L’Essenza non ha un nome. Esistere è l’unico e definitivo atto che la fonda e che la giustifica a se stessa. L’Essenza è ciò che esiste da sempre, pertanto è già trascesa dal tempo. E’ stata, è e sarà. È pura entità disincarnata, costretta su questa densa dimensione a co-abitare con i registri e le faccende di un mondo che non le appartiene, e soprattutto a cui non appartiene. Ella prepara durante tutto questo tempo il suo ritorno a casa. Nell’espressione “il mio nome è nessuno” assistiamo ad una crisi concettuale che introduce forse con voluta ironia l’ambivalenza dell’apparente incongruenza in termini.
Dal momento che qualcosa è, ogni qualità o precipitato di qualsiasi sovrastruttura ne risulta soltanto un superfluo artificio che si addensa nell’orizzonte dell’apparente. È cioè sufficiente dichiarare “Io Sono”, perché non vi sia bisogno di nessun altro involucro ad ammantare la totalità essenziale che ci fonda. Far seguitare un ruolo ecc.
Eppure, comunemente, le comparse che si appalesano oltre il vetro invisibile che ci divide non ti chiedono mai chi sei. A loro interessa soprattutto cosa fai, quanto produci, quanto sei integrato nel mondo, quanto sei adattato alle generali abitudini e credenze indotte. Loro testano il livello di accettazione sociale che esprimi attraverso i comuni status symbol e mediante i canoni di appartenenza alla loro cornice. Ti annusano se sei uno di loro, si accertano che tu non sia insomma un corpo estraneo, perché come fiutano l’inconciliabilità con le loro dottrine scatta in loro un immediato meccanismo di difesa per difendersi dalla instabilità e conservare comodamente tutti i loro drammi, le deleterie condotte e le dissonanze cognitive. E si conosce oramai da tempo immemore quali siano tali automatismi reattivi che non possono fare a meno di azionare e che non possono controllare, poiché risiedono nel loro software interno e nella loro programmazione di enti semi-artificiali. Osservarne la ricorrenza uniforme, rende obiettivamente l’idea di come fondamentalmente si tratti di una entità massificata di indistinti. Ovvero, tutti coloro che esternano le medesime reazioni di fronte a una manifestazione di diversità, forniscono la prova del loro non essere, e del fatto di rappresentare una copia di un livello di realtà e di tempo su cui riverberano per rafforzare nell’Essenza cosciente la volontà e la forza di non assomigliare a tali creazioni sub-arcontiche. Ovvero di ricordare a se stessa che la sua provenienza è invece la Fonte Originaria. La Coscienza sa da dove viene, e non deve dimostrarlo a nessuno. Chi nega la provenienza di una Essenza cosciente commette disonore per se stesso, e se insiste che non vi è nessuna Sorgente creatrice è perché egli non può saperlo, perché non viene da lì. Quindi ha ragione soltanto per se stesso. Chi sostiene che dopo questa vita c’è solo il buio, è evidente che sta parlando di ciò che vale per sé.
Ovviamente loro non sono coscienti di tutto questo e della loro funzione. In generale non sono coscienti di quasi nulla. Sono illusioni programmate per sollecitarci a ricordare e condurre la nostra missione. Spiegare loro ciò che non possono intendere significa, oltre che un inutile spreco di tempo, consegnare il sacro a menti abiette e sfatte di circense mondanità. Non a caso, è scritto “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi” (dal Vangelo secondo Matteo).
Difatti, come di consueto, le menti limitate rigettano con violenza ciò che non comprendono. Non si impegnano ad integrarlo su di un piano di lettura “laterale”, ma se possono, anzi, dirigono tutto il loro disturbo all’autore che reca loro il dolore della distruzione del loro farsesco castello di certezze indottrinate. Sia i contenuti che lo stesso divulgatore vengono raggiunti dalla sozzeria di menti imbrigliate su un piano orizzontale, cioè ad incamerare nozioni senza investirle nella crescita di uno Spirito (che molto spesso infatti è assente). Sono coloro che Gibran appella come asini carichi di libri: in genere cultori della logica e della ragione illuminata, sacerdoti e sapienti accademici che esaltano un’intelligenza priva di etica e menomata di quelle stesse competenze di sintesi deduttiva che paradossalmente loro stessi millantano.
E’ la pretesa assurda di ricondurre tutto a spiegazioni di fisica lineare: una mistificazione scientista che è invero causa e condizione che favorisce gli inganni e le illusioni della mente, il cui sostantivo è difatti anche un verbo (la mente…. mente!) Residuo cartesiano che poco a che fare con la scienza e molto invece con la paura umana di scoprire e scrutare nell’abisso dell’ignoto e dell’imponderabile. Questa è la vera caratteristica da cui si riconosce la specie umana. Ella fonda tutta la sua civiltà su questo orrore. E su questo orrore vi prospera, organizzando quanto di più deleterio si conosca per rifuggire da tutto ciò che non è domabile e controllabile. La mente proietta e realizza ciò che pensiamo e crediamo, è vero, facendo cioè coincidere il livello del pensiero e del sogno con quello della illusione della materia, ovvero proiettando al di fuori i recessi di tutto ciò che si immagina e che ci si aspetta. Non vi è infatti distinzione, all’interno di essa, fra accadimento reale ed immaginazione. La perdita anche non fisica, nel luogo della mente viene registrata come un vero e proprio lutto, giusto per fare un esempio, per non parlare poi dei processi identificativi che permettono di partecipare di fronte a una finzione scenica di cui si è consapevoli: film, romanzi, rappresentazioni teatrali, sono tutte costruzioni artificiose che legittimano la mente a vivere e nutrirsi quotidianamente di bugie, e ad attivare ruoli e copioni in relazione ad esse. IL ruolo di coniuge, di dipendente, di amico, di partner, di componente di una band musicale, sono addirittura confuse con l’Essenza stessa che ne è la dimensione originaria. In pratica, il concetto di identità è descritto sulla base delle sole caratteristiche apparenti, come se un individuo fosse il vestito che indossa. Non a caso tutti accettano di essere riconosciuti come persone, la cui impronta etimologica riconduce propriamente alla maschera, alla finzione, al simulacro che ci protegge dalla verità dei rapporti e dalla nudità verso noi stessi.
L’ispirazione pirandelliana dell’uno, nessuno e centomila la ritroviamo nel cult western Il mio nome è Nessuno, eclatante e suggestivo espediente di odissea memoria che rivela un’identità giunta al suo grado di annullamento, quindi al ricongiungimento originario con la sua Fonte, e che forse per questo cerca di risvegliare alla gloria chi invece la sua struttura di personalità ce l’ha ben salda e piantata, ma vive nell’inganno di identificarsi con le sue moltitudini: nello specifico il mucchio selvaggio, elementi interpretabili come le parti di un falso Sé contaminato ed ingannato dai cascami di tutti gli inganni orditi da un mondo che necessita di essere vinto e superato, partendo anzitutto dalla liberazione di sé, cioè dalla distruzione di quell’assortito carosello di identità fittizie e di sub-personalità che pregiudicano l nostro autentico esprimersi, e di fatto interferiscono con la nostra libera manifestazione cosciente.
Nessuno (la condizione esistenziale del vuoto rigenerante) spinge Jack Beauregard a fare i conti con queste parti di sé, a ritrovare lo sguardo capace di contemplare il bello (Beauregard), come quello di unTommaso riportato alla vista (Tom Sawyer). Jack (Giovanni) viene dunque iniziato ad un nuovo battesimo. Viene guidato a ritrovarsi nell’unico luogo possibile in cui si può essere, consapevoli di essere, ovvero lo stato pieno di Coscienza. Esiste un solo posto possibile dove si E’, tutti gli altri sono luoghi dell’apparenza, parallele o co-tangenti linee di tempo dove si manifestano i riflessi e le copie dell’originale.
Nessuno ci conduce a capire questo quando entra nella sala degli specchi, costringendo il suo nemico a sparare contro le immagini riflesse, senza colpire mai l’originale, e subendone per giunta lo scherno. La frase è quanto mai edificante: “Di Nessuno ce n'è tanti, son riflessi tutti quanti, ma uno solo vero c'è, indovina un pò qual è”.
Impeccabile ed esaustiva come non mai. Difatti, quando si E’, non sono necessarie spiegazioni. Chi vede lo stato dell’Essere infatti non rivolge domande, perché contempla la presenza senza rivolgere futili curiosità alla storia, al passato o ad altri frangenti di tempo che riverberano nei luoghi delle immagini e delle ombre. L’Essere è fuori dalla caverna platonica. Alla domanda “chi siamo”, non è necessario aggiungere fardelli di illusioni preconfezionate che ci delineano in un ruolo, quindi sempre nella macina di un falso Sé. Quando ci domandano o ci domandiamo chi siamo, la risposta è più che semplice: “Io Sono Colui che sono”, la risposta di chi pre-esiste e resiste al tempo, di chi ha vinto il mondo e si è ricongiunto all’essenza originaria del Tutto.
L’Essere è tautologico e rimanda a se stesso. Il cerchio, infatti, si chiude con gli estremi: solo chi si fa Nessuno può ritornare ad abitare nel Tutto.
IL mediocre livello di acculturamento generale ha reso però complesso ciò che fondamentalmente è semplice, anche se invero esperibile soltanto da chi ha i requisiti per intraprenderne il percorso.
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