“DOTTORE, MI ASCOLTI!…” Il counseling sanitario per gli operatori della salute

Inviato da Nuccio Salis

counselor medico

In linea con le direttive e le indicazioni ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che a partire dal 2001 ha prodotto il nuovo documento ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), gli approcci e gli orientamenti contemporanei nel trattamento delle disfunzioni devono tenere conto anche delle aree funzionali residue e delle isole di competenza e abilità che caratterizzano ciascun individuo, perfino colui che risulta legato ai limiti di una espressione di sé secondo una lettura in chiave clinico-patologica. Tale principio, congiunto ad un’attenzione sempre maggiore sulla complessità della costellazione “persona”, e sul rapporto della stessa con il suo ambiente, quindi secondo un’ottica olistica e sistemica, ha sviluppato una domanda di formazione supplementare presso gli operatori di aiuto in ambito strettamente clinico-sanitario, riservando verso gli stessi il compito di far fronte ad una cultura medica non più esclusivamente “medicalizzante”, ma attenta anche alla specificità della storia e dei bisogni di ciascuna persona.

 

Il counseling, con la sua capacità eclettica di confrontarsi e misurarsi negli ambiti più disparati del servizio alla persona, sta offrendo un notevole contributo su un piano operativo e strumentale, fornendo ai lavoratori sanitari le risorse concrete da attuare durante la loro attività. Il corollario delle strategie messe a disposizione dal counseling, in tale ambito specifico necessita ovviamente di importanti accorgimenti e riflessioni in merito.

L’eccezionalità di un intervento di counseling in ambito sanitario consiste nel dover consegnare prescrizioni e indicazioni specifiche e congruenti in ragione di comportamenti appropriati verso i quali si orienta il cliente. In questa precisa circostanza, la persona che riceve l’informazione viene anche sollecitata ad assumere un atteggiamento di cura verso di sé che coincide con i percorsi più accreditati a favore della propria salute.

Il professionista si trova a questo punto di fronte a precise e immancabili responsabilità: in prima battuta egli deve informare tenendo conto di entrambe le componenti principali della comunicazione: deve cioè tenere conto del contenuto e curare la dinamica complessiva del processo. In altre parole ha il compito anzitutto di provvedere a rimettere al cliente informazioni corrette sul suo stato di salute, allegandone le necessarie istruzioni sui comportamenti da attuare come contromisure atte a contrastare la degenerazione della patologia e laddove è possibile prodigarsi anche al recupero (parziale o completo) del proprio stato iniziale e precedente alla comparsa del malessere. Congiuntamente a questo passaggio, descrive e spiega al cliente/paziente i vantaggi di accettare un nuovo stile di vita ed un percorso terapeutico da cui far emergere un rinnovato rapporto con se stesso. Il medico avrà il dovere di esprimersi con la massima franchezza, e pertanto completerà l’informazione anche esplicitando, laddove vi fosse, l’eventuale presenza anche di possibili costi ed effetti collaterali che potranno verificarsi durante il trattamento, e coinvolgendo la persona a riflettere in modalità sistemica, quindi su come potrà gestire anche le ricadute che potrà osservare nei contesti della sua vita sociale e relazionale. Lo specialista competente anche nell’ambito del counseling dovrà misurare insieme al suo paziente il livello di preparazione del suo paziente, testando quanto si sente effettivamente pronto ad effettuare i cambiamenti previsti, quali timori, dubbi e aspettative gli occupano la mente, e cosa si potrebbe riuscire a fare insieme per raggiungere quella giusta dose di coraggio che aiuta a passare dagli auspici all’azione concreta.

In questa speciale dimensione di incontro fra specialista in campo medico con abilità di counseling e paziente, è rafforzata la caratteristica asimmetrica del rapporto fra le parti, in termini di potere decisionale, controllo e verifica dei comportamenti richiesti. Il professionista in campo medico non può perdere difatti la sua configurazione deontologica, sollevandosi dal non dare consigli o sciogliere dubbi sostenendo le proprie convinzioni, perché in questo caso ha il dovere di farlo, non potendo astrarsi dall’esercizio di un ruolo che rimane di natura prescrittiva, e non può permettersi di agire in modo delegante, lasciando al cliente l’ampia discrezionalità di una libera scelta che potrebbe costargli la vita. In tal caso, lasciar fare sarebbe irresponsabile, ed il rispetto fino in fondo di ciò che intende fare il cliente/paziente si rivelerebbe un’ipotesi decisamente sconsigliata e non percorribile.

Questo non significa che egli dovrà considerare sempre irragionevoli e imprudenti le decisioni del paziente, ma dovrà pur aiutarlo ad essere completamente informato, dal momento che si può scegliere responsabilmente soltanto quando si impugnano conoscenze complete, serie e rigorose circa la propria condizione e le eventuali strategie terapeutiche atte ad affrontarla.

Stare dentro la cornice concettuale e valoriale del counseling significa di fatto adottarne le tecniche conseguenti, pertanto la collocazione “up” del medico non sarà una posizione rigida e inamovibile, quanto piuttosto un riferimento sicuro, autorevole ed esperto che farà da guida proprio al capitale di idee, di conoscenze, di esperienze e di convinzioni di cui il paziente è portatore; quindi la persona viene sempre messa al centro senza minimizzare e irridere i suoi orientamenti, anzi dovranno essere accolti, discussi, e soprattutto messi in relazioni all’area dei bisogni e della domanda interna del paziente, perché narrandosi egli esplicita anche le sue emozioni, e quindi tutto ciò è trasformato in una ghiotta occasione di ricerca ed esplorazione di sé, associando ogni possibile opzione percorribile al soddisfacimento delle aspettative del paziente, in linea con la sua idea di vita, di mondo, di rapporto con sé stesso e con gli altri.

In pratica, le previsioni prognostiche dovranno essere elaborate e condivise col paziente in un clima di massimo coinvolgimento, in cui la malattia è vista ben oltre come la descrizione nosografica che ne da un manuale delle patologie, ed è inserita in un progetto e in un percorso da cui si evince l’importanza dell’approccio che il paziente ha con la stessa, sviluppando e negoziando la visione di mondo che egli possiede già e come potrà modificarsi in funzione della sua nuova condizione che mette in discussione gli equilibri già consolidati ed acquisiti.

L’atteggiamento delegante, peraltro, sarebbe rischioso anche per via del fatto che ogni paziente che si rivolge ad un medico, si aspetta risposte e pareri autorevoli, confidando nella competenza del professionista, che non può offrire un contenitore sicuro se si mostrerà vago, demandante e superficiale.

Diversi profili professionali nell’ambito delle professioni strettamente sanitarie hanno da tempo compreso che l’attività di curing va congiunta con quella di caring, e che molti errori commessi nei confronti del paziente sono dovuti ad una mancanza di congruenza comunicativa con effetti disgreganti sulla qualità della relazione in termini di alleanza terapeutica, fra medico e paziente. Per questa ragione si è verificata nel tempo una crescente consapevolezza sull’utilità di aumentare il livello di compliance nel paziente e renderlo co-responsabile del suo trattamento.

Diversi operatori nell’ambito della salute hanno compreso ormai da tempo come la consegna di informazioni al paziente costituisca a tutti gli effetti un processo relazionale con ricadute sul sistema dei significati da parte di chi riceve le informazioni stesse. Diventa quindi necessario curare le dinamiche di tale meccanismo comunicativo, imparando a gestire l’intero repertorio espressivo in modo da favorire una partnership più attenta, responsabile e disposta all’ascolto e alla collaborazione. Tale competenza rientra in pieno fra le abilità operative del lavoratore sanitario, che assume la consapevolezza di investire soprattutto sulla valenza comunicativa complessiva durante il suo rapportarsi con il malato. Si costruisce un modello empatico che sfrutta l’efficacia comunicativa per tutelare il paziente e promuovere anche gli interessi della propria attività, la quale prevede che quest’ultimo si adegui alla procedura prevista dei protocolli terapeutici.

Al medico, dunque, spetterà il delicato compito di selezionare cautamente le informazioni da inviare al suo paziente, scegliendo su che cosa metterlo al corrente e cosa invece ritardare o posticipare nella condivisione, non per omettere ciò che il paziente ha il diritto di conoscere, ma con il solo presupposto di preparare gradualmente lo stesso all’eventuale impatto emotivo da informazioni magari ancora da accertare ed approfondire in modo ulteriore. Siamo praticamente di fronte a un professionista che ha scelto anche di saper attendere, di non arrivare trafelato a conclusioni magari ancora troppo premature o generalizzate o ancora aspecifiche per quella tipologia di paziente.

Diventa quindi centrale l’attenzione verso la persona, e non soltanto sulla disfunzione distaccata dal vissuto del soggetto che ne è portatore.

Tale approccio, oltre a migliorare la qualità del servizio e ad accrescere la valenza professionale dell’operatore di aiuto nell’area della salute, va nella direzione di soddisfare l’esigenza crescente da parte dei pazienti di acquisire informazioni sempre più complete e veritiere, che aprano anche ad eventuali percorsi di guarigione alternativi, escludendo al tempo stesso vane ed illusorie speranze, e riconducendo tutto sempre dentro un territorio realistico di confronto e di ricerca.

Inoltre, se il caregiver sanitario assumesse anche un’ottica più allargata anche al contesto di vita del suo paziente, si potrebbe rendere conto che le dinamiche di risignificazione in seguito alla malattia, coinvolgono la globale rete dei rapporti del paziente medesimo, il quale si ritrova a dover riorganizzare la natura delle relazioni famigliari e del suo ruolo verso la comunità, specie laddove una malattia si presenti nella sua forza invalidante, obbligando cioè il soggetto a riconfigurarsi dentro spazi di relazione in cui egli svolgerà il ruolo di chi dipende dall’altro, in quanto portatore di una domanda di supporto e sostegno.

L’effetto di ricevere una diagnosi ed una prognosi non del tutto felice, va dunque considerato nel suo impatto a livello emozionale, e nell’energia che richiede di impiegare per ricostituirsi una nuova identità, nel profilarsi un inedito orizzonte di vita e di quotidianità. È in tale percorso che il paziente necessita di una guida che prenda in considerazione soprattutto questo aspetto, affiancando lo stesso nella sua condizione e percezione di massima vulnerabilità, aiutandolo ad affrontare e superare la crisi. Si metterà infatti in atto una vera e propria rivoluzione interiore il cui primo aspetto da considerare è il naturale sentimento di abbandono delle proprie radici, di perdita del senso di appartenenza e di tutti quei connotati attraverso cui si sente un legame con le proprie origini e le proprie abitudini consolidate. È noto come nell’essere umano, questa esperienza sia paragonabile alla morte e al lutto, e come tutto ciò metta a dura prova le capacità adattive e trasformative di ciascun individuo.

Anche questo passaggio, però, dovrà essere accolto dentro la struttura narrativa del paziente, come importante capitolo della sua storia e del suo viaggio esistenziale, ed è così che andrà riportato e condotto dentro l’esperienza e il vissuto del paziente, affinché perfino il suo stato di impotenza percepita, profonda angoscia e sofferenza, raccontino comunque del senso di sé, e guadagnino comunque valore e dignità anche agli occhi della stessa persona che è attraversata da una fase così difficile e complicata della sua vita.

Il nuovo compito del medico coinciderà quindi anche con la capacità di accogliere il linguaggio del paziente, e di associarlo con il suo frame concettuale, interpretandone correttamente il modo attraverso cui quest’ultimo costruisce il suo senso di mondo. Aderendo alla mappa rappresentativa verbale del paziente, è possibile restituirne i contenuti in modalità attiva, adottando quella strategia nota anche come verbal tracking, in cui avviene propriamente il rispecchiamento dei linguaggi dell’altro, che sono anche le note dichiarative della sua essenza, e di come egli descrive e re-interpreta i significati delle cose. La raccolta della narrazione del cliente/paziente impegna il medico a comporre un quadro coeso e uniforme, lasciando aperti possibili scenari di trasformazione attiva, usando se necessario anche domande aperte e circolari, che aiutano ad approfondire, ricercare ed esplorare significati, far emergere preoccupazioni, aspettative, dubbi o pregiudizi.

Soltanto dopo aver co-costruito insieme al paziente un tragitto esperienziale da cui scaturire un rapporto funzionale di reciproca fiducia fra professionista e cliente, il lavoratore sanitario sarà sufficientemente sicuro per avanzare la prescrizione del programma terapeutico, da cui indicherà nello specifico il percorso da svolgersi, includendo tempi e modalità di svolgimento e somministrazione dello stesso.

In pratica, la capacità di sollecitare nell’altro l’aspetto funzionale del Bambino Adattato (come si direbbe in analisi transazionale), è anche responsabilità dello specialista, che avrà lavorato appositamente per ottenere dal paziente l’accettazione dell’aiuto, nonché la capacità autonoma da parte dello stesso di comprendere e riconoscere i propri limiti e le proprie necessità.

Egli agisce dunque dentro un modello contestuale allargato, secondo una prospettiva ecologica, quindi considerando il paziente come elemento attivo (e non solo reattivo) della rete dentro la quale fa parte.

È facile concludere come tutti questi aspetti mettano in discussione soprattutto la visione più moderna e tradizionale della funzione di cura sanitaria. La post-modernità ha però riaperto e riammesso i bisogni più profondi della persona, anche nei contesti della cura, elevando la richiesta di una crescente riqualificazione formativa del ruolo e del servizio erogato dagli operatori della salute.

L’auspicio è quindi che tali competenze possano essere considerate sempre più necessarie, da parte anche degli stessi operatori preposti, con il fine di migliorare la qualità di vita di coloro che a causa di una malattia si preparano ad affrontare cambiamenti decisamente significativi e radicali.

 

dott. Nuccio Salis

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