SIAMO TUTTI OK. Dall’indifferenza all’assertività

Inviato da Nuccio Salis

 io sono ok

Agli inizi degli anni Settanta, lo psicologo di scuola transazionale Franklin Ernst ideò un semplice schema che ebbe un largo successo e una straordinaria diffusione. Una volta composte due assi incrociate che formano quattro quadranti, tali spazi definirono l’incrocio tra le variabili in riferimento al sentirsi bene (o non bene) con se stessi e stare bene (o non bene) con gli altri. In definitiva, le diverse combinazioni possibili incrociano il sentimento relativo alla capacità di stimarsi e di percepirsi come soggetto avente valore (o la sua negazione), e l’attribuzione di positivo riconoscimento verso gli altri (oppure il suo contrario).

 

Nasce così l’OK Corral, una mescolanza di semplicità e genialità con cui poter cogliere facilmente e con immediatezza la posizione esistenziale di ciascuno, indagarne ed approfondirne costrutti e convinzioni, rilevarne i rispettivi ruoli sociali e anche osservarne la manifesta espressione in termini di modelli di comportamento interpersonale agiti.

L’impegno in ambito clinico-terapeutico si consolida nel tentativo di recuperare (o abilitare ex novo) la persona in trattamento, conducendola verso un modello di espressione funzionale ed integrata delle proprie risorse personologiche.

Nell’ambito della capacità di lettura dei bisogni, per esempio, l’obiettivo della posizione esistenziale ottimale, che coincide con “Io sono Ok Tu sei OK”, si raggiunge dal momento in cui il soggetto concepisce la possibilità di comprendere se stesso in termini di individuo portatore di esigenze ed istanze sia primordiali che sovrastrutturate, e al tempo stesso è in grado di realizzare questa stessa visione trasferendola negli altri. Ciò coincide con l’importante competenza riguardante la possibilità di contemplare e soprattutto applicare un attento e rigoroso ascolto verso se stessi e nei confronti degli altri. Significa saper accogliere un proprio orizzonte di qualità personali dapprima non considerate, con l’impegno di rimanere aperti anche nel processo comunicativo e relazionale, imparando cioè a muoversi in equilibrio fra centratura di sé e decentramento.

Nel caso in cui, invece, una sola delle componenti associate alla capacità di ascolto (di se stessi e degli altri) sia gravemente scarsa o mancante, si verificano atteggiamenti caratterizzati dall’assenza di efficacia sia personale che interpersonale.

Illustriamo a dimostrazione di ciò la combinazione fra assenza dell’ascolto dei propri bisogni e contemporanea mancanza anche di quelli altrui. Il soggetto si trova cioè in una condizione di pieno e completo analfabetismo emozionale, da cui non riesce né a contattare il centro delle proprie istanze psichiche e vitali, e nemmeno ad intercettare quelle altrui. Tale condizione definisce una posizione di abulia e indolenza psicologica che avvince il soggetto in una spirale di nonsenso e di nichilismo, svuotandolo di fiducia verso se stesso e il mondo. Si potrebbe connotare questa posizione con l’espressione ‘apatia’ o ‘indifferenza’.

In una seconda ipotesi, una persona potrebbe invece essere perfettamente centrato e sintonizzato coi suoi bisogni, sia quelli di natura arcaica che anche derivati o secondari, ma risultare disinteressato a ciò che invece gli altri promuovono di loro stessi in termini affettivi e identitari. Al di là del livello di consapevolezza su cui si innesta tale atteggiamento, la risultante consiste in una posizione egocentrica tendente a ristabilire, conservare e difendere l’area dei propri bisogni, e di contro misconoscere la piattaforma dei bisogni altrui. Dal punto di vista copionale, rimanendo dentro il linguaggio dell’AT, si avanzerebbe la teoria sull’assunzione di un ruolo sociale vissuto dentro la cornice drammatica del Persecutore ma anche del Salvatore, a seconda del progetto nascosto con cui ciascuno insidia la sua controparte nell’attività relazionale dei giochi.

La terza condizione prevede invece un soggetto che al contrario del precedente disconosce i suoi bisogni personali e che allo stesso momento vede ed accoglie quelli del prossimo. La matrice esistenziale di tale soggetto potrebbe avere alla base, più che probabilmente, un modello educativo e culturale che ha innescato divieti, censure e proibizioni circa la possibilità di provvedere a prendersi cura di sé, magari nell’idea di darsi completamente alle esigenze della propria partnership relazionale, trascurando se stessi. È la modalità attraverso cui si procede alla costruzione della identità di Vittima, con tutti i rischi legati alle vicissitudini drammatiche che prendono intreccio nella direzione del soddisfacimento delle istanze copionali inconsapevoli.

Sulla quarta auspicabile combinazione, d’altra parte, si è già parlato in precedenza, e questa consiste in pratica nel dimostrarsi assertivi, e cioè nell’arrivare ad essere capaci di porsi sul piano comunicativo ed esistenziale mediante un modello efficace, che include in fattispecie la capacità di leggere ed interpretare correttamente i propri stati interni, dandosi il permesso di sostare anche con quelli altrui. Tale situazione è la più desiderabile, specialmente perché consente di processare il flusso comunicativo secondo una chiave di autenticità e di reale empatia, dalla quale cioè si accoglie il mondo interiore altrui senza dimenticare ed oltraggiare il proprio.

È questa, peraltro, la situazione ideale che si confà a chi desidera distruggere il proprio personaggio di copione ed impegnarsi in un processo ri-decisionale, per ambire alla meta proposta dai principi filosofici e fondativi dell’AT: autodeterminarsi secondo parametri di autonomia e consapevolezza, sopraggiungendo all’espressione autentica e responsabile di se stessi.

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