Conoscere è nucleo fondante la professione umana, senza conoscenza l'uomo oggi non sarebbe. Conoscenza tecnica, conoscenza istintuale, conoscenza espierenziale...
Conoscere se stessi, conoscere gli altri, o cercare di farlo; essere consapevoli di sé, degli altri, di quanto avviene, del proprio sentire…
Una conoscenza che è risorsa, che il counseling può sostenere.
Ho pensato di provare a scrivere che cos’è un incontro di counseling. Dare l’idea di come si può svolgere una seduta affinché “chi vorrebbe ma non sa”, “chi vorrebbe ma, preferisce vedere prima”. Possa farsi un’idea.
Nel counseling entrano in gioco: la relazione umana, la comunicazione e la sensibilità.
Anzi tutto il counseling è un incontro tra umane esperienze.
Un incontro tra due persone: due sconosciuti che per la prima volta si trovano a condividere alcuni aspetti di sé. Per uno dei due, questi aspetti potranno essere il motivo che l’ha spinto a cercare aiuto; per l’altro saranno elementi personali, qualità, competenze che la professione ha portato a sviluppare.
Ma, resta un incontro tra persone: due universi, due realtà, due sensibilità.
Durante questo incontro si utilizzano i canali comunicativi per eccellenza: la parola - per raccontare il disagio, la difficoltà, la motivazione all’incontro; l’ascolto – per sentire, per esserci, per comprendere.
Il cliente prova a spiegare al counselor perché si trova lì, il counselor ascolta.
Di per sé l’operazione “qualcuno parla - qualcuno ascolta” non comporta nulla di che, se non fosse che, questa operazione apre a numerose difficoltà. Il messaggio può essere frainteso, le parole non sono quelle giuste, l’interlocutore non è presente a quanto stiamo dicendo.
Ecco il counseling è un modo per trovare l’attenzione e l’ascolto di cui si ha bisogno.
Un ascolto in cui non è solo il senso di quello che sto dicendo che ha importanza ma, è quello che questo valore rappresenta per me che viene accolto. Per quello che è, per quello che per me significa.
Ascoltare non è facile, soprattutto quando quello che viene detto in qualche modo non ci interessa, ci disturba…o ci richiama qualcosa di personale.
Con un counselor la differenza è che tutto quanto vogliamo condividere, al counselor interessa perché fa parte di noi, di quel pezzo di strada che condividiamo.
Il counselor non solo cerca di ascoltare le parole ma anche quello che, forse, c’è dietro queste parole, dietro le sensazioni che suscitano. Assieme al cliente, secondo i suoi tempi, esplora cosa per lui significano, cosa gli fanno sentire, quali strade riesce a intravedere.
E’ un tipo di ascolto differente.
Pone in primo piano quello che le parole a volte non dicono ma significano e saperle ascoltarle è sostanziale.
Il frainteso è un aspetto, molto comune, di quella salutare chiacchierata con gli amici che però non sempre è risolutiva. Spesso, il messaggio che abbiamo bisogno di passare richiede la comprensione di qualcosa che va più in profondità, a toccare aspetti più intimi e forse per questo più riservati.
Non sempre agli amici possiamo dire tutto - anche se sbandieriamo ai quattro venti di migliori amici con i quali ci diciamo proprio tutto - Eppure questo tutto non è mai tutto.
Il counselor non è un amico, non è un proprio pari, almeno in termini di pari rispetto alla professione, agli amici, alla famiglia.; è un pari ma esterno, qualcuno che non ha alcun interesse ad orientarci verso qualcosa, non gli cambia l’esistenza se decidiamo di rispondere in un modo anziché in un altro. Il counselor ci dedica del tempo perché noi riflettiamo su quanto stiamo portando. Perché troviamo la forma adatta a esprimere quanto desideriamo.
Il counselor può rimandarci quanto abbiamo detto in modo da farci penetrare l’essenza delle parole che abbiamo usato. Darci il tempo di valutare se quanto abbiamo detto, è davvero così. Cosa ci richiamano le parole che abbiamo usato, ciò che abbiamo raccontato. In questo rimandarci che non è mai solo un ripetere a pappagallo il counselor, consapevole di quanto sta accadendo anche dentro di lui, accompagna il cliente, dove questi decide di andare.
Cammina assieme ai pensieri del cliente per raggiungere quel momento in cui il cliente trova la ragione del suo potercela fare. Qualunque cosa questo significhi.
Ecco perché rivolgersi a un counselor, può essere utile a portare chiarezza, a capire meglio certi nostri aspetti e atteggiamenti, a orientarci. Il counselor può anche dispensare consigli ma, sarebbe inutile: i clienti coinvolgono sempre in esperienze differenti e i counselor sarebbero tuttologi, e non counselor. I counselor non hanno alcun interesse particolare a volere che una persona sia differente da quello che desidera e può diventare, essere. Il counselor ha fiducia nella persona, nelle sue capacità interiori e nella sua innata possibilità di ascoltarsi profondamente, grazie anche all’aiuto di un professionista, per arrivare a conoscersi più intimamente di quanto non creda.
Imparando, così, di volta in volta che conoscere se stessi, le proprie qualità, i propri valori, i propri punti di forza e non, è sempre la strada migliore per costruirsi la vita che si desidera. Qualunque sia l’ostacolo che su di essa può venirci posto, sapere su chi possiamo mettere in atto di noi stessi, rispetto alle esperienze, ci conferisce l’opportunità di scegliere ed essere chi scegliamo di essere.
Le opportunità che offre ri-ascoltare quanto abbiamo detto, riformulato dal counselor, sono importanti e sorprendenti. A volte scopriamo che in noi esistono aspetti molteplici, ognuno con le sue due facce della stessa medaglia. Ascoltandoci ci accorgiamo di cosa stiamo parlando, sentiamo se c’è qualcosa di diverso. Possiamo capire se siamo stati chiari, se è chiara la nostra richiesta.
Ascoltandoci attraverso il counselor possiamo portare avanti un discorso con noi stessi. Dare spazio ad un nostro modo di essere non condizionato, non giudicato ma accolto e ascoltato.
A volte ci basterebbe essere ascoltati davvero per riuscire a trovare la strada. A volte sulla strada dobbiamo trovare il nostro sentiero. A volte il sentiero ci porta altrove. A volte dobbiamo lasciare andare. Dobbiamo andare. Ma, partiremo con la consapevolezza che abbiamo illuminato una parte di noi. Questo ci farà strada.
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