affetto del gruppo, si autoconvince che ciò che pensa è falso anche se, in effetti, è vero. Questo autoinganno, funzionale alla propria autoconservazione, provoca tuttavia un ribaltamento completo dei piani cognitivo-affettivo e un disorientamento completo delle proprie capacit! à induttive e percettive.

L’individuo è certamente libero di lasciare il gruppo, ma se lo fa è un infedele ed è perseguitato. Un tale processo è anche identificato come riforma coercitiva del pensiero.

La coercizione è attuata attraverso diversi meccanismi relazionali:

1. Mantenere la persona inconsapevole dell'esistenza di un’agenda intesa a controllarla e a cambiarla.

2. Controllo dell'ambiente sociale e/o fisico della persona, in modo particolare il tempo a sua disposizione

3. Indurre un senso di impotenza, paura e dipendenza.

4. Soppressione di vecchi comportamenti e attitudini. Manipolazione attraverso un sistema di ricompense, punizioni, e riconferme, in modo da inibire comportamenti che riflettano la precedente identità sociale.

5. Instillazione di nuovi comportamenti e attitudini.

6. Affermazione di un sistema logico chiuso.

In questo modo la persona è indebolita, destabilizzata, sviluppa una dipendenza dall’organizzazione ed è arruolata come un rappresentante della stessa.

In aggiunta, la coesione all’interno della struttura di controllo mentale è mantenuta attraverso un controllo totale sui sentimenti, sul linguaggio e i comportamenti. Il linguaggio stesso è riformulato con un nuovo vocabolario in modo che il gruppo si percepisca sempre più come entità privilegiata staccata dalla vita sociale. Gli affiliati hanno sempre meno contatti con l’esterno, fino a ripudiare la famiglia stessa e le amicizie. Il gruppo assume la propria visione della vita come l’unica possibile, si considera illuminato, prescelto.

I membri sono indotti a confessare i comportamenti passati al leader che poi userà queste testimonianze per ricattarli. Gli affiliati vivono in funzione della dottrina del gruppo e non in base alle loro necessità reali di relazione; la loro personalità non si sviluppa; al contrario, riflette sempre più passivamente quella del leader. Il controllo sulla coscienza dell’affiliato è mantenuto attraverso un’attivita continua e pressante che lo coinvolge completamente e lo gratifica, ma che allo stesso tempo serve per logorarlo e abbassare la sua capacità decisionale. Il gruppo a controllo mentale potrebbe anche non essere stato costituito a questo proposito, ma è poi il tipo di relazioni che sviluppa al suo interno che lo caratterizza come tale.

Il gruppo attua un primo approccio manipolatorio con il potenziale affiliato a livello dei sentimenti, in momenti in cui la persona sperimenta ambivalenza nelle relazioni, disorientamento nella sfera affettiva familiare, crisi esistenziale, lavorativa, e in generale in situazione di disagio. La persona si avvicina inconsapevolmente alla comunità manipolatoria perché questa appare come un luogo dove alleviare la propria sofferenza, ricevere affetto e accoglienza. Tuttavia, la persona potrebbe anche essere motivata all’affiliazione dal desiderio di autorealizzazione, di un’esperienza più “illuminante”, di potenziare le proprie facoltà.

La Violenza Psicologica

La manipolazione che le persone sperimentano all’interno del gruppo manipolatorio si può pensare come abuso psicologico. Fondamentalmente, il gruppo propone comprensione, certezza e autorealizzazione; provvede risposte confezionate ai problemi, rifiuta il dubbio su queste risposte, e promette la superiorità rispetto ad altri gruppi. Allo stesso tempo, richiede fedeltà incondizionata per tutta la vita; attua un’omologazione di tutti i comportamenti degli aderenti; stabilisce una scala di controllo gerarchico dove ogni aderente riferisce al leader il comportamento degli altri aderenti, inducendo il sospetto, la colpevolizzazione, la menzogna, l’ambiguità. Molti alla fine abbandonano il gruppo o ne sono esclusi. Il loro abbandono è frutto della disillusione per le promesse mancate, l&r! squo;ipocrisia del leader, le pratiche ingannevoli. Questa esperienza lascia gli affiliati in uno stato di sfinimento di cui non riescono neanche ad essere consapevoli. Si sentono abusati da chi credevano benevolo; si sentono traditi, psicologicamente violentati, e in ogni caso hanno proprio bisogno di quelle stesse certezze che hanno viste violate, e di nuove amicizie solidali.


Una volta usciti dal gruppo di manipolazione, gli ex affiliati si devono confrontare con le proprie emozioni occultate e negate per tanto tempo, e nel loro recupero devono fronteggiare diverse sensazioni tra cui: depressione per la sensazione di mancanza di valore; solitudine e senso di colpa per essersi scollegati dalla propria famiglia e dalle amicizie; insicurezza per non essere più in grado di riadattarsi alla vita sociale dopo averla rifiutata per lungo tempo; sensazione di stordimento perché i loro valori sono stati stravolti dalla comunicazione paradossale; perdita del senso critico perché sono stati programmati a ubbidire soltanto; paura di essere perduti per sempre, perché il gruppo si poneva come unico mezzo di redenzione e illuminazione; sensazione persecutoria per timore delle ripercussioni da parte di membri del grupp! o; l’angoscia di dovere spiegare le ragioni dell’uscita dal gruppo; autocondanna per non avere dato ascolto ai propri sentimenti e praticato la menzogna e la disonestà nel gruppo; sospetto verso la benevolenza delle persone, perché la benevolenza del gruppo era menzognera; il timore di non poter più riacquistare la normalità.


L’exit counselor, che si appresta alla relazione d’aiuto con un ex aderente di un gruppo a controllo mentale, deve perciò conoscere le dinamiche relazionali all’interno delle quali il cliente era coinvolto. Senza tali informazioni, il counselor non può efficacemente sostenere la persona nella sua uscita dalla manipolazione mentale.



Un Intervento di Exit Counseling


Nell’exit counseling si presenta anche la situazione in cui è il nucleo familiare dell’aderente a rivolgersi al counselor. In questo caso, la problematica dell’aderente investe la famiglia intera che si trova coinvolta a fronteggiare il problema. Nell’approccio con l’aderente, il counselor, considera le dinamiche familiari su cui costruire un primo contatto. Il seguente è un riassunto delle fasi di un primo colloquio (2):


1. Prima del colloquio di aiuto di exit counseling, l’exit counselor fa conoscenza della famiglia che ha richiesto l’intervento di aiuto, e nell’incontro sono chiarite le loro richieste. La famiglia è informata sul gruppo, il suo insegnamento, e sull’obiettivo dell’exit counseling, in modo da sostenere l’aderente nel caso questo decida di uscire dal gruppo. Attraverso queste informazioni, l’aderente può decidere consapevolmente se rimanere nel gruppo o lasciarlo, sul possibile risultato e sui passi successivi.


2. In base a tale informativa, e alla lettura di ulteriore materiale, la famiglia decide se l’exit counselor è appropriato in quel momento o se deve essere interpellato in seguito. In ogni caso, l’exit counselor informa la famiglia come meglio sostenere la situazione e migliorare gradualmente la comunicazione con il proprio familiare aderente. Se l’intervento d’aiuto è deciso, sono considerate le situazioni in cui la famiglia può prenderne parte, come sarà composto il team di exit counseling, e chi della famiglia deve chiedere il consenso all’aderente riguardo all’intervento.


3. L’intervento avviene alla presenza di un membro della famiglia che presenta l’exit counselor. È importante che l’exit counselor possa costruire presto un contatto con l’aderente. Se ciò non è possibile, l’aderente andrà via. Durante tutto il colloquio, l’aderente è trattato con rispetto, può esprimere le sue opinioni liberamente, e decidere quando interrompere o andare via.


4. L’obiettivo del counselor è ripresentare l’informazione con l’aderente e la sua famiglia, e fare che l’informazione parli da se stessa. Il contenuto dell’informazione presenta generalmente la richiesta della famiglia che è alla base dell’intervento di exit counseling, la natura del controllo mentale, la dottrina, l’ideologia e le notizie sull’organizzazione del gruppo, incluso informazioni particolari che non sono solitamente disponibili agli aderenti, come l’analisi dei documenti interni del gruppo. Sono considerate anche le risorse per affrontare i problemi comuni dopo l’uscita dal gruppo.


5. La decisione spetta all’aderente rispetto all’informazione ricevuta. La sua scelta è rispettata. Se la persona decide di rimanere con il gruppo, l’exit counselor cerca di lavorare con lui e la famiglia per migliorare le relazioni familiari nel futuro. Se la persona sceglie di lasciare il gruppo, l’exit counselor parlerà dei prossimi passi sostenuti dalla famiglia, delle altre risorse, e delle dinamiche di recupero.


Una volta che l’aderente decide di continuare l’exit counseling, le sue possibili resistenze nel riprendere le sue normali attività possono essere:


a. Intellettualizzazione
Distanziarsi da emozioni e sentimenti dolorosi.


b. Proiezione
Attribuire le proprie colpe e i propri difetti ad altre persone.


c. Negazione
Evitare aspetti sgradevoli o minacciosi della realtà.


d. Razionalizzazione
Spiegare o giustificare aspetti inaccettabili di sé o del proprio comportamento.


i. Silenzio
Può segnalare il desiderio di ritirarsi dal processo del counseling


f. Arrivare in ritardo, andare via in anticipo
Difficoltà di collegarsi al counselor o al processo del counseling.


g. Introiezione
Fare proprie le convinzioni, gli standard e gli atteggiamenti trasmessi dall’ex gruppo
d'appartenenza.


h. Humor
Può essere usato come barriera per difendersi dall’intimità con gli altri.




Crisi e Sofferenza


La persona che esce da una condizione di manipolazione mentale si avvia verso un recupero dal disordine psicologico.

Il counselor è consapevole che durante questo recupero la persona attraverserà fasi di crisi. Prima di poter pensare a riprendere una vita normale, questa ha bisogno di consapevolizzare ciò che le è accaduto; ma ammettere il fallimento, e la violenza subita, provoca dolore, e allora la persona cerca di evitarlo attivando autoprotezione attraverso un’anestesia emotiva. A livello cognitivo, la persona realizza che c’è un trauma; ma dal lato emotivo, si sconnette volontariamente dalla realtà per non provare sentimenti dolorosi, come dopo un grave incidente stradale dove davanti a persone decedute non si riesce a provare alcuna emozione. Per uscire dalla crisi, la persona deve perciò rientrare in contatto la propria percettibilità e personalità.


Ogni crisi produce un senso di perdita che può essere definito come tutto ciò che disattende un desiderio prevedibile o improvviso. Per cui il centro della crisi è rappresentato dalla perdita. La persona, che nel caso della manipolazione mentale, è stata ingannata, percepisce di avere perso qualcosa. A sua volta, la sensazione di perdita provoca una sofferenza che si manifesta in parte esteriormente e che genera un senso di lutto (3).


La crisi provoca sensazione di:

a. Perdita.

b. Sofferenza.

c. Lutto.


FASI DELLA SOFFERENZA


Prima Fase: Trauma e rifiuto

1. Contraddizione.

2. Mancanza di consapevolezza.

3. Rifiuto di ammettere la crisi.


Seconda Fase: Rabbia

1. Accusa verso se stessi e gli altri.

2. Scoraggiamento.

3. Fragilità emotiva.

4. Difficoltà nelle decisioni.

5. Risentimento e ribellione.


Terza Fase: Dubbio persecutorio

1. Perché è accaduto a me?

2. Come è potuto succedere?

3. Quando avrò qualcosa di positivo?

4. Quale motivo ho per vivere?

5. Dov’erano le persone che mi dovevano aiutare?


Quarta Fase: Colpa


1. Punizione
La punizione subita motivata da rabbia e frustrazione genera senso di colpa.


2. Disconferma
La disconferma delle proprie capacità svuota la persona di valore, senso di inutilità.


3. Rifiuto
Il rifiuto subito genera isolamento, senso di indegnità.



Quattro modalità nell’affrontare la colpa:



a. Disperazione.

b. Ribellione.

c. Negazione.

d. Evitamento.


L'USCITA DALLA CRISI


Durante le fasi della crisi, il counselor deve sempre tenere presente che la persona ha necessità di ammettere il disagio e affrontarlo per cercare una risoluzione e nuove prospettive, senza aggravare la sensazione di colpevolezza o vittimismo. Lo spazio dell’exit counseling è proposto dunque come luogo fisico e relazionale dove rivisitare la propria realtà negata per:


1. Riaffermare la propria unicità.

2. Riaffermare la propria dignità.

3. Riaffermare i propri limiti.

4. Riaffermare le proprie necessità.

5. Rientrare in contatto con le proprie emozioni.

6. Usare onestà con se stessi.

7. Smettere di autopunirsi, perdonarsi, riconciliarsi con se stessi.

8. Rinnovare la fiducia nelle proprie possibilità.

9. Esprimere le proprie qualità.

10. Tornare a essere propositi per il futuro.


In una crisi si deve poter rielaborare il proprio senso di lutto per le prospettive mancate, sotterrare i vecchi progetti infranti e tornare a rinnovarsi esercitando la speranza. L’uscita dalla crisi rende la persona più resistente alle prove della vita e consapevole del proprio significato. L’esperienza maturata durante la crisi può, a sua volta, essere usata per aiutare altre persone in situazioni simili.

_______________________________________________________________________

(1) manipolazione, deriva dal vocabolo manipolo, adottato nella prima metà del XIV secolo, derivato dal latino manipulu(m), comp. di manus "mano" e del tema di plere "riempire". Il termine manipolo assumerà poi significati diverse tra i quali (De Mauro, dizionario):

1. fascio di paglia, spighe, erbe, ecc. simile per dimensioni a quello che, nella mietitura a mano, viene afferrato di volta in volta dal contadino.

2. divisione della legione romana, chiamata così probabilmente per il fastello di fieno legato in cima a una pertica, usato agli inizi come insegna

3. l'ultima suddivisione del reggimento nell'esercito piemontese del sec. XVIII

4. drappello non numeroso di soldati: il lampo de' manipoli, | e l'onda dei cavalli (Manzoni).

5. piccolo gruppo di uomini che lottano per un comune ideale: un manipolo di eroi, di coraggiosi.

Nell’informazione, manipolare ha il significato di:

a. rielaborare, rimaneggiare notizie, informazioni, dati, ecc., spec. con secondi fini: manipolare notizie, fatti, manipolare un bilancio.

b. fig., influenzare le idee, le preferenze di qcn. per i propri fini: manipolare le scelte dei consumatori, degli elettori.

c. ordire, macchinare.

Inoltre si può manipolare, alterare, sofisticare il vino; manipolare impastando e modellandolo con le mani, (da qui il detto “avere le mani in pasta dappertutto”).

(2) Traduzione tratta da Carol Giambalvo, Daniel Clark, Steven Hassan and Rick Ross.

(3) Corso in Crisis Counseling, appunti, Jacksonville Theological Seminary, Florida, USA
Potrebbero interessarti ...