LA STRUTTURA DELLA RETORICA

Inviato da Stefano Agati

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Le “sette arti liberali” del mondo classico latino sono state distinte attraverso la suggestiva ripartizione avvenuta nel V secolo da parte dell’area culturale latinofila europea; una classificazione che avrà vita per alcuni secoli e che individua  fra le “arti del Quadrivio” l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia e fra le “arti del Trivio” la grammatica, la dialettica e la “retorica”.

Principalmente la retorica individua tre generi: il genere deliberativo, usato in ambito politico e amministrativo si rivolge a qualcuno che deve assumere delle decisioni per il futuro; il genere giudiziario, usato in ambito giuridico è rivolto a chi deve giudicare (il giudice nei processi), quindi prendere delle decisioni riguardo al passato; infine il genere epidittico (da epidèiknymi: presento, mostro, faccio vedere) utilizzato in ambito teatrale e artistico o estetico, le cui finalità sono soprattutto “il biasimare” o “il lodare”. Fu Anassimene di Lampsaco (380 – 320 a.C.), storico, retore greco e maestro di Alessandro Magno a proporre la tripartizione dei generi retorici, successivamente organizzata ed elevata a modello da Aristotele e riconosciuta dalla precettistica posteriore.

 

La struttura della retorica si fonda attorno alle parti “organizzative dei discorsi”, quindi ai suoi processi operativi. “Gli oratori romani avevano conosciuto la tèchnè rhetorikè dei Greci frequentandone le scuole più celebrate, specialmente l’asiana e la rodia; ma bisogna risalire al secondo decennio del I secolo (fra l’86 e l’82 a.C.) e non prima, per trovare un’opera retorica scritta in latino: la Rhetorica ad Herennium, attribuita ormai con forti ragioni a un retore di nome Cornifico, e non più a Cicerone, come aveva fatto erroneamente una tradizione tradiva” (Mortara Garavelli, 1989, 35). Quest’opera “ha assolto un compito importante: l’istituzione della nomenclatura retorica latina mediante traduzioni o calchi dal greco; minime saranno le varianti apportate dalla tradizione successiva. Notevole è pure l’aggiunta della memoria alle quattro  parti organizzative dei discorsi (inventio o ritrovamento degli argomenti; dispositio o disposizione degli stessi; elocutio o espressione; pronuntiatio o declamazione e modo di porgere)” (ibidem).

L’inventio riguarda la ricerca e la costruzione degli argomenti fondamentali per elaborare il discorso (suddiviso in fasi: l’esordio, la narrazione, l’argomentazione, topoi e topiche, l’epilogo) ed ottenere il consenso dei destinatari attraverso due possibili strade: la commozione (manipolazione dei sentimenti) o il convincimento del pubblico attraverso argomentazioni razionali. “Il convincimento si può cercare per via di prove estrinseche (cioè non costruite nell’argomentazione ma prese dall’esterno già pronte) come i pregiudizi comuni, le voci, i giuramenti, le testimonianze, gli atti; o ancora cercare di convincere per prove intrinseche, cioè realizzate all’interno dell’argomentazione, come gli esempi storici, le parabole o gli entimemi.

L’entimema è un ragionamento fondato su verosimiglianze e segni non sul vero o l’immediato” (Volli, 2003, 210-211). In molte circostanze si utilizza l’entimema al posto del sillogismo, dove l’entimema è una sorta di sillogismo mancante della premessa maggiore e della premessa minore e per questo motivo diviene più difficile contestare la validità dell’asserzione. “Si tratta dunque di un sillogismo retorico o quanto meno abbreviato. Procura persuasione, non dimostrazione. I materiali per queste premesse vengono spesso dai topoi o luoghi comuni: stereotipi, ma anche forme vuote per sviluppare il discorso. Si classificano in diversi modi: topoi grammaticali, logici, metafisici; oppure topoi dell’oratoria, del comico, della teologia, dell’immaginazione.

Ancora c’è una topica generale  (“loci generalissimi”: possibile/impossibile, reale/irreale, più/meno) e una topica particolare relativa all’argomento, organizzata in forma di quaestio, che dà forma alla specificità del discorso” (ibidem, 211). La topica quindi, come parte dell’inventio, come insieme di conoscenze generali (ma non di argomenti preconfezionati), come metodo per costruire argomentazioni persuasive. La dispositio rappresenta l’organizzazione e l’ordinamento degli elementi del discorso secondo i criteri e le forme adeguate all’oratoria. Gli aspetti fondamentali riguardano la “suddivisione del discorso” (che come precedentemente accennato dovrebbero  essere considerati già nell’inventio) in esordio, narrazione, argomentazione ed epilogo.

In secondo luogo si dovrà pensare ad “ordinare i contenuti” secondo tre possibili modelli previsti: “in ordine crescente (ossia si incomincia dagli argomenti più deboli per lasciare per ultimi quelli più forti e convincenti), in ordine decrescente (si incomincia dagli argomenti più forti e validi), in ordine omerico (o nestoriano), così chiamato dallo schieramento di battaglia fatto assumere da Nestore alle sue truppe: al centro le truppe più deboli e ai lati quelle più forti” (Ricci, 1991, 61). Infine la dispositio riguarda anche “l’ordine delle parole” con finalità soprattutto estetiche, di forma, di stile, di intensità, di climax ascendente (l’intensità della frase si evidenza alla fine) o di climax discendente (maggiore intensità è posta all’inizio della frase).

L’elocutio rappresenta la retorica delle virtù oratorie e della messa in parola attraverso la scelta dell’uditorio, dell’argomento e dello stile adeguato all’oratore. Uno degli assi portanti che domina la retorica dell’elocutio è “l’electio (cioè la scelta delle parole sull’asse paradigmatico), cui corrisponde innanzitutto la metafora” (Volli, 2003, 212). Utilizzando una metafora si potrebbe ad esempio definire “grissino” una persona magrissima. Altro asse portante della “messa in parola” è “la compositio (cioè la riunione delle parole sull’asse sintagmatico), cui corrisponde la metonimia” (ibidem). Metonimia significa “scambio di nome” e le sostituzioni possono riguardare vari ambiti dove è comunque sempre presente un rapporto di contiguità fra i termini.  

Chi studia il marketing, la complessa disciplina dei tempi moderni, è in grado di cogliere anche le suggestive “metonimie visive” offerte dalla promozione dei prodotti, dove spesso l’abile pubblicitario sa creare a livello grafico o fotografico una contiguità logica tra la confezione (packaging) e il prodotto offerto, riuscendo forse a convincere o illudere il cliente che il legume contenuto nel piccolo sarcofago di latta possieda la medesima freschezza  di quello appena raccolto in un campo. Un caso particolare di metonimia è la sineddoche, “ma con questa differenza: mentre nella metonimia la contiguità è di tipo spaziale, temporale o causale, nella sineddoche la relazione è di quantità, ossia: la parte per il tutto (“ho visto una vela in mare”); la specie per il genere (“dateci pane” per dire “dateci da mangiare”); il singolare per il plurale (“l’inglese è compassato, lo spagnolo è romantico”, per dire che gli inglesi sono compassati e gli spagnoli romantici)” (Ricci, 1991, 86). Le figure retoriche rappresentano quindi l’importante oggetto della elocutio e la loro classificazione è complessa tanto da meritare un maggiore approfondimento nel prossimo paragrafo. Per concludere il nostro esame delle “parti organizzative del discorso” desidero ricordare l’actio o l’arte di recitare il discorso (che verrà considerata nel capitolo V° dedicato alle “tecniche di comunicazione”) e la memoria (abilità per ricordare). 

 

Bibliografia

BARBERI SQUAROTTI G., GORRASI G., MELIGA W., MOLINARO C., Dizionario di Retorica e Stilistica, UTET, Torino, 2004.

BRENTANO C.A., Parlare in pubblico, De Vecchi Editore, Milano, 1988.

CAMPBELL J., Come tenere un discorso, Franco Angeli, Milano, 1997.

MORTARA GARAVELLI B., Manuale di retorica, Bompiani, Milano, 1989.

RICCI G., Corso di retorica, De Vecchi Editore, Milano, 1991

VOLLI U., Manuale di semiotica, Editori Laterza, Roma, Bari, 2003

SCHOPENHAUER A. (1830-1831), L’arte di ottenere ragione, a cura di Franco Volpi, Adelphi Edizioni, Milano, 1991

 

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