Il presente articolo è il seguito di:
Solo attraverso il mondo l'uomo conosce se stesso, scoprendo il proprio
corpo in certe relazioni con altre cose. Perciò la ricerca del mondo è la via
che l'uomo dovrebbe prendere per conoscere i propri bisogni e per chiarire
dove desidera muoversi. Solo attraverso la circonvoluzione dell’esperienza
del mondo l’uomo può orientare i suoi impulsi inizialmente senza direzione
e acquisisce interessi e bisogni.
Wolfhart Pannenberg - Ce este omul?, Editura Herald, București, 2012
Il saggio Sri Aurobindo diceva “io divento ciò che vedo in me stesso”. Tale enunciazione profetica o positivista, è comunque mentale. Oltre i sensi e oltre la mentec’è la coscienza che fa una differenza ancora maggiore e più sottile. La storia dell’umanità che sembra una cronologia di guerre, rivoluzioni, conquiste, scoperte, patti e trattati, commedie, miracoli, credenze irrazionali o antirazionali, non è forse anche storia della coscienza dell’uomo?L’essere ha camminato nel tempo, cercando di intervenire nella materialità, soggiogandola e dichiarandosi il vincitore del mondo. È una cronologia di storie di identificazioni con ideali, oggetti, tante volte valori non propri, fenomeno che ha partorito, con puntuale precisione ogni volta una crisi. Si avrebbe una vista troppo stretta e non di largo raggio se dicessimo che gli eventi di crisi sono i risultati solo di dinamiche esterne. Negli individui esiste una capacità soggettiva di pensare, di elaborare degli stimoli e di indirizzare la propria condotta. È l’interazione di queste capacità che scrive la storia, sono le affinità, le opposizioni delle varie presenze al proprio essere che raccontano e rappresentano i cambiamenti nel bene o nel male. E quando la storia si ripete ciclicamente, come qualcuno afferma-, allora l’invito è chiaro, la coscienza deve fare un salto e il salto presume un agire all’interno dell’essere, un percorso fatto da una vera disciplina interiore.
Non è l’occupare la mente, oppure l’agitazione frenetica, che ci rende vitali. Tali modi possono confermare, eventualmente, che abbiamo una vita esteriore, vita che però può non avere un appoggio vitale, autentico. L’esteriorità può promuovere capacità funzionali come la distrazione, la dimenticanza, la confusione, le stabilità occasionali dell’essere incostante come la fantasticheria e l’immaginazione. È con la concentrazione mentale e il controllo o meglio la gestione delle capacità interiori che l’essere, intento a porsi soggetto di esperienza, abbatte false illuminazioni e superstizioni, modifica abitudini e cliché, spesso ripresi da modelli di riferimento, ma che non gli fanno scoprire la sua vera identità.
La pura coscienza è sottile e profonda, situata al di là dello spazio e del tempo e quindi al di là di ogni possibile identificazione con il fenomenico. Chi sente la necessità di andare verso di essa ritorna inevitabilmente verso l’immagine e la somiglianza di Dio, ai suoi parametri di esistenza reale, di pura consapevolezza e pura felicità.
L’esistenza presume responsabilità e impegno, la consapevolezza richiede conoscenza, profondità e sensibilità, la pura felicità è la trama della continua disponibilità tra la gioia e l’amore. Questo ritorno attraversa contesti sociali e soprattutto relazioni, dove un sano confronto e una indagine lucida e sincera rendono all’essere una vera identità spirituale. Man mano che l’essere, sempre più consapevole della sua specificità ed unicità, svela il suo mistero, una sana, nuova e sempre personale disciplina sostituirà le vecchie rigidità dogmatiche che scandivano le regole comportamentali dell’individuo. Più i lacci degli assolutismi si sciolgono, più l’essere cammina in autonomia.
L’essere che diventa persona comprende la nobiltà e la grandezza della vita nella quale pochi sono gli eroi, ma nella quale tutti possono/devono essere i migliori protagonisti di se stessi.
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