infinito è il numero degli...errori possibili


infinito è il numero degli...errori possibili

 

            Se la dimensione umana è relativa e caduca, pure al genere umano è data qualche favilla di eternità e/o di infinito e non sto alludendo alla dimensione di eternità del noùs dell'anima che può nutrire profondamente e dare senso alla nostra vita fin oltre la vita terrena, alludo a quella inevitabile scheggia di infinito con cui ci incontriamo ogni giorno: l'errore.

 

Che sia errore consapevole o inconsapevole, ciascuno di noi sa che non solo facilmente ci accadrà di ripeterlo, ci accadrà di farne di molto simili o di molto diversi o forse addirittura, per autocorrezione, opposti ai precedenti, insomma ciascuno di noi è potenziale autore di un numero di errori... infinito. L'averlo compreso è bene che non blocchi le nostre azioni e le nostre iniziative, tuttavia sarebbe auspicabile che ci aiutasse a tenere desto in noi un atteggiamento di attenzione critica, per poter vagliare anche le nostre più ferme convinzioni o il nostro agire collaudato da pregresse esperienze.

Questa digressione sull'errore, che non vuole essere astrattamente filosofica, è strettamente connessa alla relazione d'aiuto, al counseling e a come il counselor spesso si pone di fronte alla persona in aiuto. Se prestiamo attenzione alle modalità con cui formatori qualificati e persino ben noti, quindi personaggi in qualche modo pubblici che raccolgono molteplici consensi, propongono il loro aiuto ai possibili utenti, a come propongono i loro incontri, i Corsi di Formazione, o la soluzione dei problemi più diffusi a livello esistenziale nella società, un aspetto su tutti appare insistente e prevalente: il dare per acquisito ciò che è un obiettivo e addirittura l'obiettivo più difficile da raggiungere. Solo per rendere più chiaro il mio pensiero, cito alcune frasi tra le tante con cui mi imbatto quotidianamente (sul web, vis à vis con altri counselor, locandine e programmi di incontri di formazione, crescita personale...): "Sappiamo chi siamo, ma spesso non sappiamo come fare a ritrovarci; Sappiamo di non aver smesso di cercarci e...; Ognuno di noi prende le proprie decisioni in relazione alle informazioni di cui dispone al riguardo della situazione e al contesto in cui si trova, in rapporto alle persone e alle loro azioni, in relazione alla propria preparazione e stato psicologico e dunque...; Quando ci sembra di aver preso buone decisioni, dobbiamo impegnarci ancora di più per rimanere aperti e pronti al cambiamento".  Bellissimo, se fosse ... vero! Si dà per acquisito che ognuno di noi "sappia chi è", si conosca o sia in grado di prendere decisioni importanti in base a consapevoli fattori. Ma la relazione d'aiuto non è proprio quel lavorio di ascolto e accettazione perché la persona si avvii alla consapevolezza di sé e si trovi o ri-trovi? Una persona già consapevole e abituata a cercar-si ha bisogno di un counselor, di un formatore (qualche tempo fa riflettevo su questa stessa pagina sul ruolo di formatore del counselor)? Chi è abituato a cercarsi, qualora smettesse di farlo, sarebbe il primo ad avvedersene, credo.

            Il counselor non dà consigli; è comunemente accettato che il suo ruolo è altro, è quello di affiancare la persona in aiuto perché trovi o ri-trovi le proprie energie, le soluzioni al problema tramite l'acquisizione di una progressiva consapevolezza. Dunque, giustamente, anche nelle pubblicità meno raffinate o grossolane sono banditi i consigli. Ma... sta accadendo che per un ennesimo quanto improprio fenomeno di rimbalzo dal mondo degli spot pubblicitari si stia sempre più spesso usando un linguaggio accattivante, il che comporta inevitabilmente un'enfasi sui risultati, sulla conquista della meta più ambìta in tempi brevi/brevissimi, i più brevi e un dare per acquisito ciò che soltanto può rendere possibili quei risultati attesi, appunto la consapevolezza di sé. In definitiva, quando la comunicazione di Corsi o incontri di formazione vòlti alla crescita della persona diventa  "pubblicità"  modifica e cambia i termini della proposta. Si evita l'errore di dare consigli e si cade (volontariamente?) in quello di "dare per scontato" anziché ascoltare, comprendere per avvicinarci il più possibile alla situazione che la persona in aiuto realmente sta vivendo.

Così ci si rivolge a utenti già consapevoli, quelli cioè che sono in grado di riconoscere le proprie emozioni e i loro effetti, sono in grado di darsi un'autovalutazione e conoscono i propri punti di forza come i propri limiti, nutrono fiducia in se stessi e che, qualora frequentassero gli incontri, trovandovi piacevoli conferme di quanto già conoscono e provano, presumibilmente saranno i migliori sostenitori e propagatori di quell'esperienza. E quelli che hanno reale bisogno di essere avvicinati, ascoltati e accompagnati verso la consapevolezza? Presumibilmente ne usciranno un po' confusi, magari desiderosi di proseguire, certamente non rafforzati. C'è qualche rimedio possibile? Come counselor abbiamo ben chiaro che ad ogni problema si possono trovare più soluzioni, quindi sicuramente rimedi ci sono e il primo, che trovo indiscutibile, è che io e ciascuno di noi  tra le priorità da perseguire teniamo ben presente la reale, netta distinzione tra problema reale, modalità di soluzioni e obiettivi da raggiungere.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

CONSAPEVOLEZZA DI SE’:

 

 

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