Desiderare significa…
In foto Lo spettacolare pozzo dei desideri di Yellowstone che rischia di sparire per sempre
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ll desiderio, non è una "cosa" determinata una volta per tutte, ma uno stato di tensione che caratterizza l’esistenza umana.
L’affermazione è di Alberto Oliverio (cfr. Alberto Oliverio, Prometeo, giugno ’18, pagg. 18-25) e dal suo argomentare cogliamo spunti e suggerimenti per definire non che cosa sia il desiderio, bensì quanto complesso sia il fenomeno che lo crea e lo nutre in ciascuno di noi in un modo che, pur simile a quanto tutti conoscono, è tuttavia assolutamente personale.
È nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto, e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo. (Aristotele, La politica)
Per ogni desiderio ci si deve porre questa domanda: che cosa accadrà se il desiderio sarà esaudito e che cosa se non lo sarà? (Epicuro)
Platone, nella Repubblica, parla di una bestia multiforme e dalle molte teste, (policefala) e lo condanna come tipico della parte più bassa dell’anima e degli strati più spregevoli della comunità.
Per Spinoza, invece, è l’essenza stessa dell’uomo. (ibidem)
Il desiderio non è soltanto una pulsione legata alla mancanza di un oggetto o a un bisogno primario. Il desiderio è condizionato, plasmato, indotto dalla cultura in cui siamo immersi, dalla pubblicità centrata su modelli, ruoli, oggetti ideali, da forme di condizionamento, seduzione e insoddisfazione che vengono create fin dagli anni della prima infanzia. Il desiderio è al centro dei pensieri e delle azioni umane, ma la sua definizione è tutt’altro che facile.
La difficoltà di definire il desiderio deriva sia dalle sue complesse relazioni con i bisogni e le pulsioni, sia dal fatto che si può caratterizzare in aspetti paradossali, una sorta di repulsione che attrae.
ll desiderio ha aspetti staccettati, quello dell' amore, della curiosità, della speranza, e ha la dimensione dello slancio dal flusso incessante.
Il verbo latino desiderare assomma il de privativo e sidera, gli astri. Nella sua forma primigenia il significato è stato dunque quello di smettere di contemplare le stelle, ovviamente a scopo augurale, per poi significare prendere atto dell’assenza, associato a una sensazione di rimpianto.
In sostanza, all’idea originale di rimpiangere l'assenza è subentrata una connotazione più positiva, la prospettiva di cercare di ottenere, sperare di, già evidente nella lingua latina, di cui fanno parte immagini astrali come lunam petere, volere la luna.
In questo senso il verbo desiderare, come indica il De Mauro, entra a far parte della nostra lingua verso la fine del XIII secolo per riferirsi a un coacervo di stati o situazioni che vanno dall’appetito al bisogno, dalla fame all'inclinazione, dalle passioní alle tentazioni, a seconda che ci si muova in ambiti laici o religiosi.
Non possiamo nasconderci che alla base del desiderio, di ogni desiderio, è il vuoto ontologico, quel vuoto che caratterizza la condizione umana, il nostro rapporto con il tempo, con lo spazio, con l'altro. Senza questo vuoto non sarebbe nemmeno possibile ipotizzare l'esistenza, la dimensione dell'lo. In tale prospettiva, il desiderio non rappresenta una connotazione negativa dell’essere umano, un aspetto compulsivo del suo essere: è il desiderio caratterizza la nostra umanità, che fa l’uomo. Questa lettura del desiderio è anche al centro del pensiero di Jacques Lacan, che indica come il desiderio sia ciò che ha origine nel momento in cui ci si rende conto che la domanda è ben superiore al soddisfacimento del bisogno e che esiste ancora e sempre qualcosa da desiderare.
In tale prospettiva, il desiderio è vero motore dell' essere, ciò che spinge ognuno di noi a realizzare ciò che riteniamo possa essere causa di benessere, di gioia: è questa caratteristica che dovrebbe permettere di riconoscere o ipotizzare l'esistenza di un bene verso cui tendere. Il desiderio nasce e si sviluppa in quanto si intravede la possibilità di raggiungere, per il tramite di un oggetto specifico, qualcosa d'altro: in questo senso il desiderio non è separabile dalle attività che esso genera, il che, ancora una volta, sottolinea il fatto che le motivazioni del desiderio non sono mai del tutto evidenti, consapevoli.
Noi non riusciamo a cambiare le cose secondo il nostro desiderio, ma gradualmente il nostro desiderio cambia, commenta Marcel Proust nella Ricerca del tempo perduto. E in effetti, una delle caratteristiche del desiderio è che evolve nel tempo, come d'altronde l'lo: durante la propria esistenza il soggetto cerca di costruire uno spazio che delinei il suo lo, tenta di definire le proprie particolarità e al tempo stesso vorrebbe assomigliare ad altri, nel desiderio di realizzarsi, di lasciare una traccia.
(cfr. Alberto Oliverio, Prometeo, giugno ’18, pagg. 18-25).
Da queste brevi anticipazioni ci risulta ancor più inquietante l’innegabile relazione, nella nostra evoluta società, tra il proliferare di desideri indotti (cfr. Packard, The Hidden Persuaders, 1957, I persuasori occulti, Einaudi, Torino, 1958) e l’assenza di desideri vòlti ad autentico Bene Essere, personale e sociale. E non sarà mai troppo presto per riflettere sulle nostre –di noi adulti– responsabilità di disimpegno, superficialità, ostinazione a non voler vedere e a non agire, di fronte all’assenza nelle giovani generazioni di desideri che rispondano ai bisogni del proprio sé.
Imparare a desiderare si può, cominciando dal voler conoscere il nostro sé, almeno un po’.
Cordialissimamente,
Giancarla Mandozzi
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