Scuole chiuse. È tempo di progettazione


Scuole chiuse. È tempo di progettazione

 

Scuole chiuse, esami conclusi in ogni ordine di scuola: inizia il tempo della…progettazione, anche se è comune convinzione che non appena le incombenze burocratiche concludono l’anno scolastico comincino le vacanze, quei millantati tre mesi di vacanza per i docenti e per gli alunni.

Basterebbe prendere visione del calendario per rendersi conto che la realtà è tutt’altra. È altra giuridicamente, visto che anche i docenti, come ogni lavoratore, hanno diritto ad un solo mese di ferie, il mese di agosto (che non può essere modificato secondo le personali esigenze, per ovvie ragioni di funzionamento delle attività scolastiche); a quei trentasei giorni effettivi feriali, per ogni docente si aggiungono sei giorni di ferie fruibili durante l’anno scolastico secondo determinate condizioni e  regole.

 

Il mese di giugno è quasi completamente occupato dagli ultimi giorni di lezione per ogni ordine e grado della scuola e, in successione, dagli esami del primo ciclo e dall’inizio di quelli del secondo ciclo, gli esami di stato che, da qualche anno anticipati a metà giugno (tradizionalmente iniziavano i primi di luglio)non si concludono prima della metà di luglio.  E le maestre e i maestri della scuola dell’infanzia, che non sono occupati in esami, curano i centri estivi e prolungano la frequenza dei bimbi fino a fine giugno.

Perché precisare? Per correttezza e non certo nell’illusione di scalfire la diffusa e pregiudiziale convinzione che il docente goda di lunghe vacanze e un lavoro che lo occupa per non più di diciotto ore settimanali, una convinzione da spettatore esterno che evapora e scompare non appena … si riesca ad entrare nella scuola come docente (ormai opportunità rara, nonostante un concorso vinto).

Stante la scarsa considerazione contestuale, ciò che mi affascina ancora e che mi piace condividere è quanto meraviglioso e continuo sia il lavoro del docente, e quanto impegno richieda in ragione di difficoltà a volte insormontabili e,come accade per ogni lavoro di cui solo gli addetti conoscono luci e ombre, inimmaginabili e tuttavia fondanti e qualificanti.

Appena la scuola si chiude e si conclude un anno di esperienze, è dunque il momento dei bilanci  e della progettazione per ogni singolo docente. Non sto riferendomi alle pur necessarie e richieste relazioni e valutazioni di fine anno, bensì a quell’intenso sfibrante lavorio che ciascun docente conduce con se stesso, a quel dialogo interno che gli riporta alla mente ogni momento di difficoltà, ogni scelta inopportuna per tempi o per qualità, ogni provvedimento assunto individualmente e/o collegialmente non appropriato sul quale si sarebbe dovuto lavorare di più e meglio, ogni dettaglio positivo, ogni momento di impagabile gratificazione quasi sempre inaspettata.

Studenti e genitori,  nel ruolo che sentono proprio di antagonisti (di ogni docente e dell’intero consiglio di classe), mai potranno credere che ogni decisione che a loro appare fatalmente ingiusta sia per molti docenti momento estramemente delicato e difficile professionalmente, umanamente, emozionalmente. Chi mai tra i genitori e gli studenti, ad esempio, può supporre che dopo gli scrutini,  non di rado, il docente trascorra notti insonni a ripensare che cosa e quanto è stato deciso, a sussultare per possibili errori di eccessiva clemenza o severità, a immaginare il prossimo futuro di ogni alunno e a quanto sia stato davvero compiuto per aiutarlo a crescere in armonia. È esattamente in queste interiorizzazioni che si sostanzia la complessità della professione di docente ed è questo vissuto di dubbi, interrogativi e desiderio di efficacia nella relazione educativa che motiva e dà senso alla continua progettualità di intervento.

 Questo è dunque il momento più fertile per consolidare ipotesi di variazione, propositi, scelte nuove, provvedimenti migliorativi, una diversa conduzione della relazione docente/alunni e alunni/alunni in aula, a partire dal primo giorno del prossimo anno scolastico. È questo il momento in cui le esperienze appena concluse, con i tanti interrogativi e sensazioni ruvide e incresciose possono portare il loro contributo di apprendimento, qualificando la professionalità di ogni docente, competenza assai composita di conoscenze, capacità, abilità, saper fare, saper essere, stile di insegnamento, motivazioni interne, convinzioni e voglia di mettersi in gioco.

A scuola chiusa dunque ferve una complessiva progettazione di correttivi globali da mettere in atto fin dalla prima prossima lezione. Non è ancora la scansione della programmazione dei contenuti, ma sì, ad esempio un diverso uso dei materiali di studio, cartacei e on line, un più efficace criterio di lavoro e recupero tra pari, un mutato rapporto tra attività in aula e domestiche, un ripensare a modo proprio la scuola capovolta, ecc, un attivare vivace relazione tra scuola e territorio (una insistita raccomandazione del MIUR troppo raramente accolta e messa in atto). A questo proposito, è interessante un articolo della rivisra Loesher, La ricerca, n. 15, dicembre 2018, pag. 50, scritto da Francesco Vietti: L’antropologo entra in classe: gli studenti escono. Trovo che sia una indiscutibile conferma che ogni iniziativa didattica che meriti questo nome necessita di una solida motivazione, di ben chiari obiettivi e di una lunga progettazione corredata di ipotesi per prevenire o superare ostacoli e interferenze. Nulla, insomma, va lasciato alll’impovvisazione e all’entusiasmo del momento, proprio perché ogni alunno venga guidato a sentirsi coinvolto e partecipe.

Dall’articolo, leggiamo qualche argomentazione:

“Una via esterna verso la saggezza, per giungere a noi, passa attraverso gli Altri. […]La scuola come luogo di formazione umana è orientata a rendere il soggetto capace di dare senso alla sua vita; l’insegnante è colui che facilita le opportunità per lo studente di interagire con una molteplicità di interlocutori e contesti, allargando così la propria esperienza e imparando a ripensare se stesso e gli altri, il mondo, da diversi punti di vista [si veda: Piero Bertolini, Pedagogia fenomenologica, Firenze, 2001Georg Simmel, L’educazione in quanto vita]. Scrivono Paola Mottana e Giuseppe Campagnoli nel passo di apertura de La città educante: <Immaginiamo che non esistano più edifici chiusi e muri dove i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze restino confinati per il tempo della loro educazione ma che questi, come certi giochi di carta, improvvisamente pieghino le loro pareti vero l’esterno, per lasciare che essi escano fuori, si mescolino al mondo, sciamino per le strade. Occorre che essi possano tornare ai luoghi da amare, alla città anzitutto, che è un insieme di luoghi per apprendere, cercare, errare (l’errore!) osservare, fare e conservare per condividere, riconoscersi e riconoscere> (pag.9). Un radicale cambiamento della scuola dunque, che innescherebbe inevitabilmente una trasformazione della città, del modo di immaginare e costruire gli spazi pubblici, di renderli sicuri, accoglienti, abitabili”.

È questa la strada per vivere in autenticità, ciascuno e tutti, adulti e giovani, educatori e alunni, l’inclusione. Se non è progetto questo per cui spendere le nostre energie di educatori, quale altro mai potrà esserlo? È questo il primo insistente centro di attenzione appena si chiudono le scuole, per trovarci carichi e pronti al nuovo inizio. Auguriamoci di condurlo con entusiasmo.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

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