Sembra ormai inarrestabile il fiorire di programmi televisivi basati sulla ricerca di presunti talenti nell’ambito delle più svariate forme di espressione. La piattaforma comune prevista dal format consiste nel far esibire un nutrito numero di personaggi, allo scopo di sottoporli al giudizio di alcune personalità più o meno note nell’ambito dello spettacolo.
L’ennesima moda è esplosa con tutta la sua carica invasiva ed irruente, riempiendo palinsesti e omologando le proposte e le programmazioni televisive in una ritrita paccottiglia demenziale in cui non si riesce a fare a meno di incappare.
La diffusione di queste trasmissioni ha decisamente mostrato un quadro sociale e culturale che era già noto tempo addietro, e che questo tipo di spettacolarizzazione ha contribuito ad esasperare. Si tratta del fatto di dover constatare come esista un considerevole numero di persone alla ricerca di saziare la sua fame di esibizione. Viviamo certamente in tempi che spingono ciascuno di noi a mostrarsi, ad inviare in pubblica condivisione aspetti della propria vita privata che solo fino a qualche decennio fa sarebbero stati considerati sacri ed inviolabili. Nella situazione attuale, dominata dai selfie, dai social, dalla creazione di luoghi in cui è possibile mostrare se stessi, anche nell’apparenza fine a se stessa, si sono rotte quelle barriere protettive che distinguevano fra vita pubblica e vita privata.
Si può rimanere piuttosto colpiti quando si deve scoprire come esista una enorme moltitudine di persone pronta a fare la fila ai casting per un cosiddetto “reality”, oppure a mostrarsi in un “talent”, dove l’obiettivo è soltanto quello di apparire, e dunque non importa se si rimedia una pessima figura davanti al pubblico per via della evidente incapacità di proporsi in una qualche performance credibile. Perché fondamentalmente, così come alla persona che sale sul palcoscenico non importa la qualità di ciò che manifesta, nemmeno a chi produce la programmazione importa che vengano esaltate capacità e prestazioni artistiche di spessore. Ciò che conta è esclusivamente l’intrattenimento, dal cui unico e ben noto scopo rimane la vendita di spazi pubblicitari.
Attualmente, essendo socialmente molto forte la spinta a mostrarsi, ed essendo al tempo stesso resa più facile mediante l’utilizzo di internet, abbiamo assistito ad un cambio radicale negli atteggiamenti collettivi, oramai marcatamente proiettati verso la ricerca di un appagamento che passa attraverso la visibilità. La ragione per la quale si diventa visibili e noti non è importante. Ciò che conta è raccogliere like, collezionare commenti e condivisioni, divulgare la propria impresa in rete, e ciascun pretesto è utile alla causa. Scivolare o cadere, fare smorfie e boccacce, cantare coi rutti, commentare arrabbiati in dialetto le sconfitte della propria squadra del cuore; tutto contribuisce a rendere potenzialmente noto ciascuno di noi, senza mostrare alcun merito, alcun talento, ma spesso soltanto una risibile e puerile prova della propria stupidità.
In questo contesto, la mediocrità raggiunge e cattura un pubblico più vasto, e diventa un modello da seguire, il livello standard a cui ispirarsi per soddisfare ciò che sembra ormai il comandamento indiscutibile legato alla incontrastabile spinta a raggiungere il successo. I giovanissimi, cresciuti già in questa cornice storica, sviluppano spontaneamente un’attitudine alla visibilità a tutti i costi, finendo per confondere e sovrapporre molto spesso i confini fra ciò che fa parte del proprio mondo pubblico e ciò che dovrebbe essere invece protetto da riservatezza e pudore. In assenza peraltro di validi e coerenti modelli educativi di riferimento efficaci, i giovanissimi sono così orientati ad assumere comportamenti di rischio, di banalizzare e non riconoscere più il valore dell’intimità e della dimensione privata, di escludere dai loro legami coloro che non si adeguano a questa spinta, e che dunque non si mostrano abbastanza spregiudicati secondo i loro canoni attuali. Le conseguenze di questo tipo di atteggiamento non vanno nemmeno immaginate, in quanto gli effetti sono riportati sulle contemporanee pagine di cronaca circa la molteplicità delle manifestazioni del disagio giovanile. La gravità di questo processo di rimbambimento generale viene spesso sottovalutata. Dopotutto a nessuno piace essere chiamato in causa qualora dovesse individuare una propria responsabilità educativa mancante, su questa tematica. È più facile minimizzare, ricorrere a frasi sciocche ed a luoghi comuni, piuttosto che rendersi conto dell’urgenza di una condizione culturale in cui si constata il paradosso di far parte della cosiddetta “era della comunicazione” ritrovandosi con il non avere nulla da dire!
Si continua ad assistere indifferenti ad una progressiva riduzione dello spessore culturale e umano, registrato nella moltitudine delle varie disfunzionalità espressive dell’agire umano e sociale.
Il fenomeno è in qualche modo misurabile dal momento in cui la calca dei personaggi in cerca di un palcoscenico, appare davanti al pubblico, e si viene a scoprire che siamo essenzialmente popolati da saltimbanchi e ridicoli guitti di quartiere che per un quarto d’ora di popolarità non esiterebbero a mangiare bulloni o fare le bolle col catrame.
Un esercito di improvvisati autoproclamati artisti, che con ogni evidenza risultano senza arte né parte, e che pure si cimentano senza vergogna nel canto, nel cabaret, nella danza, con prestazioni miserabili e puntualmente seguite dalle sentenze a copione dei giudici. Questi ultimi si suddividono in personaggi a volte del tutto fuori luogo, riciclati o diventati famosi sul web perché scaricavano peti in faccia alla gente. Essi sono i nuovi oracoli semi-divinizzati che fanno da guida alla civiltà umana. Sono loro chiamati a decidere se il siparietto della breve esibizione può premiare una persona al successo, ovvero se portare un soggetto alla ribalta della notorietà senza che questo conosca il valore dell’impegno, del sacrificio, della gavetta e delle porte sbattute in faccia. L’importante è che costituisca il prototipo dei sogni di queste ultime generazioni: avere successo con il minimo dello sforzo, con l’assenza dello studio ed evitando di esercitarsi e migliorarsi. Una via più corta e più facile ancora può essere la corruzione, e la collega disonestà, che costituiscono altri "valori" aggiunti al quadretto sociale dentro cui ci troviamo.
Purtroppo, considerata la costituzione bio-psico-sociale dell’essere umano, soddisfare il suo bisogno primario di considerazione, facendo leva sull’angoscia primaria legata alle fantasie di abbandono, risulterà un’operazione sempre molto facile da strumentalizzare a vantaggio di chi manipola la massa e induce la stessa ad uniformare atteggiamenti e stili di consumo. L’essere umano ha fame di carezze, ci insegna l’analisi transazionale, e possiede già una innata e naturale tendenza ad arricchire la sua esperienza emotiva di vitali e soddisfacenti stimoli che sazino questa fame, anche al di là della qualità con la quale essi si presentano.
E così un popolo viene bambinizzato a tal punto che anche molti adulti regrediscono fino a ricercare un palco e dei riflettori per cercare di ottenere un applauso, per sentirsi apprezzati e al sicuro come fra le braccia di un genitore amorevole e protettivo. Queste persone è come se urlassero ai presenti “ditemi che sono bravo!” Si tratta di un’istanza ingestibile che conduce alla ricerca insaziabile di riconoscimenti. La persona più fragile, ricevendo sotto questo aspetto un rifiuto o un disconoscimento, proverà una tale angoscia da far aumentare l’audience grazie al suo pianto, puntualmente pianificato senza scrupoli ed ottenuto come da copione, toccando il nervo scoperto di certe fragilità o debolezze di precisi profili psicologici. A completare la biografia del perdente, gli imperdibili genitori della rockstar che il mondo non ha saputo comprendere. Delusi e frustrati perché il talento (inesistente) della loro figlia prediletta è ancora troppo all’avanguardia per poter essere apprezzato da giudici incompetenti e demodè.
Anche se una volta le sconfitte servivano, in un periodo storico in cui non è più di moda educare, ciascuna persona sana preferirà comunque ricercare e collezionare riconoscimenti positivi piuttosto che subire abusi o svariate forme di maltrattamento, ma non coloro che sono abituati a nutrirsi di carezze a valenza negativa.
Il desiderio di far puntare su di se i riflettori si amplifica ulteriormente in questa era che spinge ad affermarsi, ad essere vincenti, a configurarsi come persone di successo, propense ad esibirsi, pronte in ogni momento ad esprimere una prestazione che sfida e che affronta il giudizio altrui. E qualunque occasione è ghiotta per raggiungere questo immancabile obiettivo. Vittime? Assassini? Non importa quale parte si reciti, l’importante è non finire fra le comparse, a rischiare che nessuno parli di noi, che nessuno clicchi “mi piace” sui nostri post, con la paura che non vengano condivisi i nostri video o le nostre foto della colazione, col terrore che nessuno si iscriva nel nostro canale e diventi un nostro follower.
La febbre della notorietà sta andando oltre il livello di guardia, con il rischio che questo confuso e frammentato vociare di questa immensa mole di dati distragga, depisti e nasconda tutti quei contributi di valore umano e intellettuale che, faticosamente, si cerca di diffondere in un mondo che continua senza arrestarsi a divulgare cattivi esempi con una macchina mediatica che non finisce di premiare la mediocrità e il disimpegno. Disvalori che evidentemente, oltre che fare cassa sonante, tengono sotto controllo il rischio che l’individuo umano si risvegli e prenda coscienza di se stesso e dei meccanismi che hanno mistificato da sempre la sua reale identità.
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